di Giovanna Pavani

Le ferrovie uniscono, più di qualsiasi altro tipo di trasporto, un Paese. E anche dove la povertà ha la meglio su tutto, c’è sempre un treno, una vecchia locomotiva, a consentire ad un popolo di sentirsi meno isolato nel proprio male di vivere e a permettergli di partire, di migliorare, di ritrovarsi, spesso anche di fuggire. Le ferrovie, insomma, sono la spina dorsale della mobilità di una nazione e della sua voglia di crescita e di riscatto anche quando manca tutto il resto. Se falliscono le ferrovie è un segnale inquietante per l’economia di qualsiasi nazione e per le sue potenzialità di crescita e di espansione. Ieri, l’amministratore delegato di Trenitalia, Mauro Moretti, ha informato la commissione Lavori Pubblici di Palazzo Madama che le nostre ferrovie sono sull’orlo del fallimento. E' l'immagine più netta di un'Italia ferma su un binario morto. E i treni sono solo l'ultimo capitolo.

di Alessandro Iacuelli

Eni e Gazprom sono in fase di contrattazione sempre più serrata. I termini dell'accordo definitivo non sono ancora chiari, infatti la firma era stata fissata per lo scorso 15 ottobre ma è poi stata rinviata. Quel che si è capito è che si tratta di un'intesa che dovrebbe consentire a Eni di investire nei giacimenti russi di gas naturale e al gigante russo di vendere gas ai consumatori italiani. Da oramai oltre un anno l'interesse di Gazprom è quello di entrare nella distribuzione italiana del gas e a questo scopo vorrebbe acquisire il 30% del capitale di Snam rete gas. In cambio promette ad Eni il rinnovo per altri dieci anni dei contratti che scadono nel 2017.

di Giovanna Pavani

E’ questa la settimana decisiva per Alitalia. Il calendario è serrato: faccia a faccia Prodi-Cimoli, poi il cda della compagnia. Quindi la presentazione del piano del governo che si muoverà su tre punti: ingresso dei privati con capitali freschi, nuovo management in grado di gestire il piano industriale e strette alleanze internazionali, soprattutto puntate verso il mercato dell’Est; soci che hanno rotte, soldi, ma non scali e che si trovano nel Golfo Persico, India, Cina, Thailandia. Il governo, dunque, guarda ad est e alle ricche compagnie saudite o nei Paesi del Sol Levante: offre scali in cambio di quella liquidità necessaria ad ostracizzare per sempre lo slogan che ha contrassegnato le settimane più critiche della storia del vettore nazionale: “Più si vola, più si perde”. Con il titolo Mib che ha scandito, inesorabile, il conto alla rovescia verso il baratro. Giovedì è stato il giorno più nero, con il titolo che ha chiuso a Piazza Affari con un secco -9%. Non era mai successo. Il fallimento, dunque, è davvero dietro l’angolo.

di Domenico Melidoro

Equità sembra essere la parola d’ordine della prima manovra finanziaria dell’Unione. La distanza che separa la finanziaria al centro del dibattito politico di questi giorni, dalle manovre finanziarie degli anni passati, è notevole. Durante la scorsa legislatura la cosiddetta “Finanza creativa” ideata da Giulio Tremonti (e approvata da Berlusconi) sembrava legittimare le sperequazioni sociali e faceva poco o nulla per contrastare il dramma dell’evasione fiscale. Oggi invece parole come “equità” e “redistribuzione” compaiono tra molto clamore nel vocabolario della politica italiana. Ovviamente, il giudizio sul valore di una politica economica ispirata ai principi dell’equità e della redistribuzione della ricchezza sociale varia in base alla collocazione politica di chi lo pronuncia (e allora, forse, la distinzione tra Destra e Sinistra ha ancora un qualche significato!).

di Marco Dugini

La prima Finanziaria del secondo governo Prodi è stata infine varata. D’Alema l’ha definita un parto “miracoloso”, e forse è davvero così, anche se non necessariamente la cosa va intesa con un’accezione positiva. Piuttosto si è trattato di una soluzione condivisa e mediata in extremis, esito per nulla scontato, vista la nota eterogeneità della coalizione unionista, che mette assieme un arco di posizioni che vanno dalla scuola liberista doc a quella neo-keynesiana. Compito difficile venire incontro alle pretese di Confindustria e, insieme, alle richieste e alle pressioni dei sindacati, entrambi in posizione assai guardinga. E così il bambino, anzi la bambina, fragile sul momento, eppure in carne e ossa, aspetta di essere riconosciuta legittima dai suoi tanti padri. Il battesimo non potrà che essere in Parlamento, dove la maggioranza - par di capire- sarà salda anche senza fiducia, tanto che le destre hanno preferito la chiamata alle armi in piazza, anziché in sede parlamentare. Luci e ombre su questa manovra da 33,4 miliardi, di cui solo 4 finanziati con entrate tributarie e il resto con massicci tagli ad enti locali (4 miliardi in meno), sanità (3), apparato statale (12).


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