di mazzetta

L'ultimo grande spettacolo, prima della pausa che terminerà con la ripresa del campionato di calcio, sta ancora impegnando i nostri schermi, ma ancora nessuno sembra averne indagata la natura. In effetti ci sarà chi si chiede stupito a cosa serva il G8 e perché caspita quest'anno sembri tanto un grande evento. In fin dei conti dei 34 incontri precedenti se ne ricorda forse uno solo proprio nel nostro paese, perché ci è scappato il morto. Questioni importanti, non fosse per l'importanza dei convenuti, scivolano via senza che la grande giostra dell'informazione riesca ad afferrarle e mostrarle ai cittadini che basiti assistono da casa. Si tratta di un summit – informale - perché esistono già sedi sedi - formalizzate - dove ci si riunisce per decidere davvero degli accordi internazionali, eppure è promosso con molta più foga di tanti appuntamenti più importanti.

di Mario Braconi

Lo scorso 11 giugno, un parterre de roi, tra cui spiccavano Bill Gates, fondatore di Microsoft, il premio Nobel per la pace Desmond Tutu (“il piccolo gigante”) e Bob Geldof, si è dato appuntamento a Londra per presentare il quarto report ONE - DATA 2009. Com’è noto, ONE - DATA è il risultato della fusione tra ONE, una coalizione di organizzazioni di base americane fondata nel 2004 e DATA (Debt, AIDS, Trade, Africa, cioè Debito, AIDS, Commercio Africa) un gruppo di pressione capitanato, tra gli altri, dal cantante degli U2 Bono Vox. L’obiettivo esplicito è fare pressione sui governi dei paesi sviluppati affinché contribuiscano seriamente alla lotta contro la povertà estrema in Africa, con particolare attenzione ai temi della cancellazione del debito, delle terapie anti-AIDS e della sua prevenzione, e della riforma delle pratiche commerciali scorrette che penalizzano l’Africa (leggi: sussidi all’agricolura).

di Eugenio Roscini Vitali

Le condizioni globali dell’Eritrea di oggi si possono riassumere in una sola parola: tragedia. E non potrebbe essere altrimenti visti gli indicatori che concorrono a trasformare questo triste primato in un incubo, veri e propri record di povertà, fame, repressione e disperazione che fanno di questo Paese un caso quasi unico, un dramma che trova le sue origini nei sogni di libertà di un popolo tradito e nelle promesse che un leader non ha mai mantenuto. A quasi vent’anni dalla sua indipendenza, l’Eritrea non è altro che il prodotto delle decisioni e delle azioni politiche dell’uomo che ne ha disegnato i destini, di colui che ha combattuto perchè potesse diventare una nazione libera ed indipendente e che l’ha poi trascinata in una devastante guerra di confine, di chi l’ha costretta ad anni di immobilità diplomatica e l’ha portata all’isolamento totale, del suo primo ed unico presidente, di Isaias Afewerki.

di Elena Ferrara

E’ morto a Washington all’età di 93 anni. “Cause naturali” è scritto nel comunicato dei medici. Ma per lui - Robert Strange McNamara, nato a San Francisco - nulla al mondo era mai stato una causa naturale. Perché tutta la sua vita politica e diplomatica – da superman selvaggio - era stata caratterizzata dagli intrighi della guerra fredda e dall’organizzazione su molti tavoli insieme di vere e proprie battaglie contro il diretto avversario della Casa Bianca, il Cremlino dell’Unione Sovietica. Scompare quindi, con lui, l’ultimo residuo della guerra fredda. Era stato Segretario alla Difesa degli Usa tra il 1961 e il 1968 negli anni cruciali della guerra del Vietnam, era un falco, almeno in quegli anni, ed è stato sempre considerato il segretario alla Difesa americano più influente del Novecento. Aveva però lasciato il Pentagono in polemica con la Casa Bianca, ed era stato per 13 anni, fino al 1981, presidente della Banca Mondiale, una delle istituzioni di Bretton Woods, riuscendo ad ampliarne il ruolo e l'influenza.

di Eugenio Roscini Vitali

Sono passati trent’anni dai giorni di piazza Djaleh, trent’anni da quando la polizia dello Shah ha colpito i manifestanti e ha represso nel sangue la protesta del popolo iraniano. Una rivolta inarrestabile che si sarebbe presto trasformata in Rivoluzione e che avrebbe rovesciato una dinastia serva delle grandi potenze e cacciato la sua polizia segreta, assassina e sanguinaria. Sono passati trent’anni da quando i giovani di Teheran hanno deciso di dare vita ad un sogno che avrebbe dovuto trasformare la millenaria monarchia persiana in una Repubblica fatta di giustizia, speranza e rivincita; un progetto che si è invece trasformato in una teocrazia opprimente e viscerale e di cui oggi i loro stessi figli sono vittime. Violenza, torture, arresti e condanne esemplari che ora, come allora, tornano a riproporci lo stesso linguaggio e lo stesso stile usati in quegli anni. Una frattura totale, che coinvolge la “vecchia” e la “nuova” generazione, divise trasversalmente da profonde differenze ideologiche e da una sostanziale capacità di vedere la vita.


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