di Carlo Benedetti

Si trasformano, ancora una volta, la geopolitica e la geoeconomia del nostro continente. Perché la Commissione europea ha stabilito che la Slovenia (1.197.000 abitanti) ha raggiunto i requisiti necessari per l'adozione dell'euro. Si è ad una nuova svolta, che non deve però sorprendere perché sin dai tempi della Yugoslavia di Tito l'area, guidata da Lubiana, era considerata come la "nazione preferita", la più ricca, la più occidentalizzata e la più democratica. Fattori questi che l'hanno poi portata (grazie ad una forte sponsorizzazione della Germania e del Vaticano) a fare parte a pieno titolo - unica delle ex repubbliche jugoslave - dell'Unione Europea nel 2004, divenendo anche membro della Nato nell'ambito dell'allargamento dell'Alleanza atlantica che aveva già inglobato alcuni dei paesi un tempo considerati nemici. Si delinea, pertanto, un profilo sintetico e complessivo di una intera epoca. Gli sloveni, come deciso a Bruxelles, batteranno dal gennaio 2007 moneta europea. Tutto avverrà dopo che il Consiglio dell'Ue si sarà nuovamente consultato con i capi di Stato e di governo dei "Venticinque" in occasione del summit del giugno prossimo. Esami superati, comunque, per Lubiana e per la sua economia che l'Europa definisce "positiva" aprendo le porte ad un'ulteriore globalizzazione. Ora, come primo passo, il paese dovrà fissare il cambio tra il tallero - la sua moneta - e l'euro, ma il tasso dovrà restare invariato fino al gennaio 2007, quando sarà adottata ufficialmente la nuova valuta.

di Luca Bartoli

Le menzogne di Berlusconi e Tremonti sullo stato dell'economia italiana hanno fatto sì che le proposte di Prodi per risalire la china del debito e ritrovare la competitività non possano che essere considerate insufficienti. Il rischio? Un default sul debito e l'uscita dall'euro entro 10 anni. Sono molto pessimistiche le previsioni del Financial Times sull'Italia dopo la vittoria di troppo stretta misura di Prodi alle politiche. La tesi e' contenuta nell'ascoltatissimo commento settimanale dell'editorialista Wolfgang Munchau, condirettore del quotidiano londinese. "La risicata vittoria della coalizione di centro-sinistra guidata da Romano Prodi - si legge nell'editoriale - costituisce il peggior esito immaginabile in termini di possibilità dell'Italia di rimanere nell'Eurozona oltre il 2015. Prevedo che gli investitori internazionali inizino ad assumere scommesse speculative sulla partecipazione italiana all'Euro entro la durata di un governo Prodi". Queste - puntualizza Munchau - non sono scommesse sull'impegno politico di Prodi nei confronti dell'Euro. Sarebbe infatti difficile trovare un politico più a favore dell'Europa dell'ex Presidente della Commissione europea. Sono invece scommesse sulle circostanze economiche "che potrebbero obbligare un governo a prendere decisioni che sono inimmaginabili fino al momento in cui diventano inevitabili". "Tutti sappiamo - sottolinea Munchau - che l'economia italiana si trova in profonde difficoltà. Ma é importante ricordare che i problemi italiani sono differenti da quelli della Francia e della Germania. Molte economie continentali sono afflitte da bassa crescita e alta disoccupazione. Anche l'Italia soffre di un basso livello di crescita anche se la sua creazione di posti di lavoro e' stata rilevante. Ma il problema dell'Italia é quello di non essere pronta ad una vita nell'Unione monetaria".

di Raffaele Matteotti

Il 20.5% delle aziende italiane che contano da 20 a 199 addetti è fallito nel 2005; per le grandi aziende, quelle oltre i 200 addetti, i fallimenti hanno riguardato il 12.8% del totale.
Una media azienda su cinque, una grande azienda su otto è sparita per fallimento l'anno scorso, stabilendo un altro di quei record che per il nostro paese sarebbe meglio non vantare.
Un aumento record dei fallimenti certificato dalla CGIA di Mestre, che denuncia la difficoltà del sopravvivere delle imprese nel nostro paese. Le uniche a sfuggire al trend sono le piccole aziende, che questo anno sono fallite meno dell'anno precedente, in controtendenza sul dato complessivo che vede il totale dei fallimenti aumentare del 10% sul 2004, con un clamoroso +50% per i fallimenti delle grandi imprese.

di Raffaella Angelino

C'è una pubblicità che irrompe di frequente durante le serate passate davanti alla televisione: una donna che acquista un capo d'abbigliamento che costa sempre di più col passare dei secondi. C'è il viso perplesso dell'ignara consumatrice e una voce fuori campo che chiede se si farebbe mai trattare in quel modo da un conto corrente. Le banche, anche attraverso i messaggi promozionali, si fanno il lifting, cercano di ricostruirsi una credibilità fortemente compromessa dagli scandali costati lacrime e sangue ai risparmiatori. Oltre cinquanta miliardi di euro di sudati risparmi andati in fumo, dati alla mano, distrutti in un arco temporale di circa tre anni. Un milione di italiani truffati che ci hanno rimesso la liquidazione, piccoli risparmi di una vita, anziani che hanno varcato la soglia dell'istituto di credito di fiducia con un gruzzoletto di trentamila euro in tasca (quando ancora in Italia si riusciva a risparmiare), alla ricerca di un investimento sicuro di cui potessero beneficiare figli o nipoti, o essi stessi nel caso in cui ne avessero avuto di bisogno, trattati come speculatori, trascinati di peso sulle montagne russe della finanza. Borse piene di risparmi trasformate in sacchi della spazzatura carichi di obbligazioni emesse da paesi emergenti o da società private risultate insolventi, come Cirio e Parmalat.

di Sara Nicoli

L'Italia è ferma, immobile, bloccata. Stagnante. A crescita zero, ma le culle vuote stavolta non c'entrano nulla. L'Istat, di solito parco nel dispensare dati imbarazzanti per il governo e più avvezzo ad edulcorare la realtà di un Paese in ginocchio per non creare panico a bordo, stavolta non ha fatto sconti: l'economia Italiana è a crescita zero, il Pil è rimasto fermo allo 0% e questa frenata ha avuto pesanti - immaginabili - ripercussioni sull'occupazione. Nell'ultimo anno sono stati persi 102.000 unità di lavoro, posti a tempo indeterminato, pari ad un egual numero di famiglie che oggi hanno davanti un futuro sempre più incerto.
I dati parlano di un calo occupazionale dello 0,4% e l'indebitamento netto della pubblica amministrazione, cioè il deficit calcolato in rapporto al Pil, è aumentato, nel 2005, arrivando al 4,1%. Che è leggermente migliore rispetto alla stima del governo, orientato al 4,3%, ma è come pensare che un'aspirina possa essere servita ad allungare di qualche ora la vita di un malato terminale.
Un disastro. Che tuttavia non ha impedito al ministro Tremonti di commentare come una vittoria il lieve miglioramento della voragine del Pil rispetto alle sue stesse previsioni. "Il risultato del 4,1% - ha detto il Ministro e Vicepremier - è oggettivamente positivo, significa che la cura ha funzionato". Una presa in giro sempre più inaccettabile.


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