di Raffaele Matteotti

E' di nuovo guerra tra Somalia ed Etiopia. Lo sceicco Ibrahim Shukri Abu-Zeynab, portavoce delle Corti ha dichiarato che sarà guerra fino a che gli etiopi non saranno cacciati dalla Somalia. Colonne di carri armati etiopi sono state viste nei pressi di Baidoa Ufficiali della Nazioni Unite hanno riferito di pesanti perdite da parte somala, con le strade delle città vicine a Baidoa che si stanno riempiendo di cadaveri, che a questo punto sarebbero "centinaia". Intanto è cominciato il dramma dei profughi, con qualche migliaio di civili che cerca in ogni modo di abbandonare le zone dei combattimenti. C'era da aspettarselo. Dopo che l’ultimatum dato dal governo delle corti islamiche alle forze etiopi di stanza attorno a Baidoa era scaduto, sembrava non succedesse nulla e che il governo transitorio e le corti si sarebbero nuovamente incontrate per cercare una via d’uscita all’incredibile situazione creatasi nel paese. Da oltre un anno, infatti, esiste un governo transitorio costituito con l’aiuto della comunità internazionale e l’accordo dei signori della guerra somali. Un governo che però non ha mai governato e che, solo poco prima che le corti assumessero il controllo del paese, era riuscito a stabilirsi a Baidoa. L’avvento delle corti ha portato alla situazione paradossale per la quale un governo costruito artificialmente e che non governa di fatto nulla, viene sostenuto da parte della comunità internazionale, soprattutto da USA ed Etiopia. Il tutto contro l’evidente volere popolare che ha invece benedetto la presa di potere delle corti, capaci dopo 15 anni di vuoto di potere di riportare l’ordine, riaprire porti ed aeroporti e rendere la capitale Mogadiscio una città quasi normale.
Il nuovo scenario non è ovviamente piaciuto agli USA, che infatti non mancano di diffondere notizie allarmanti sulle intenzioni delle corti e su quanto accade nel paese. La linea è quella del rappresentante di Washington per l’Africa, la signora Jenday Frazer, che non ha mancato di far sapere che in Somalia starebbe per prendere il potere al Qaeda e denunciato orrori sparsi che però sembra conoscere solo lei o quelli che al Dipartimento di Stato glieli hanno raccontati. Se gli Stati Uniti non possono certo permettersi di intervenire anche in Somalia, sembrano però aver trovato un ottimo sostituto nel governo etiope, il cui leader Zenawi dichiara al mondo che non lascerà che l’Etiopia venga invasa dagli islamici somali.

Posto che i somali non sono ancora riusciti a costituire un vero governo e a prendere il controllo di tutto il paese, le paure di Zenawi sembrano quantomeno premature. Se si ascoltano gli etiopi poi, l’opinione comune è che Zenawi usi la “minaccia” somala come diversivo; Zenawi governa male l’Etiopia, almeno a giudicare dai risultati ed ha anche la pessima abitudine di far sparare sulle manifestazioni di protesta e di far rinchiudere in carcere decine di migliaia di persone quando si avvicinano le elezioni. Questo per non parlare dei “campi di rieducazione” per studenti, triste riedizione dei campi di prigionia.

A sostenere il governo che non governa di Baidoa ci sono così i soldati etiopi, mentre gli USA cercano di convincere sia l’ONU che la Unione Africana a mandare uomini a sostenere il premier Alì Ghedi. L’Etiopia smentisce di avere soldati in Somalia e ammette solo la presenza di istruttori militari,; però non si capisce chi dovrebbero istruire, visto che gli armati a sostegno del governo sono pochini e che 200 di questi sono appena passati dalla parte delle corti. Al contrario, fonti dell’ONU sostengono che in Somalia ci siano qualche migliaio di soldati etiopi e anche l’inviato della BBC ha testimoniato di aver incrociato una enorme colonna di soldati di Adis Abeba con tanto di artiglierie al seguito.

Così, dopo un paio di giorni di scaramucce dall’esito incerto, si è giunti ieri allo scontro definitivo. La Somalia è, nelle parole del portavoce delle corti, “in stato di guerra”, mentre il leader del Consiglio della “Shura Council”, Sheik Hassan Dahir Aweys e il capo della sicurezza delle corti Sheik Yusuf Mohamed Inda Ade hanno lasciato Mogadiscio rifiutandosi di dichiarare la loro meta. Sono molti a pensare che sia l’Arabia Saudita ove, oltre al tradizionale pellegrinaggio alla Mecca, i due conferiranno probabilmente con il governo saudita, da tempo sostenitore delle corti islamiche somale. La risposta etiope per il momento sembra prevedere una invasione su scala più vasta della Somalia; colonne etiopi sono entrate nelle province a Sud e anche al centro (provincia di Galgaudu) della frontiera occidentale somala, mentre le forze presenti nella provincia di Hiran sembrano essersi ritirate entro i confini dell’Etiopia.
Per il momento è molto difficile capire come stia andando il confronto, visto che le due parti hanno già annunciato di aver vinto entrambi gli stessi scontri e di aver inflitto perdite al nemico senza dichiarare le proprie. In ogni caso, anche se l’esercito etiope in teoria è più preparato, le corti sono decisamente favorite; si muovono nel loro territorio, possono schierare molti più uomini, (molti giovani in diverse zone del paese sembra si stiano iscrivendo tra le fila delle corti per combattere) e, finché la malmessa aviazione etiope non interverrà, appaiono decisamente in vantaggio sul campo.

Ovviamente la comunità internazionale se ne lava le mani. L’inviato europeo, Louis Michel, fa la spola tra Baidoa e Mogadiscio per cercare di condurre le parti alla trattativa, ma nessuno al mondo (nemmeno la UE) ha chiesto all’Etiopia di non immettersi negli affari interni somali e di tenere le proprie truppe entro i propri confini. L’intervento etiope, tra l’altro, ha legittimato lo schierarsi dell’Eritrea accanto alle corti, con il rischio di riaccendere il conflitto tra i due storici avversari, oltre che allargarlo fino a fargli assumere una dimensione regionale.

La Frazer intanto fa quello che può, cioè cerca di convincere tutti della necessità di inviare truppe in Somalia e pure in Darfur, denunciando continue atrocità ovunque. Il solito strabismo, poiché quando è stato il momento di visitare la Guinea Equatoriale, tetro regno di Teodoro Obiang, sono state solo pacche sulle spalle e congratulazioni a vicenda. La Guinea Equatoriale, del resto, vende tutto il suo petrolio agli americani e pure a prezzi bassissimi.

A questo punto la palla è in mano all’Etiopia, che è sicuramente in grado di resistere intorno a Baidoa impegnando sempre più forze, ma che in diritto non avrebbe alcun titolo per occupare de facto un paese confinante, peraltro con l’obiettivo di sostenere un governo fantoccio. Al malcontento domestico Meles Zenawi potrebbe presto vedere aggiungersi la riprovazione internazionale, impossibile da controllare con la censura dei media come fa con quella interna. E non manca l’inquietudine dei paesi vicini: il Sudan in primo luogo, ma anche il Kenya, che nonostante ospiti forze statunitensi dedicate al “controllo” di quanto avviene in Somalia, preferirebbe sicuramente una Somalia pacificata all’anarchico buco nero che da quindici anni si trova oltre la sua frontiera orientale.



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