di Giovanna Pavani

E’ finita un’era per la compagnia di bandiera italiana. Alitalia si avvia verso la privatizzazione. Il governo ha deciso di procedere alla cessione di una quota di controllo detenuta dal ministero dell’Economia oggi in possesso del 49% del capitale societario, attraverso una procedura competitiva a trattativa diretta. Lo Stato intende scendere sotto quota 30% nel controllo della compagnia e questo passo è stato salutato benevolmente dalla Borsa dove il titolo Alitalia, precedentemente sospeso, ha chiuso la giornata con un netto +11%. E’ dunque l’avvio di una fase definitiva di privatizzazione dell’azienda i cui snodi saranno resi noti entro gennaio. Da undici mesi Alitalia si trova in grosse difficoltà finanziarie e ha bisogno di essere rilanciata con un piano industriale credibile, come ha sostenuto lo stesso Prodi, che allo stesso tempo assicuri precise garanzie occupazionali. Ma prima di tutto resta da chiarire un punto, quello dei vertici. Giancarlo Cimoli, hanno ribadito con forza tutti i vertici sindacali della categoria, deve andarsene. E c’è un fronte compatto anche all’interno dell’Esecutivo (dal ministro dell'Ambiente, Alfonso Pecoraro Scanio a quello della Solidarietà Sociale, Paolo Ferrero fino al responsabile dell’Università Fabio Mussi), che ha condizionato il proprio placet alla “fase 2” di Alitalia all’immediato passaggio di consegne dell’attuale management verso un nuovo asset capace di traghettare la compagnia verso una privatizzazione senza scosse. Il problema del licenziamento del presidente e Ad di Alitalia sembra difficile da risolvere quasi quanto la crisi dell’intera azienda: in ballo ci sono i soldi della liquidazione del manager che molti, all’interno del governo, non sarebbero intenzionati a sborsare in virtù del palese fallimento della mission. Anche perché le casse di Alitalia sono davvero vuote. “Il management che ha portato l'Alitalia a questa situazione disastrosa - avrebbe detto Pecoraro Scanio durante la riunione del consiglio dei ministri - deve avere subito una risposta...”. Stessa linea ribadita anche da Mussi. “ Se vogliamo mettere al centro della società italiana il principio del merito – ha sottolineato il parlamentare della sinistra Ds - questo principio non deve valere solo per i giovani e i ricercatori, ma anche per i manager, che devono essere responsabili pure del loro fallimento se falliscono”. Particolarmente incisivo sull’argomento un altro ministro, quello delle Infrastrutture Antonio Di Pietro. “Abbiamo fatto rilevare che è fuori luogo e fuori tempo che a gestire questa fase delicata e di transizione sia lo stesso management. In questo senso, un avvicendamento ai vertici di Alitalia prima avviene e meglio è. Per definizione – ha rincarato l’ex pm - una volta che il controllo della società va ai privati, saranno gli altri che decideranno quale sarà il management da apportare”.

E’ caccia aperta, dunque, al possibile socio italiano che solo o in cordata, rilevi la quota di Alitalia per un valore valutabile, secondo fonti di mercato, circa 300 milioni di euro. Le proposte che il governo si prepara a vagliare, avvalendosi di banche d'affari, dovranno avere “un contenuto industriale e offrire garanzie dal punto di vista della tutela del mercato nazionale e dell'occupazione”, secondo l’identikit tratteggiato dal ministro Pierluigi Bersani. Un vero imprenditore italiano, che investe, che organizza, rischia, rilancia e affronta con il Governo e il sindacato una pagina nuova – è invece l’idea del presidente di Confindustria, Luca Cordero di Montezemolo - che deve porre nel mercato competitività, efficienza al servizio dei cittadini per un marchio importante che hanno tutti gli altri paesi occidentali e che è giusto rafforzare e rilanciare, “ma su basi completamente diverse”.

Nella ridda delle ipotesi della prima ora, sono in molti ad intravedere in questi profili quello di Carlo De Benedetti e della sua "M&C", Management e Capitali, il fondo in cui doveva entrare anche Silvio Berlusconi, quotato dal giugno scorso, fra i cui soci figurano anche Diego Della Valle, Fondo Centaurus, Goldman Sachs, Cerberus Capital. La mission della società potrebbe tra l’altro sposarsi con il tipo di intervento di cui necessita l’ormai ex compagnia di bandiera, quindi un rilancio con la salvaguardia occupazionale. Tuttavia, la soglia di investimento per ogni singola operazione della società di cui De Benedetti è il presidente del consiglio di sorveglianza, si ferma a un tetto massimo del 30%, pari a circa 150 milioni di Euro. In uno scenario che la veda coinvolta, la M&C sarebbe quindi un segmento, per quanto importante, di un raggruppamento che dovrebbe vedere altri “capitani coraggiosi”. Una cordata, dunque. E della quale, sempre stando alle voci colte subito dopo la decisione del governo, potrebbero far parte anche gruppi bancari quali Banca Intesa e Unicredit. Improbabile, invece, un interesse dei Benetton, altro grande gruppo citato tra i possibili protagonisti. Il quartier generale di Ponzano Veneto, attraverso Schemaventotto, è infatti impegnato nella fase più delicata dell’ operazione Autostrade-Abertis. E i rapporti con il governo attraversano una fase che dire travagliata potrebbe essere considerato quasi un’eufemismo visto lo scontro legale ingaggiato con l'Anas nella complessa partita della fusione e del passaggio della concessione autostradale.

Per di più, a scoraggiare i Benetton vi sarebbe la presenza del gruppo nel settore aeroportuale, asset di primario interesse; presenza che, con l’ipotesi Alitalia, andrebbe a configurare simmetricamente la situazione Autostrade-Autogrill, già osteggiata sotto il profilo del conflitto d'interessi. Secche smentite, invece, da parte della Sea aeroporti mentre, sul fronte del vettore nazionale, il nome più ricorrente è quello di Carlo Toto e di Air One, anche se molti ritengono l'impegno troppo oneroso per le spalle dell'imprenditore abruzzese. Nel panorama europeo intanto, la Lufthansa ha fatto sapere di non avere in programma, al momento, nessuna partecipazione in Alitalia: sulla favoleggiata patnership internazionale, quindi, si dovrà ancora attendere. Anche se lo sguardo (principalmente da parte del governo) è rivolto verso il sol levante e non verso l’Europa. Significativo, su questo fronte, il silenzio di Air France-Klm, alleata della compagnia italiana attraverso un accordo commerciale rafforzato da uno scambio azionario incrociato del 2%. Ma prima di parlare di alleanze la privatizzazione dovrà essere completata. E, soprattutto, Cimoli dovrà fare le valigie in fretta ed uscire di scena. Possibilmente con le tasche vuote.


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