di Mariavittoria Orsolato

Massimo Ciancimino, rampollo del fu sindaco mafioso di Palermo don Vito, è stato arrestato dagli agenti della Dia lo scorso giovedì con l’accusa di calunnia aggravata ai danni dell’ex capo della polizia Gianni De Gennaro. Il super teste della presunta trattativa tra Stato e mafia si stava recando in Francia, presumibilmente per il ponte pasquale, ma la vacanza è terminata nel carcere di Parma, a poche celle di distanza da quelle dei boss Bernardo Provenzano e Filippo Graviano.

Stando a quanto affermano il pm Ingroia e i sostituti Nino Di Matteo e Paolo Guido, Ciancimino jr avrebbe falsificato un documento autografo del padre, aggiungendo di suo pugno il nome del direttore del Dis (dipartimento per le informazioni di sicurezza) accanto ai nomi di alcuni personaggi delle istituzioni che avrebbero avuto un ruolo nell’ormai nota trattativa.

Ad aggravare la posizione di Ciancimino, venerdì si è aggiunta la notizia del ritrovamento nella sua abitazione palermitana di tre candelotti di tritolo collegati a due detonatori attraverso altrettanti cavi. Ad informare gli inquirenti sarebbe stato lo stesso Massimo durante il primo interrogatorio nel carcere parmigiano: “Qualcuno - ha detto ai pm - nei giorni scorsi ha citofonato a casa mia e mi ha detto: c’e’ una cosa per lei che questa volta potrà aprire, la prossima volta forse no’’.

Lui si è spaventato, ha aspettato un po’ di tempo, poi è uscito e ha trovato un pacco nel portone. Non sapendo che fare, l’ha bagnato con il tubo per innaffiare e, siccome non voleva farlo vedere alla moglie per non farla preoccupare, l’ha lasciato nel suo giardino. L’omissione sarebbe quindi stata dettata dalla paura, ma il fatto che in passato Ciancimino fosse sempre stato prontissimo a denunciare qualsivoglia atto intimidatorio, adombra di ragionevoli dubbi una versione che sembra comunque far acqua da tutte le parti.

Un durissimo colpo per l’attendibilità di quello che è considerato uno dei pochi mortali a conoscenza di come andarono realmente le cose in quella sanguinosa estate del 1992. Manna dal cielo per il partito dell’amore, che da tempo accusa Ciancimino di essere solo una delle pedine dell’odiatissima magistratura nonché il santo laico della stampa sinistrorsa, Santoro in primis. Così se da un parte Maurizio Gasparri minaccia di presentare esposti contro la Rai e il giornalista “perché è stato permesso a Ciancimino di usare la Rai per i suoi scopi oscuri e avere un alone di impunità”, dall’altra le testate vicine a Berlusconi spendono fiumi d’inchiostro per dimostrare l’astio e la malafede di quello che a tutti gli effetti è soprattutto un collaboratore di giustizia.

A questo proposito anche la magistratura comincia ad avanzare i suoi dubbi e per la prima volta il pm di Palermo Ingroia ammette la possibilità che dietro al figlio dell’ex sindaco di Palermo possa effettivamente esserci un “puparo”. Un abile regista che manovrerebbe le testimonianze a proprio piacimento e che dunque Ciancimino si presterebbe a proteggere, non si sa a quale titolo. “È chiaro - precisa subito Ingroia - che una dichiarazione per calunnia non è acqua fresca. La credibilità di Ciancimino è minata, ma è anche vero che ci sono sue dichiarazioni che stanno in piedi a prescindere dalla sua attendibilità generica, perché riscontrate da elementi specifici”.

Sta di fatto che a seguito di questo arresto, due particolari verità sostenute da Ciancimino rischiano di sgretolarsi: la prima è quella riguardante la trattativa tra il Ros di Mario Mori e Bernardo Provenzano che, grazie alla complicità di don Vito avrebbero preso accordi a cavallo tra le stragi di Capaci e via d’Amelio; la seconda è quella ch invece tira in ballo Berlusconi, Dell’Utri e i loro effettivi rapporti con Cosa Nostra. Il manicheismo che invade le questioni di giustizia impedisce infatti di valutare ogni episodio come a sé stante e, per l’effetto della forza centripeta della politica, tutto finisce per mischiarsi nel calderone della polemica ad oltranza da cui, com’è ovvio, non può uscire nulla di sensato.

