di Michele Paris

La vera portata e gli effetti reali della riforma sanitaria in discussione negli USA e voluta dal presidente Obama non appaiono ancora del tutto chiari, nonostante la quasi certezza di un esito alla fine quasi certamente favorevole al presidente. La consueta retorica dell’inquilino della Casa Bianca presenta agli americani il proprio progetto come la soluzione che metterà fine allo strapotere delle compagnie private di assicurazione e garantirà, per decine di milioni di cittadini ora esclusi da ogni forma di copertura, un’assistenza accessibile. Ma la credibilità dei politici democratici e repubblicani incaricati di scrivere le regole della riforma appare fortemente minata. L’industria sanitaria privata ha infatti donato quasi 200 milioni di dollari per le campagne elettorali dei candidati al Congresso di entrambi gli schieramenti tra il 2007 e il 2008 e nei primi tre mesi di quest’anno gli “investimenti” sui politici sono risultati in media nell’ordine di 1,4 milioni di dollari al giorno.

di Eugenio Roscini Vitali

In Israele gli ultraortodossi ringraziano Benjamin Netanyahu per non aver accolto l’invito statunitense ad interrompere lo sviluppo edilizio del centro residenziale di Sheikh Jarrah, quartiere arabo di Gerusalemme est destinato all’occupazione ebraica, per lo più fatta di nazionalisti e religiosi della comunità sefardita che da anni cercano in ogni modo di allontanare le famiglie palestinesi che ancora vivono lì. In una lettera indirizzata al primo ministro israeliano, i vertici di una delle più famose organizzazioni ebraiche degli Stati Uniti, l’Unione Ortodossa della Congregazione Ebraica d’America (Uojca), avevano preso posizione in favore dei coloni della Giudea e Samaria ed espresso la loro contrarietà riguardo le critiche volte dall’amministrazione americana all’espansione israeliana in Cisgiordania.

di Mario Braconi

Anche chi non mastica il gergo del management, tanto popolare presso consulenti ed alti papaveri delle aziende, forse riesce a capire a che cosa ci si riferisce quando si parla di “outsourcing”: una data attività, un tempo gestita all’interno di una certa azienda, viene affidata ad una società esterna specializzata. Secondo chi lo promuove, l’outsourcing consente di svolgere quel lavoro meglio ed in modo più economico: è, naturalmente, solo un modo di vedere le cose, perché il bel termine anglosassone spesso è un velo ben poco pietoso attraverso cui si intravede la cruda realtà: tagli alla forza lavoro e/o delocalizzazione verso Paesi con basso costo della manodopera. Finora, però, si sono “esternalizzati” solo processi industriali; dunque è una novità assoluta il caso portato alla ribalta nel Regno Unito dal deputato conservatore David Davies ad inizio luglio: in questo caso la polizia e MI5 hanno subappaltato alla polizia segreta pachistana la tortura di cittadini accusati (sia pure a ragione) di attività terroristiche.

di Michele Paris

Dopo mesi di trattative e negoziazioni serrate, la tanto annunciata riforma del sistema sanitario americano sembra finalmente giunta alla stretta finale. In una serie di apparizioni pubbliche, il presidente Obama sta cercando di convincere il Congresso a votare una nuova legge prima della pausa estiva. I parlamentari repubblicani più moderati ed una buona parte di quelli democratici chiedono però più tempo per trovare una soluzione maggiormente condivisa dai due schieramenti e che possa influire il meno possibile su un deficit federale già di proporzioni enormi. Nel frattempo, le industrie farmaceutiche e delle assicurazioni sanitarie, anche se all’apparenza meno agguerrite nei confronti del nuovo piano di ristrutturazione del sistema rispetto a quello di Clinton fallito nel 1993, continuano a riversare milioni di dollari in attività di lobby per ostacolare l’iter legislativo della riforma o, quanto meno, per piegarla ai propri desideri.

di Luca Mazzucato

NEW YORK. Nikoo e Iraj sono due ricercatori iraniani, sono sposati e lavorano in due università americane dell'East Coast. Non forniremo altri dettagli su di loro, perché diventerebbero un facile bersaglio della rappresaglia del regime iraniano e dell'immigrazione americana (ottenere un visto di lavoro in America è diventato un'impresa epica per loro). Non tornano spesso in Iran, tantomeno ora che lo stato di polizia ha mostrato la sua faccia più feroce: per il solo fatto di lavorare al soldo del nemico numero uno del regime, finirebbero direttamente in carcere al loro arrivo. Li incontriamo dopo l'attesissimo discorso dell'ayatollah Rafsanjani alla preghiera del venerdì, che rappresenta il primo segnale di speranza per il movimento dal terribile giorno delle elezioni. Iraj porta una barba lunga di un mese, se l'è fatta crescere il giorno delle elezioni, come segno di protesta; sua moglie Nikoo tutti i giorni indossa qualche capo d'abbigliamento di colore verde. Questi due cambiamenti esteriori sono uno dei codici usato dagli attivisti iraniani per mostrare ai propri connazionali la loro indignazione per la situazione in patria.


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