di Giovanni Gnazzi

Più di sessanta i morti, tra i quali 37 bambini. Questo bilancio, ancora provvisorio, è il prezzo pagato dalla popolazione libanese al 19° giorno dell'aggressione israeliana al Paese dei cedri. "Da lì partivano molti razzi", ha detto un portavoce dell'esercito israeliano per giustificare il bombardamento degli aerei con la stella di David su Cana, aggiungendo che Hezbollah "si nasconde dietro i civili". Come dire che si può radere al suolo una città e azzerare la sua popolazione, fare il tiro a segno su tutto ciò che appare all'orizzonte per riuscire a colpire, eventualmente, un nemico che si nasconde. Tesi che evoca pratiche che proprio a Tel Aviv dovrebbero ricordare con orrore. La strage, determinata dal crollo della palazzina raggiunta dalle bombe israeliana, ha avuto luogo mentre a Gerusalemme erano riuniti Condoleeza Rice, il premier israeliano Olmert e il ministro della Difesa Peretz.La Rice, che si diceva pronta a recarsi a Beirut ci ha ripensato. Molto probabilmente non aveva niente altro da proporre ai libanesi ed è chiaro che la responsabile della diplomazia USA sarà disposta a recarsi a Beirut solo per offrire l'accordo israeliano sulla cessazione, almeno temporanea, dei bombardamenti; magari davanti alle telecamere di tutto il mondo che potranno così definirla negoziatrice risoluta e capace, in modo da dare un'altra spintarella alle sue ambizioni politiche per il dopo Bush.

di mazzetta

Che i politici israeliani siano ormai vittima di una pericolosa isteria, o di un ancor più pericoloso senso d'impunità derivato dalla protezione degli USA, si è potuto verificarlo al di là di ogni ragionevole dubbio poche ore dopo la Conferenza di Roma sul Medio Oriente. Il Ministro della Giustizia israeliano, dopo che il suo paese aveva anche schivato l'ennesima condanna dell'ONU (questa volta per aver bombardato una sua postazione uccidendo quattro caschi blu che per dieci volte avevano chiamato gli israeliani per dire che erano sotto il loro bombardamento), non ha trovato di meglio che dire che la dichiarazione rilasciata al termine del vertice era una autorizzazione per Israele a continuare l'aggressione al Libano. Un successo che Israele ha festeggiato bombardando anche Gaza, tanto perché i palestinesi non pensassero a un calo d'attenzione nei loro confronti.

di Carlo Benedetti

Quattromila chilometri di binari per dire al mondo che il Tibet non è più un territorio collocato oltre le colonne d'Ercole. Vince, così, la politica del "conduttore" Hu Jintao e va in deposito quella del "gran timoniere" Mao. E', in sintesi, quanto avviene nella nuova Cina dove entra in funzione la ferrovia che da Pechino arriva nella capitale del Tibet, Lhasa. La tecnica batte la politica. Il progresso sconfigge i fautori dell'isolamento. E così il Tibet - con più di un milione di chilometri quadrati e circa tre milioni d'abitanti - viene di fatto compreso nella grande Cina che spinge qui i suoi confini sino alla Birmania, l'India, il Bhutan e il Nepal. E la capitale Lhasa - situata a circa 4000 metri sul livello del mare a nord della dorsale principale himalayana - diviene più vicina non solo al mondo cinese, ma a tutti coloro che vogliono conoscere da vicino la culla del buddismo.

di Fabrizio Casari

La Conferenza di Roma non ha forse sortito i risultati sperati, ma ha comunque rappresentato un concreto passo avanti nell'affrontare la crisi mediorientale. I paesi arabi e la Francia si attendevano una dichiarazione solenne che chiedesse il "cessate il fuoco" e non hanno nascosto la loro delusione per il mancato obiettivo, ma lo stesso premier libanese ha definito sia la Conferenza in sé, sia la sua Dichiarazione finale, "un passo avanti nella giusta direzione".
Volendo prendere in esame gli aspetti politici interni, la Conferenza di Roma sul Medio Oriente ha riconsegnato all'Italia un ruolo di protagonismo politico nella scena internazionale. Dopo cinque anni nel cono d'ombra dell'obbedienza dovuta e supina agli Stati Uniti, Roma ha ripreso a guardare verso il Mediterraneo. Cinque anni di governo Berlusconi erano infatti stati spesi in chiave unilaterale: vuoi per la vocazione di servitù politica delle destre nei confronti della Casa Bianca, vuoi per l'urgenza di sdoganare definitivamente Fini ed An di fronte ad Israele, la posizione italiana sul Mediterraneo si era esaurita sostanzialmente nell'assenso incondizionato alle scelte, anche le peggiori, di Tel Aviv.

di mazzetta

Sarah Chayes Sarah Chayes deve essere una donna che crede molto in quello che fa. Racconta le sue avventure di "ufficiale intenazionale" sulle pagine del New York Times con la consapevolezza che le viene dall'essere embedded da anni nella popolazione locale e non solo nell'infernale meccanismo delle ONG che agiscono coordinandosi "politicamente" con Washington, visto che dipendono tutte dal Dipartimento di Stato di Mrs. Rice.
Chayes, a prescindere dal suo inquadramento e dalla sua remunerazione eventualmente di giada, è lucida e decisamente insoddisfatta dallo stato delle cose. Dall'invasione del 2001 il controllo del governo sulle province è completamente evaporato, i governatori locali sopravvivono rapinando i contributi governativi e imponendo costi assurdi ai malcapitati amministrati. Il governo centrale è ancora più insoddisfacente, visto che gli assetti economici dell'Afghanistan sono stati definiti da funzionari stranieri comandati a comandare nei ministeri sostituendo gli spesso pittoreschi ministri afgani nominati per criteri alieni alla competenza.


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