di Cinzia Frassi

Poco tempo è passato dall’empasse della finanziaria. In un primo momento il governo Prodi sembrava in bilico davanti all’evidente difficoltà di riuscire a far digerire agli italiani l’ennesima tornata di “sacrifici” in nome del bene del Paese; d'altra parte una legge di bilancio che si impone di rastrellare circa 35 miliardi di euro è una bella batosta. Eppure il governo del Professore ha tenuto e il Prodi si è mostrato sorridente e soddisfatto dei risultati, quasi come se la voragine in cui fino a poco tempo prima sembravano sprofondare i conti pubblici si fosse colmata improvvisamente. Non a caso lo stesso Presidente del Consiglio, poco prima di festeggiare capodanno, aveva dichiarato che si trattava di “una manovra forte che tocca molti aspetti della vita di tutti, che non poteva non portare a incomprensioni”, ma che, tuttavia, avrebbe portato “l'Italia al centro della scena europea”.

di Eliana Pellegrini

Anche in questi ultimi giorni delle feste, c’è chi scende in piazza non per fare il presepe vivente, ma per protestare, manifestare per la tutela del proprio lavoro, dei propri diritti e dei diritti fondamentali sanciti dalla nostra ormai strapazzata, molestata e spesso violentata Costituzione (art. 32: La Repubblica tutela la salute come fondamentale diritto dell'individuo e interesse della collettività e garantisce cure gratuite agli indigenti). Questa volta tocca agli psicologi e psicoterapeuti della Campania, che nella difesa del loro lavoro e nella tutela della loro professionalità, evidenziano quanto poco sia considerata la tutela e la cura della salute psichica. La Regione Campania ha infatti emesso una circolare che invita i Distretti Sanitari della Na 1 a chiudere entro il 31 dicembre 2006 tutte le psicoterapie in convenzione con i Centri di Riabilitazione. In termini numerici, questa circolare va a ledere il diritto al lavoro di circa 300 Psicologi Psicoterapeuti e va a ledere il diritto alla cura psicoterapica di circa 4200 utenti (bambini, coppie, famiglie).

di mazzetta

Proprio mentre in Europa si fanno più pressanti gli allarmi per lo “sfondamento” dei prodotti OGM a dispetto delle regole introdotte dall’Unione per limitarne la circolazione e sperimentazione, si è forze arrivati all’alba dell’abbandono delle tecnologie per la modificazione genetica di flora e fauna.
Un abbandono che ancora è lontano da venire ma che pare ineluttabile, vista la maturazione di una tecnologia alternativa per la produzione di specie di animali e piante economicamente più produttive. Dove i divieti e le precauzioni si sono dimostrate impotenti a fronte della pressione delle grandi multinazionali del settore ( e soprattutto fronte di una serie di trucchi più o meno sporchi per imporli), sembra che a mandare in soffitta gli OGM sarà il progresso tecnologico.

di Alessandro Iacuelli

Che il testo di legge sul CIP6 andasse modificato radicalmente, non ci sono dubbi. Semmai non si capisce perchè in Italia, negli anni scorsi, sia stato varato un testo che "assimila" all'energia rinnovabile inceneritori, centrali a carbone e centrali che fanno uso di scarti petroliferi. Fatto sta che fino ai giorni nostri è andata proprio così: un prelievo diretto fatto sulla bolletta dell'elettricità degli utenti, per le fonti rinnovabili; soldi che poi sono andati a finanziare strutture che usano fonti che rinnovabili non sono, inquinanti e che senza contributi per le rinnovabili non potrebbero stare sul mercato, essendo perennemente in perdita sul piano economico, oltre che su quello energetico.Storicamente, i fondi CIP6 sono i "contributi alle fonti di energia assimilabili alle energie alternative". Formulazione piuttosto oscura e piena di falle, che indica i finanziamenti destinati a progetti energetici "poco rinnovabili", ma trattati come se fossero "vere fonti energetiche rinnovabili".

di Agnese Licata

Ryszard Kapusciski, in uno dei suoi libri sui mille volti dell’Africa, nati dalla volontà di dare voce a chi voce non ha, descrive la vita di una donna africana. Una donna come tante, povera come la maggior parte delle donne africane, in una delle immense periferie delle città africane dove la speranza di una vita migliore non esiste. La penna del giornalista (che ha alle spalle quarant’anni di viaggi nei Paesi in via di sviluppo) si ferma sull’unico oggetto che questa donna possiede e che la rende, a suo modo, privilegiata. Si tratta di una comunissima pentola, vecchia e malandata, oggetto apparentemente insignificante, ma fonte di un piccolissimo reddito. Quanto basta per fare la differenza tra sopravvivere faticosamente e morire lentamente. Basterebbe anche solo questo esempio per rendersi conto dell’enorme baratro che divide Nord e Sud del mondo e quanto il concetto stesso di ricchezza possa essere diverso.


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