Così il capogruppo del Pdl alla Camere Cicchitto ne approfitta immediatamente per dichiarare che “la procura di Palermo vuole continuare a gestire Ciancimino in proprio”, seguito a ruota nello sproloquio dal senatore Idv Luigi Li Gotti  per cui “capire per chi e per cosa Ciancimino abbia scientificamente mischiato falsità e menzogne rappresenta la risposta agli interrogativi sullo stragismo e sulla trattativa”. Quello che in gergo si definisce “parlare perché si ha la bocca” e che indubbiamente, a livello dell’opinione pubblica, contribuisce a irrigidire le posizioni impedendo di arrivare ad una valutazione obiettiva.

Probabilmente suo malgrado, Ciancimino negli ultimi due anni ha guadagnato una delle posizioni più controverse nella scena politica italiana, dividendo l’opinione pubblica sulla sua persona e sull’effettivo ruolo dei collaboratori di giustizia. Ora che quest’ultima si ritrova sempre più vilipesa - paragonata addirittura ad un’organizzazione terroristica - l’affaire Ciancimino rischia di delegittimare la figura del pentito e l’operato stesso della magistratura che gli da credito. Per non parlare della sinistra e di tutta quell’intellighenzia che da subito aveva avallato la buona fede del figlio di don Vito e che l’aveva eletto ad icona del ravvedimento.

Per questi e molti altri, la sicura convalida dell’arresto e il trasferimento di Ciancimino al carcere di Palermo, previsto dopo le festività pasquali, ha sapore d’amaro. Attendiamo sviluppi.

di Rosa Ana De Santis

La Capitale mostra sempre più la propria inadeguatezza ad affrontare l’emergenza dei profughi e dei rom in modo concreto e non propagandistico. L’accusa viene da un comunicato di denuncia della Comunità di Sant’Egidio, che non vede politica, né strategia, nelle scelte dell’esecutivo capitolino. Sarà un po’ difficile far passare la contestazione alla chetichella come la solita retorica dei comunisti e dell’opposizione. Sant’Egidio, infatti, che è fatta soprattutto di persone di fede cristiana, le mani nella miseria e nel disagio sociale le mette davvero. Non si ferma ai pulpiti, tantomeno ai comizi. Dal nazionale all’internazionale porta a casa risultati e prove di efficiente gestione.

Roma Capitale ha invece risposto con l’azione, ormai arcinota, degli sgomberi. Dagli insediamenti più piccoli a quelli più grandi. Da Lungotevere San Paolo a via Severini, all'ex Mira Lanza, altre 270 persone a via del Flauto. La scenografia efficace delle ruspe e della tabula rasa sui veleni della xenofobia dell’elettorato romano fa presa, ma purtroppo non fa che spargere, esattamente come la geografia dello sgombero ci suggerisce, ciò che prima era concentrato in un punto. Nasconde e disperde, ma non entra dentro al problema.

Dopo la morte dei 4 bambini nel campo abusivo dell’Appia, il Comune è rimasto inerte. Ci saranno quindi altri roghi e altre morti. E’ inevitabile. Non è passato alcun piano di messa in sicurezza temporaneo: si era parlato di tendopoli e caserme e del Centro assistenza rifugiati, il Cara di Castelnuovo di Porto. La soluzione è stata invece quella di smembrare le famiglie, trasferire donne e bambini e lasciare gli uomini in strada.

Il risultato di tutto questo è stato quello di acuire conflitti e incomprensioni con la comunità rom, per la quale tra l’altro la famiglia è qualcosa di più del nucleo singolo genitori-figli. Sono stati tolti i bambini dalle scuole e, ad oggi, più di 600 persone vagabondano per la città con tanto di minori al seguito. Quelli che l’assessore alle politiche sociali, Sveva Belviso, voleva portar via ai genitori per il solo fatto di essere rom e magari perché vagabondi dopo gli sgomberi ordinati dal Comune.

Niente di diverso per gli immigrati e i profughi provenienti da Libia e Tunisia. Roma non li vuole, non li vuole soprattutto nei giorni dei pellegrini che arriveranno per la beatificazione di Giovanni Paolo II. Non c’è dubbio quindi che se da un lato la Capitale ha abdicato a qualsiasi ruolo di guida e di stimolo nella gestione di questa difficile pagina di cronaca, dall’altro - e la questione dei nomadi lo dimostra - non ci sono le capacità e le competenze per gestire l’emergenza, per allocare nel territorio strutture di accoglienza e per controllare ogni deriva di disordine sociale e d’illegalità che certamente una situazione di così grande impatto può generare.

Del resto, se il passaggio di due pullman nella zona di Grottarossa è bastato a scatenare allarmismo, rasentando il senso del ridicolo e, cosa ancor più irresponsabile, è stato utilizzato a pretesto dalle Istituzioni locali per invocare la chiusura di Roma ai profughi, è evidente che chi guida la città non saprebbe mai controllare, né gestire quella che in Italia è diventata una seconda invasione di barbari. In Italia, perché i numeri reali, come ben sappiamo, hanno fatto il solletico al buon senso degli altri paesi europei. Parliamo infatti di 20 mila persone su 21 regioni ed è evidente che il panico è la meritata conseguenza di un paese disorganizzato e di Istituzioni incompetenti.

