di Elena G. Polidori

Siamo un’altra volta senza giornali. Perchè ogni tentativo di dialogo tra giornalisti ed editori per il rinnovo del contratto scaduto ormai due anni fa è finito nel nulla. Il governo aveva proposto un tavolo unico per legge sull'editoria e contratto dei giornalisti. Questi ultimi, attraverso i vertici della Federazione della Stampa, avevano apprezzato, offrendo ancora nuove aperture fino al punto di dichiararsi pronti a “rimettere nel cassetto” ogni rivendicazione facendo ripartire il dialogo da zero. Ma dalla Federazione degli Editori, sempre più decisa a prendere i soldi dal governo senza spendere nulla, è arrivato un nuovo, secco no. E stavolta lo schiaffo non è stato dato solo ai giornalisti ma anche al governo che con ben tre ministri (Damiano, Mastella e Gentiloni) e un sottosegretario alla Presidenza del consiglio (Ricardo Franco Levi) si era fatto portabandiera del dialogo e del confronto. Così i giornalisti, riuniti negli Stati Generali della categoria, hanno deciso di alzare immediatamente le mani dalle tastiere dei computer e di dichiarare sciopero.

di Giovanna Pavani

Le ferrovie uniscono, più di qualsiasi altro tipo di trasporto, un Paese. E anche dove la povertà ha la meglio su tutto, c’è sempre un treno, una vecchia locomotiva, a consentire ad un popolo di sentirsi meno isolato nel proprio male di vivere e a permettergli di partire, di migliorare, di ritrovarsi, spesso anche di fuggire. Le ferrovie, insomma, sono la spina dorsale della mobilità di una nazione e della sua voglia di crescita e di riscatto anche quando manca tutto il resto. Se falliscono le ferrovie è un segnale inquietante per l’economia di qualsiasi nazione e per le sue potenzialità di crescita e di espansione. Ieri, l’amministratore delegato di Trenitalia, Mauro Moretti, ha informato la commissione Lavori Pubblici di Palazzo Madama che le nostre ferrovie sono sull’orlo del fallimento. E' l'immagine più netta di un'Italia ferma su un binario morto. E i treni sono solo l'ultimo capitolo.

di Alessandro Iacuelli

Eni e Gazprom sono in fase di contrattazione sempre più serrata. I termini dell'accordo definitivo non sono ancora chiari, infatti la firma era stata fissata per lo scorso 15 ottobre ma è poi stata rinviata. Quel che si è capito è che si tratta di un'intesa che dovrebbe consentire a Eni di investire nei giacimenti russi di gas naturale e al gigante russo di vendere gas ai consumatori italiani. Da oramai oltre un anno l'interesse di Gazprom è quello di entrare nella distribuzione italiana del gas e a questo scopo vorrebbe acquisire il 30% del capitale di Snam rete gas. In cambio promette ad Eni il rinnovo per altri dieci anni dei contratti che scadono nel 2017.

di Giovanna Pavani

E’ questa la settimana decisiva per Alitalia. Il calendario è serrato: faccia a faccia Prodi-Cimoli, poi il cda della compagnia. Quindi la presentazione del piano del governo che si muoverà su tre punti: ingresso dei privati con capitali freschi, nuovo management in grado di gestire il piano industriale e strette alleanze internazionali, soprattutto puntate verso il mercato dell’Est; soci che hanno rotte, soldi, ma non scali e che si trovano nel Golfo Persico, India, Cina, Thailandia. Il governo, dunque, guarda ad est e alle ricche compagnie saudite o nei Paesi del Sol Levante: offre scali in cambio di quella liquidità necessaria ad ostracizzare per sempre lo slogan che ha contrassegnato le settimane più critiche della storia del vettore nazionale: “Più si vola, più si perde”. Con il titolo Mib che ha scandito, inesorabile, il conto alla rovescia verso il baratro. Giovedì è stato il giorno più nero, con il titolo che ha chiuso a Piazza Affari con un secco -9%. Non era mai successo. Il fallimento, dunque, è davvero dietro l’angolo.

di Domenico Melidoro

Equità sembra essere la parola d’ordine della prima manovra finanziaria dell’Unione. La distanza che separa la finanziaria al centro del dibattito politico di questi giorni, dalle manovre finanziarie degli anni passati, è notevole. Durante la scorsa legislatura la cosiddetta “Finanza creativa” ideata da Giulio Tremonti (e approvata da Berlusconi) sembrava legittimare le sperequazioni sociali e faceva poco o nulla per contrastare il dramma dell’evasione fiscale. Oggi invece parole come “equità” e “redistribuzione” compaiono tra molto clamore nel vocabolario della politica italiana. Ovviamente, il giudizio sul valore di una politica economica ispirata ai principi dell’equità e della redistribuzione della ricchezza sociale varia in base alla collocazione politica di chi lo pronuncia (e allora, forse, la distinzione tra Destra e Sinistra ha ancora un qualche significato!).


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