di Giovanni Gnazzi

Siamo membri del G8, fondatori della Ue, celebratori del Pil a tempo indeterminato, tifosi entusiasti del “made in Italy”. Esportiamo “peace keeping” e democrazia, ma non siamo una nazione: siamo un caravanserraglio. Succede così che a danzare nel piatto del nostro scombinato paese si divertono in molti, è cosa nota. Perché solo una “Repubblica di Franceschiello” può permettersi il lusso e la vergogna di cedere a stranieri una azienda strategica come quella delle telecomunicazioni. Le telecomunicazioni, come l’energia e i trasporti, sono alcune delle imprese su cui poggia il sistema-paese, strategiche dunque. Ma stavolta, a ricordarci il nanismo politico di cui patiamo, tocca a statunitensi e messicani, che hanno presentato una offerta per rilevare i due terzi di Olimpia, la finanziaria di Tronchetti Provera che detiene il controllo di Telecom Italia. La “AT&T” statunitense e la “America Movil” sono pronti a sborsare 2,82 Euro ad azione per prendersi Olimpia, con ciò indicando una speculazione colossale alle viste, dato che l’offerta è decisamente al di sopra del valore reale sul mercato azionario.

di Giovanna Pavani

Chiamarlo “colpo d’ala” è senza dubbio eccessivo. Ma chi credeva che alla caduta del governo sarebbe corrisposta anche la fine della strategia indicata da Padoa Schioppa per raggiungere, nei tempi previsti, la cessione di Alitalia, è rimasto senza dubbio sorpreso. Ma non del tutto sollevato. Proprio nei momenti di maggiore fibrillazione della crisi di governo, sui tavoli delle cinque compagnie aspiranti acquirenti del vettore italiano è piovuto un documento di 22 pagine nelle quali sono elencate le condizioni poste dall’attuale azionista di maggioranza per l’avvio della trattativa. Un punto su tutti sembra essere imprescindibile: Alitalia dovrà restare italiana per almeno altri otto anni. Logo, marchio e sede non si toccano. Nessuna indicazione, invece, sul mantenimento dei livelli occupazionali, fatto che ha già messo in allarme il fronte sindacale.

di Alessandro Iacuelli

Enel amplia l’impianto nucleare slovacco di Mochovce. Lo dichiarano l’amministratore delegato di Enel, Fulvio Conti, e il primo ministro della Repubblica Slovacca, Robert Fico, in una nota congiunta. L’accordo riguarda la costruzione del terzo e quarto gruppo dell’impianto nucleare di Mochovce. In particolare, “Slovenske Elektrarne”, di cui Enel ha acquisito nell’aprile 2006 il 66% del pacchetto azionario, si è impegnata negli ultimi mesi ad accelerare la raccolta di tutti i dati necessari per una valutazione dettagliata e complessiva del progetto. Su questa base, la società slovacca controllata da Enel avvierà i lavori di costruzione dell'impianto, in modo tale da anticipare la data del completamento delle due unità. L’investimento totale previsto è di 2,23 miliardi di dollari.

di Alessandro Iacuelli


Dopo la grande bolla speculativa riguardante Internet e, più in generale, l’informatica e le telecomunicazioni, che ha attraversato l’Italia negli anni scorsi, ecco giungere pesantemente la crisi industriale e commerciale anche nel settore delle nuove tecnologie. Settore delicato, perché composto essenzialmente da lavoratori giovani, troppo giovani per pensare ad un prepensionamento, fortemente specializzati e spesso precari. Desta infatti molta preoccupazione il fatto che Esprinet, azienda con sede a Nova Milanese che opera nella distribuzione all’ingrosso di informatica ed elettronica di consumo, ha annunciato alle organizzazione sindacali che ci sono 30 lavoratori in esubero. Non è affatto un caso isolato. Salta semmai all’occhio che questo “esubero” di forza lavoro nasce subito dopo l’acquisizione, da parte di Esprinet, di Actebis, altra azienda di distribuzione. Per chi non è “addetto ai lavori” potrebbe infatti apparire un po’ strano che un azienda in grado di acquisirne altre vada in crisi occupazionale.

di Liliana Adamo

Diciamocelo francamente: se il ministro Pecoraro Scanio pone al centro della dibattuta manovra economica i 600 milioni d’euro come primo rimedio per diminuire le emissioni di gas serra,oltre che una rinnovata prassi legislativa per recuperare la situazione drammatica del nostro paese in materia di politiche ambientali, allora arriviamo a credergli quando dichiara (su Il Riformista) “che bisogna pensare al Protocollo di Kyoto come alla nostra nuova Maastricht”. Sul serio, se questo governo dimostrasse un’assunzione di responsabilità al rispetto dei limiti sulle emissioni d’anidride carbonica, con uguale ostinazione mostrata al rapporto tra deficit e Pil, sotto la soglia del 3%, si tasterebbe il polso ad una causa altrettanto vitale, varrebbe a dire: abbiamo fatto la finanziaria per “Maastricht”, adesso facciamo la finanziaria per “Kyoto”, o meglio, per citare tout court il ministro all’Ambiente, “la finanziaria del clima”.


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