di Bianca Cerri

Nel novembre del 2004, Chris Magaoay sentì bruciare improvvisamente la fiamma del patriottismo e si arruolò nell'aviazione USA. Sposato da pochi mesi, era convinto di non avere altra soluzione per garantirsi un reddito sicuro e la possibilità di continuare a frequentare l'università. Oggi Magaoy fa parte dell'immensa folla di militari americani in esilio che hanno preferito rischiare di finire davanti alla Corte Marziale piuttosto che tornare in Iraq o in Afghanistan. Secondo i generali del Pentagono, la diserzione sarebbe un fenomeno passeggero, dovuto soprattutto ai problemi finanziari e personali che affliggono alcuni soldati. Ma Jeffrey House, avvocato che assiste Chris Magaoay smentisce drasticamente questa tesi. Il suo cliente e tutti gli altri hanno preferito la clandestinità ad una guerra insensata e sanguinaria.

di Daniele John Angrisani

In questi giorni, com'è ovvio, le fonti di informazione sono piene di notizie riguardanti Israele, il Libano ed in parte anche Iran e Iraq. Ma c'è un altro Paese in cui la guerriglia ormai miete vittime giornalmente, ma quasi nessuno ne parla, se non quando si tratta di rifinanziare le missioni all'estero. Eppure stiamo parlando del Paese da cui tutto è iniziato ormai quasi 5 anni fa e che continua ad essere una terra di nessuno, dove i Signori della Guerra spadroneggiano ed i talebani ogni giorno che passa tornano a controllare sempre più terreno. Stiamo parlando, ovviamente, dell'Afghanistan. Ma come è stato possibile tutto questo?
L'Amministrazione Bush ha sempre fatto del suo meglio per ignorare la dura realtà dell'Afghanistan. Pubblicamente Bush ha sempre lodato i successi militari, le elezioni "libere e democratiche" tenute nel 2004, le riforme strutturali del Paese ed il suo governo guidato da un ex consulente americano, Hamid Karzaj.

di Carlo Benedetti

MOSCA. Il Baltico sempre più a destra. Anzi: sempre più filonazista. In Lettonia erano stati i reduci delle "Ss" a marciare per le strade di Riga con l'appoggio del nuovo governo. Ora è la volta dell'Estonia che annuncia la costruzione di alcuni monumenti in onore delle "Ss" e anticipa l'idea di organizzare un raduno internazionale di tutti gli ex delle "Ss". E non c'è solo questo. Perché anche l'Estonia segue la stessa strada: il governo di Tallin - cogliendo l'occasione di questo processo generale di revisione storica e di riabilitazione dei maggiori criminali di guerra - concede le più alte onorificenze statali a coloro che, durante la seconda guerra mondiale, si unirono nella "Ventesima divisione delle SS" per lottare, a fianco dei nazisti, contro l'Armata Sovietica. E mentre si sviluppa questa ondata di fascismo si arriva anche a decretare come "giornata di lutto nazionale" la ricorrenza della liberazione del Baltico.

di mazzetta

Parlando di guerre che non interessano a nessuno nel nostro paese, sembra avviarsi verso una relativa stabilizzazione la situazione in Ciad.
All'inizio della primavera il presidente Idriss Deby era stato sfiduciato da esponenti della sua stessa etnia (dominante nel paese) e quasi la metà dell'esercito aveva disertato, in aperta polemica con l'organizzazione delle imminenti elezioni, organizzate chiaramente per permettere la riconferma del vecchio dittatore. I ribelli sembravano destinati ad avere la meglio e, dopo essersi organizzati per alcuni mesi nella parte orientale del paese, sconfinando anche nella regione del Darfur, nel vicino Sudan, avevano dato l'assalto alla capitale. Deby aveva denunciato di essere vittima di un complotto sudanese e interrotto le relazioni diplomatiche con il vicino, allineandosi alla politica della destra americana, ma sul piano militare era molto debole. Ad aiutarlo hanno provveduto militari francesi su precise indicazioni di Parigi, che hanno fermato le colonne dei ribelli che convergevano sulla capitale. Per Parigi, Deby è un capo di stato "democraticamente eletto"; poco importa che in Ciad nessuna delle prove elettorali sotto Deby sia mai stata considerata meno di una farsa dalle organizzazioni internazionali.

di Carlo Benedetti

Ravil Gajnutdin MOSCA. E' considerato una "mina vagante" nel complesso e variegato mondo dell'Islam della Russia. Battitore libero, autorevole e rispettato. Si caratterizza per uno stile severo. Asciutto e scevro da incursioni nel passato. Guarda al futuro e le sue prediche sono sempre in bilico tra la ricostruzione oggettiva dei fatti e l'analisi dei moventi più profondi dell'intera storia del Paese. Putin lo guarda con diffidenza, ma cerca di non contrastarlo. Anche quando le posizioni che esprime ad alta voce sono in netta opposizione alla gestione politico-diplomatica del Cremlino. E l'ultima e più eclatante manifestazione di totale indipendenza si è registrata alla vigilia dell'inizio della guerra americana contro l'Iraq. Allora, senza tanti giri di parole, fece appello alla "guerra santa" contro gli americani, mettendo in imbarazzo le autorità di Mosca che non avevano ancora dimenticato la santificazione religiosa del conflitto ceceno in chiave, ovviamente, anti-islamica.


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