di Eliana Pellegrini

Anche in questi ultimi giorni delle feste, c’è chi scende in piazza non per fare il presepe vivente, ma per protestare, manifestare per la tutela del proprio lavoro, dei propri diritti e dei diritti fondamentali sanciti dalla nostra ormai strapazzata, molestata e spesso violentata Costituzione (art. 32: La Repubblica tutela la salute come fondamentale diritto dell'individuo e interesse della collettività e garantisce cure gratuite agli indigenti). Questa volta tocca agli psicologi e psicoterapeuti della Campania, che nella difesa del loro lavoro e nella tutela della loro professionalità, evidenziano quanto poco sia considerata la tutela e la cura della salute psichica. La Regione Campania ha infatti emesso una circolare che invita i Distretti Sanitari della Na 1 a chiudere entro il 31 dicembre 2006 tutte le psicoterapie in convenzione con i Centri di Riabilitazione. In termini numerici, questa circolare va a ledere il diritto al lavoro di circa 300 Psicologi Psicoterapeuti e va a ledere il diritto alla cura psicoterapica di circa 4200 utenti (bambini, coppie, famiglie). A questa si aggiungono le lotte di varie associazioni di psicologi che denunciano tentativi da parte del ministero della sanità in “combutta” con lo strapotere dell’ordine professionale dei medici, di medicalizzare la formazione psicologica rendendo così più blando il confine tra Psicologia/psicoterapia e psichiatria., almeno agli occhi dei non addetti ai lavori.

Gli educatori professionali, quelle figure trasversali a molti servizi di supporto, assistenza ed educazione del disagio in tutte le sue variegate forme, non se la passano meglio.
Con il decreto n. 520 dell’8 ottobre 1998, “regolamento recante norme per l'individuazione della figura e del relativo profilo professionale dell'educatore professionale” (GU n. 98 del 28-4-99), il Ministero della Sanità ha definito l'Educatore Professionale una figura sanitaria, che pertanto deve essere formato nella Facoltà di Medicina e Chirurgia, diventando una sorta di personale para - medico – assistenziale - sanitario.

Anche la riabilitazione fisica oltre a quella psichica non vede bei momenti, visto il tentativo di deprofessionalizzare la categoria dei fisioterapisti.
La legge n. 27 del 3 febbraio 2006 approvata dal Parlamento prevede la possibilità di equipollenza tra laureato in Scienze Motorie (attuale titolo di studio degli Insegnanti di educazione fisica) e laureato in fisioterapia (attuale titolo di studio dei Fisioterapisti) attraverso un non meglio definito "corso su paziente”.

E, per concludere un breve e di certo non esaustivo elenco di soprusi ai danni della sanità “altra”, il lento calvario verso l’inevitabile chiusura che dal 2002 percorrono i consultori familiari, che qualcuno ultimamente ha addirittura avuto il coraggio di definire “facilitatori di aborti”.

Tanto per chiarire, i consultori familiari, istituiti dalla legge 405 del 29 luglio 1975, hanno la finalità di garantire il sostegno alla procreazione, alla sessualità, alle relazioni di coppia e della famiglia e di assicurare attività di informazione ed educazione socio-sanitaria sui temi inerenti la sfera femminile. Viene da chiedersi a quale idea di salute e sanità l’Italia voglia ispirarsi, o meglio, quale esempio di sistema sanitario nazionale l’Italia stia cercando di importare.

La costituzione dell’ Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS), definisce la salute come “stato di completo benessere fisico, psichico e sociale e non semplice assenza di malattia”. La triste considerazione è che, al di là del governo e dei governi, si profila sempre più chiara in Italia la volontà politica e sociale di far di nuovo coincidere (come nel medioevo) il concetto di sanità con quello di cura medica post trauma fisico. Concetti quali prevenzione del disagio psico-fisico, riabilitazione, promozione del ben-essere, assistenza alle fasce deboli, sembrano subire le tristi conseguenze dell’essere passati di moda.

Si torna alla pastiglina per ogni dolore, male o disagio fisico e psichico.
Si torna irrimediabilmente indietro, alla censura di quelle malattie che non si possono curare in reparto, dove il disagio diventa stigma e quindi necessita emarginazione; dove le scelte rispetto al proprio corpo e alla maternità consapevole vengono considerate come un’offesa e un insulto a quel paffutello pargoletto che viene messo in una mangiatoia la notte del 25.
Si torna alla cura perché tanto gli effetti della prevenzione non sono così facilmente visibili come lo è invece una bella cicatrice da punti di sutura.
Per questo che non bisogna mai dimenticare e anzi sostenere chi, anche nei giorni di Natale, scende in piazza... e non per fare il presepe vivente.

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