di Carlo Benedetti

Agim Ceku Dopo l'addio a Belgrado - sancito dal Montenegro del premier Milo Djukanovic - ecco che si stacca un'altra tessera del mosaico dell'ex Yugoslavia. Tocca al Kosovo che, sotto la leadership di Agim Ceku, lascerà ora la Serbia di Vojislav Kostunica. Ed è la fine annunciata - questa volta ufficiale - di quella che un tempo era definita "Repubblica Socialista Federativa di Yugoslavia", organizzata e difesa dal leggendario Josip Tito, ma sempre osteggiata da stati come la Germania e il Vaticano. E, da ultimo, vittima dei nazionalismi più sfrenati e di una Nato che ha camuffato come "intervento umanitario" una sua guerra volta ad affermare una nuova egemonia politica e militare occidentale sull'Europa sud-orientale, infierendo nuove sofferenze alle popolazioni locali e violando sempre il diritto internazionale. Una guerra, in sintesi, che è stata l'ultimo effetto collaterale (si spera, almeno…) della Grande Guerra.

di Giovanna Pavani

Adesso, solo adesso, Gorge W. Bush dice di essere "profondamente turbato". E adesso, sempre e solo adesso, la sua preoccupazione è che i corpi dei tre primi suicidi del carcere di Guantanamo, due detenuti sauditi e uno yemenita, siano trattati secondo quanto prevede la legge islamica, nel massimo rispetto, dunque, della loro religione.
Rispetto. Una parola che oggi risuona come un'ingiuria postuma a chi non ha avuto il privilegio di vedersi riconoscere questo primario diritto umano da vivo. Ma è un insulto anche per i vivi, per quelli che non possono far a meno di leggere nelle parole di Bush l'ennesimo, goffo tentativo dell'Amministrazione Usa di frenare l'inevitabile risposta che questo atto di apparente, estrema disperazione di tre uomini detenuti in modo arbitrario e definitivo nel "gulag dei tempi moderni", potrebbe scatenare a livello internazionale. Perché c'è soprattutto una domanda che aleggia indiscreta su questa vicenda, più che su altre maturate in seguito a fatti recenti: si sono uccisi davvero o li hanno ammazzati alla fine di un classico "confronto all'americana" tipico dell'unico carcere off shore del mondo? Bush, ovviamente, conosce la risposta. E sa che stavolta la pioggia di critiche internazionali sarà ancora più acida e corrosiva di sempre per la stabilità del suo governo e per la tenuta dell'asse anti-islamico occidentale.

di Bianca Cerri

George Bush e Tony Blair sono estasiati: la morte di Al Zarqawi insegnerà una volta per tutte ai ribelli che la resistenza è inutile. Ma l'interrogativo rimane:quante volte è morto il presunto cervello di Al Qaeda? Per il giornalista Robert Fisk lo avrebbero ammazzato parecchi anni fa, il Jerusalem Post fa risalire la sua morte al 20 novembre 2005, la stampa indiana aveva annunciato la sua fine addirittura nel 2004. Ma improvvisamente Al Zarqawi si rifà vivo alla fine del 2005 e, secondo i media australiani, sfugge per un pelo agli americani con "una fuga rocambolesca". Impresa mirabolante, tanto più per un uomo con una gamba sola. Nel maggio del 2006, l'esercito USA tenta nuovamente di catturarlo ad Al Tafar, dove è stata più volte segnalata la sua presenza. Questa volta la caccia si conclude con la morte di 200 civili che con la resistenza non avevano nulla a che fare ma del leader dei ribelli non c'è traccia. Nell'estrosa logica del Pentagono, la strage è stata solo un'azione di "guerra collaterale" e "costituisce un passo avanti nella lotta al terrorismo".

di Carlo Benedetti

Bombardamenti, rastrellamenti, fucilazioni, distruzioni, deportazioni, arresti e torture. Sono le "azioni" che l'Armata di Putin compie quotidianamente nella tormentata terra della Cecenia dove la resistenza a Mosca si fa sempre più forte. Perché c'è uno spirito d'indipendenza senza eguali che i media russi ignorano volutamente sostenendo che l'azione delle "truppe speciali" è concentrata solo sulla lotta al terrorismo.
Di conseguenza, il Cremlino cerca di ovattare la situazione facendo leva sugli appetiti economici dell'Ovest. Una prova l'abbiamo avuta con l'ex premier Berlusconi, il quale si era gettato tra le braccia dell' "amico Volodia" (Putin), senza mai far cenno al genocidio nell'area del Caucaso. E l'unica volta che si ricordò di Grozny lo fece per affermare che Putin aveva ragione perché lottava contro il terrorismo. Ed ora, nonostante le manovre diplomatiche, politiche ed economiche attuate per nascondere la realtà cecena, sul Cremlino piomba come un macigno la denuncia del "Comitato Internazionale della Croce Rossa" (Circ) che apre un nuovo contenzioso con Mosca e la sua politica caucasica. Il Circ affronta, infatti, la questione dei prigionieri ceceni e della loro deportazione nei molti "campi di lavoro" che si trovano oltre i confini del Caucaso e che sono definiti, con un eufemismo, come "centri di rieducazione".

di Cindy Sheehan

Questo è il più difficile articolo che io abbia mai dovuto scrivere, ma devo farlo lo stesso, purtroppo.
Io, così come chiunque altro critichi il presidente Bush e questa guerra, sono stata accusata di "non sostenere le truppe". Visto che mio figlio, Casey Sheehan, è stato ucciso in Iraq per colpa delle bugie di questa Amministrazione e per aver tentato di rendere questo Paese sicuro solo per gli interessi delle nostre corporation, ho cominciato a dire che l'unico modo reale per sostenere le truppe, a questo punto, è quello di fare di tutto per ritirarle da questa guerra illegale ed immorale.
Il massacro di Haditha del 19 novembre 2005, è solo un altro modo per sottolineare come le nostre truppe siano state trasformate in criminali di guerra, colpevoli di quello che un articolo ha definito: "Il Peggior Crimine di Guerra in Iraq". (Sydney Morning Herald; 28 maggio, 2006). In una assurda dimostrazione di ipocrisia senza vergogna, George Bush, ha affermato, riferendosi al (purtroppo usuale) massacro di civili innocenti ad Haditha:
"Le nostre truppe sono state addestrate a rispettare i nostri valori di base, durante tutto il loro addestramento, ma è evidente che in Iraq sia avvenuto un incidente".


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