di Alessandro Iacuelli

Si può parlare quanto si vuole, in questi giorni, di tagli sulle spese, di recupero del PIL, di azioni che il governo deve intraprendere. Per certi versi però sorprende che a livello istituzionale ci sia un'attenzione per certi versi scarsa, o quanto meno al di sotto di quanto dovrebbe essere, nei confronti del bene più prezioso, quello in grado di muovere merci, economie, titoli in borsa, fabbriche, ed anche eserciti: l'energia.
Quello del piano energetico nazionale era ed è uno dei banchi di prova fondamentali al quale si attende il governo in carica, soprattutto dopo la crisi artificiale di questo inverno che ha riguardato il gas, crisi che ha permesso alla russa Gazprom di diventare il terzo gruppo industriale del mondo, scavalcando addirittura Microsoft e che ha reso l'Italia terra di conquista per le speculazioni energetiche mondiali, proprio perché il nostro Paese gioca la partita a scacchi dell'energia senza un piano strategico.

di Domenico Melidoro

Tommaso Padoa Schioppa Sarà che quando si parla di politica si ha la memoria corta, che in queste ultime settimane l'attenzione dell'opinione pubblica è stata dominata prima dalle vicende legate agli scandali spregiudicati del dorato mondo del pallone e ora dalle avventure sportive dei Mondiali di Germania, ma le dichiarazioni e le diagnosi del Ministro dell'Economia Tommaso Padoa Schioppa sulla condizione economico-finanziaria del nostro Paese avrebbero dovuto far riflettere di più e meglio, soprattutto tra gli elettori dell'Unione. Innanzitutto dovrebbe far pensare che le dichiarazioni di Padoa Schioppa sulle rovinose condizioni delle casse dello Stato non sono poi così diverse, nei toni e nella sostanza, da quelle fatte cinque anni or sono da Berlusconi e dai suoi fedeli Ministri, che rinfacciavano ai colleghi della precedente legislatura di aver lasciato in eredità una quantità enorme di debito pubblico, al di là della retorica sul risanamento e sul virtuoso ingresso dell'Italia nella moneta unica.

di mazzetta

Il nuovo governo si è appena insediato ed già è abbastanza chiaro che, a sistemare i conti lasciati in dissesto da Tremonti, dovranno pensare i soliti noti, ovvero i percettori di reddito fisso, i pensionati e quelli che non hanno mai potuto evadere le tasse e mai ci riusciranno. Forse l'attuale governo potrà realizzare una maggiore giustizia fiscale nei prossimi anni, ma per ora le misure che sono all'orizzonte sono destinate a pescare dove hanno sempre pescato, in modo che chi ha avuto si terrà il maltolto e chi ha dato sarà chiamato a dare di nuovo e di più. Un procedimento che viene accettato come ineluttabile; un governo sperpera e, quello successivo, più di sinistra, chiede lacrime e sangue ai poveretti. In verità non è esattamente inevitabile che finisca ancora una volta così: è solo che la classe politica italiana, composta da gente che per decenni ha vissuto blindata entro questi orizzonti, vuole procedere secondo questo schema. Nella realtà ci sono altri pozzi ai quali pescare, altre ricchezze da chiamare a contribuire alla salvezza dei conti e degli impegni verso l'Europa, ma quei pozzi non si vuole toccarli.

di Sara Nicoli

Dice Piersilvio Berlusconi: "Lo scandalo del calcio non inciderà nella sfera dei diritti tv". Beato lui che ci crede. O, forse, ci spera. Ma è solo una pia illusione, la sua. Lo scandalo del pallone riaprirà, inevitabilmente, la partita dei diritti tv. E siccome, almeno allo stato attuale dell'arte, questa potrebbe trasformarsi in una guerra di lunghi coltelli, il governo Prodi ha pensato bene di tentare almeno di metterci, da subito, una pezza, con un decreto ad hoc che dovrebbe dettare nuove regole per l'acquisizione delle immagini delle squadre principali e conseguenti tetti massimi di prezzo. Se ne parlerà nelle prossime settimane. Ma nell'attesa, è meglio farsi due conti. Perché tra la partita di "piedi puliti" e quella dei "diritti violati" c'è davvero di che spaventarsi.

di Daniele John Angrisani

Il 25 maggio 2006, a suo modo, è una data storica. E' stata la dimostrazione del fatto che anche gli dei della finanza, nonostante si ritengano onnipotenti ed invincibili, possono cadere per terra come tutti gli esseri umani.
A distanza di quattro anni dallo scoppio dell'affare Enron, la madre di tutti i processi sugli scandali finanziari ha infatti decretato il suo verdetto finale: Kenneth Lay, ex presidente e fondatore di Enron, è stato giudicato colpevole di tutti e sei i capi di imputazione che gli venivano contestati, dalla frode all'associazione a delinquere e rischia ora una condanna fino a 40 anni di carcere. Non è andata meglio per Jeffrey Skilling, l'ex braccio destro di Lay ed amministratore delegato di Enron fino all'agosto 2001: è stato ritenuto colpevole di ben 19 dei 28 capi di imputazione per cui era sotto processo, per frode, insider trading e falsa testimonianza. Potrebbe essere perciò condannato fino a 185 anni di prigione, anche se molto probabilmente otterrà una pena minore.


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