di Elena G. Polidori

Il possibile sbarco dei messicani e degli americani di At&t nel core business di Telecom ha reso palese quanto la politica delle privatizzazioni, avviata ormai quindici anni fa, sia da considerasi fallimentare. Un’imprenditoria italiana con il culto dell’alta finanza e del grande guadagno con il minimo investimento, ha dato la spallata definitiva all’ossatura industriale del Paese con la sola eccezione della Fiat di Marchionne, il cui cambio di strategia (investimenti forti sul prodotto anziché sugli scambi borsistici) ha consentito alla grande azienda di Torino di tornare a brillare quasi come un tempo sul fronte delle entrate e, conseguentemente, del Pil. Qualsiasi storico dell’economia, a fronte di questo fallimento della politica delle privatizzazioni, suggerirebbe al governo italiano di non proseguire oltre nella dismissione dei “gioielli di famiglia” a beneficio di finanzieri senza scrupoli che vogliono investire poco, realizzare molto e, soprattutto, tagliare i posti di lavoro per abbattere ulteriormente i costi. E invece no. Entro la fine di giugno il governo Prodi sarà chiamato a dire l’ultima parola sulla prossima privatizzazione di Fincantieri, primo costruttore mondiale di navi da crociera con un portafoglio clienti superiore a qualunque concorrente, a cominciare dalla principale “nemica” di mercato, la Aker Yard scandinava. E tutto sembra congiurare verso un ulteriore passo falso dell’attuale, miope e inadeguata, classe politica: Prodi sembra orientato verso il sì.

di Alessandro Iacuelli

Dopo un lungo testa a testa con la tedesca E.On, durato 18 mesi, Enel, insieme alla spagnola Acciona, riesce ad acquisire nel prossimo mese di luglio la società elettrica Endesa, la più grande in Spagna con 13 milioni di clienti e impianti per 21.400 mw, proprietaria di centrali nucleari e a rinnovabili. Immediata la dichiarazione dell'amministratore delegato Fulvio Conti: "Un gruppo che potrà sviluppare notevoli sinergie e fin da subito farà crescere del 25% l’utile per azione dell’Enel". Infatti, Endesa, con l’11,84% del mercato delle energie rinnovabili in Spagna é leader in Europa. Quando sarà concluso il contratto con con Enel e Acciona, ci troveremo davanti ad un colosso energetico con una potenza totale di 90 mila megawat, una capitalizzazione di 90 miliardi di euro, la presenza in 22 paesi in quattro continenti e 55 milioni di clienti. Dati che vengono superati solo dalla francese Edf.

di Giuseppe Zaccagni

L’Eni ha vinto la gara per agganciarsi alla russa Yukos. E così, con l’acquisizione di quella società in fallimento, il colosso italiano Enineftegaz – dalla sua sede romana dell’Eur - si aggiudica, con l’Enel, una fetta importante del petrolio e del gas russo. Nell’operazione c’è soprattutto lo zampino di Putin, ma ci sono anche la benedizione di Prodi (celebrata nella recente visita italiana del presidente russo) e il compiacimento del ministro Bersani in questa nuova operazione finanziaria che segna una svolta in Italia e in Europa. Tutto è avvenuto con una serie di mosse-lampo (con gli esperti di Eni ed Enel guidati da Marco Alvera, un manager laureato in “Philosophy and Economics” alla “The London School of Economics and Political Science”) che hanno sbaragliato il colosso russo Rosneft che si era presentato a sorpresa alla gara. Si dice che il prezzo dell’intera operazione è stato di 151.536 miliardi di rubli, circa 4.4 miliardi di euro. Tutto questo perché il lotto in asta comprendeva il 20% delle azioni di Gazpromneft, il braccio petrolifero il cui pacchetto di controllo è in mano al gigante energetico Gazprom (emanazione economica del potere attuale russo), i pacchetti di controllo delle filiali di Yukos Arktikgaz e Urengoil e azioni di altre 19 aziende del settore energetico.

di Giovanni Gnazzi

Siamo membri del G8, fondatori della Ue, celebratori del Pil a tempo indeterminato, tifosi entusiasti del “made in Italy”. Esportiamo “peace keeping” e democrazia, ma non siamo una nazione: siamo un caravanserraglio. Succede così che a danzare nel piatto del nostro scombinato paese si divertono in molti, è cosa nota. Perché solo una “Repubblica di Franceschiello” può permettersi il lusso e la vergogna di cedere a stranieri una azienda strategica come quella delle telecomunicazioni. Le telecomunicazioni, come l’energia e i trasporti, sono alcune delle imprese su cui poggia il sistema-paese, strategiche dunque. Ma stavolta, a ricordarci il nanismo politico di cui patiamo, tocca a statunitensi e messicani, che hanno presentato una offerta per rilevare i due terzi di Olimpia, la finanziaria di Tronchetti Provera che detiene il controllo di Telecom Italia. La “AT&T” statunitense e la “America Movil” sono pronti a sborsare 2,82 Euro ad azione per prendersi Olimpia, con ciò indicando una speculazione colossale alle viste, dato che l’offerta è decisamente al di sopra del valore reale sul mercato azionario.

di Giovanna Pavani

Chiamarlo “colpo d’ala” è senza dubbio eccessivo. Ma chi credeva che alla caduta del governo sarebbe corrisposta anche la fine della strategia indicata da Padoa Schioppa per raggiungere, nei tempi previsti, la cessione di Alitalia, è rimasto senza dubbio sorpreso. Ma non del tutto sollevato. Proprio nei momenti di maggiore fibrillazione della crisi di governo, sui tavoli delle cinque compagnie aspiranti acquirenti del vettore italiano è piovuto un documento di 22 pagine nelle quali sono elencate le condizioni poste dall’attuale azionista di maggioranza per l’avvio della trattativa. Un punto su tutti sembra essere imprescindibile: Alitalia dovrà restare italiana per almeno altri otto anni. Logo, marchio e sede non si toccano. Nessuna indicazione, invece, sul mantenimento dei livelli occupazionali, fatto che ha già messo in allarme il fronte sindacale.


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