di Agnese Licata

Quando si parla di concentrazione, in qualsiasi settore economico questa avvenga, la prima conseguenza a cui si pensa è la riduzione della libertà di scelta. Cosa che, in una società basata sulla democrazia e il pluralismo, dovrebbe essere vista come una delle minacce da contrastare con più forza. A maggior ragione, poi, se a concentrarsi nelle mani di pochi non sono aziende qualunque, ma proprio quelle che dovrebbero aiutare i cittadini a svolgere nel miglior modo possibile il proprio ruolo sociale, che è bel altro dall’essere semplici consumatori o appetibili voti da conquistare. Per questo non esiste paese democratico che non abbia introdotto particolari norme anti-trust (dall’inglese trust, concentrazione, appunto) per il settore dell’informazione. Oggi come oggi, però, in un mondo globale e nell’era di Internet, le leggi nazionali hanno sempre meno la forza d’imporsi. Per rendersene conto basta guardare a come nessuno si sia scandalizzato di fronte all’ultimo tentativo di acquisizione portato avanti da Rubert Murdoch, colui che già da anni viene definito “re dei media”, proprietario di una galassia – la News Corporation - con un utile netto valutato in 2,65 miliardi di dollari.

di Alessandro Iacuelli

E' stato firmato un contratto tra la Sogin e la francese Areva per il trattamento in Francia del combustibile nucleare italiano, un contratto dal valore commerciale di oltre 250 milioni di euro. L'accordo prevede il trattamento, in Francia, di 235 tonnellate provenienti dalle ex centrali di Caorso, Trino e Garigliano. Le operazioni di trasferimento del combustibile saranno avviate nel 2007 e richiederanno circa 5 anni. Dopo il trattamento, che avrà luogo nello stabilimento di La Hague, i residui rientreranno in Italia entro il 2025. Ricordiamo che la Sogin (Società Gestione Impianti Nucleari SpA) è un'impresa pubblica alla quale è affidato il decomissioning delle centrali nucleari italiane, mentre Areva è il colosso francese delle tecnologie nucleari. Il trattamento del combustibile irraggiato permette di separare le materie valorizzabili - per le quali Areva si è impegnata a individuare un futuro impiego - dai rifiuti finali che saranno restituiti in una forma che ne riduce il volume e ne garantisce, secondo le due aziende, la sicurezza nel lungo termine. In particolare da Caorso partiranno 190 tonnellate di combustibile, da Trino Vercellese 32 tonnellate e, infine, dal Garigliano 13 tonnellate.

di Alessandro Iacuelli

Grandi manovre in campo energetico, in questa primavera italiana. A dire il vero si tratta di manovre economiche nel settore dell'energia. Come in una partita a risiko, ogni giorno ci sono nuovi sviluppi sulla delicata questione della fusione tra le due “multiutility”: AEM Milano e ASM Brescia. E' atteso in questi giorni un nuovo incontro tra i sindaci delle città lombarde, che fa seguito all'avvenuta assemblea dei soci della multiutility bresciana. Nel frattempo, altre voci parlano di una possibile fusione tra il consorzio HERA, dell'Emilia Romagna, e della romana ACEA, un vero colosso del settore.

di Alessandro Iacuelli

Potrebbe essere un'occasione di riscatto, per un Italia sempre in ritardo rispetto al resto d'Europa nel sincronizzare la propria legislazione - spesso antiquata - con l'evolversi della società. Infatti il nostro Paese è tra i primi dell'Unione Europea, insieme a Lettonia e Lituania, ad aver recepito la Direttiva del 2004 sulla responsabilità ambientale in materia di prevenzione e riparazione del danno ambientale. "La prevenzione e la riparazione del danno ambientale", si legge nel testo della direttiva europea, "dovrebbero essere attuate applicando il principio per il quale chi inquina paga". Il principio fondamentale dovrebbe essere quindi che l'operatore la cui attività ha causato un danno ambientale o la minaccia imminente di tale danno sarà considerato finanziariamente responsabile in modo da indurre gli operatori stessi ad adottare misure e a sviluppare pratiche atte a ridurre al minimo i rischi di danno ambientale.

di Elena G. Polidori

Il possibile sbarco dei messicani e degli americani di At&t nel core business di Telecom ha reso palese quanto la politica delle privatizzazioni, avviata ormai quindici anni fa, sia da considerasi fallimentare. Un’imprenditoria italiana con il culto dell’alta finanza e del grande guadagno con il minimo investimento, ha dato la spallata definitiva all’ossatura industriale del Paese con la sola eccezione della Fiat di Marchionne, il cui cambio di strategia (investimenti forti sul prodotto anziché sugli scambi borsistici) ha consentito alla grande azienda di Torino di tornare a brillare quasi come un tempo sul fronte delle entrate e, conseguentemente, del Pil. Qualsiasi storico dell’economia, a fronte di questo fallimento della politica delle privatizzazioni, suggerirebbe al governo italiano di non proseguire oltre nella dismissione dei “gioielli di famiglia” a beneficio di finanzieri senza scrupoli che vogliono investire poco, realizzare molto e, soprattutto, tagliare i posti di lavoro per abbattere ulteriormente i costi. E invece no. Entro la fine di giugno il governo Prodi sarà chiamato a dire l’ultima parola sulla prossima privatizzazione di Fincantieri, primo costruttore mondiale di navi da crociera con un portafoglio clienti superiore a qualunque concorrente, a cominciare dalla principale “nemica” di mercato, la Aker Yard scandinava. E tutto sembra congiurare verso un ulteriore passo falso dell’attuale, miope e inadeguata, classe politica: Prodi sembra orientato verso il sì.


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