La denuncia di Sant’Egidio non svela quanto non si fosse già visto nella parata caricaturale degli Stati Generali. Una città maltrattata, dagli stessi romani in primis, occultata nei lustrini di un’autentica sfilata stagionale con annessa una giunta incollata. Il nutrito staff di comunicazione che affianca il sindaco, su cui nemmeno un ministro conterebbe, avrà un bel da fare a rispondere ai punti che Sant’Egidio invoca per uscire dalla palude del vagabondaccio e della chiusura pregiudiziale ai profughi (molti con regolare permesso di soggiorno) con cui Roma ha risposto ai problemi.

Una chiusura peraltro vana perché gli stranieri invisi, quelli che affollano periferie, fabbriche e case, a quanto pare ci servono e anche molto. Certo Sant’Egidio invoca l’autorità morale, la guida spirituale, la maturità politica. Un alfabeto dell’azione collettiva che sfugge agli amministratori della città. Ora c’è da pensare a Wojtyla beato, che è un affare serio per lo spirito. E il Sindaco bandito con il tricolore, mentre stringe la mano alla pancia piena di Federalberghi, lo sa.

 

 

 

di Cinzia Frassi

La maggioranza al Senato ha approvato l’emendamento che abroga le norme necessarie alla realizzazione di centrali nucleari sul territorio nazionale. “I cittadini sarebbero stati chiamati a scegliere fra poche settimane fra un programma di fatto superato o una rinuncia definitiva sull'onda d'emozione assolutamente legittima ma senza motivi di chiarezza”. E’ con queste parole che il ministro dello sviluppo economico, Paolo Romani, intervenendo al Senato nella discussione sul decreto omnibus, spiega la decisione di inserire un emendamento, approvato con 133 si, 104 no e 14 astenuti ieri pomeriggio, cui si mette temporaneamente in soffitta la localizzazione e la realizzazione di nuove centrali nucleari.

Quello che solo pochi giorni fa era un’emergenza del paese, nonché sinonimo di sicurezza, innovazione e modernità - il nucleare appunto - oggi è “un programma di fatto superato”. Il ministro sostiene anche che una vittoria degli antinuclearisti poteva tradursi nell’esclusione “dell'Italia dalla possibilità di intervenire con autorevolezza nel dibattito europeo sull'evoluzione della strategia per l'atomo”.

E’quindi il governo a decidere cosa sia chiaro o meno per i cittadini e cosa non è giusto fare sull’onda emotiva post Fukushima. Democratico no? Va da se che il nocciolo della questione non è il nucleare. Cosa poteva fare il caimano per evitare l’unica sfida che poteva vederlo sconfitto alle urne? Perché sarebbe il prossimo appuntamento referendario, a tradursi in una un sconfitta “elettorale”. I sondaggi parlavano chiaro nei giorni scorsi e delineavano uno scenario vicino al plebiscito contro il capo del Governo grazie all’effetto Fukushima. Le percentuali, infatti, sono pesanti: secondo il recente sondaggio Ipsos i cittadini contrari alla costruzione di centrali arriva al 78%, tra gli elettori del Pd addirittura al 90%  mentre si attesta al 66% tra quelli dello stesso Pdl.

Ma questo effetto, che per tutti si traduce in una maggiore propensione al voto referendario per dire “No” al ritorno del nucleare in Italia, per il presidente del Consiglio significa la possibilità che il quesito referendario per l’abrogazione di quel che rimane del legittimo impedimento raggiunga il quorum. E’ la politica del governo tutto: i processi di Berlusconi.

Che fare?  Bisogna correre subito ai ripari. Così, dopo la moratoria di un mese fa circa, relativa alla sospensione della localizzazione delle quattro centrali in previsione nella politica energetica del governo, ecco che si pensa ad un colpo gobbo. Perché la moratoria non basta e se ne sono resi conto. Ci voleva qualcosa di più efficace, come per esempio vanificare il referendum. Non si voleva rischiare. Il trucco di fissare le date dei referendum a giugno spendendo milioni di euro, che si potevano risparmiare votando con le amministrative di maggio, poteva non bastare.

E’ troppo importante quel quesito sul legittimo impedimento. I cittadini avrebbero potuto votare per abrogarlo, nel convincimento che la legge è uguale per tutti, anche per il presidente del Consiglio.  E questo non va bene. L’imputato B. non può permettersi di non incassare sul legittimo impedimento, proprio no. Intanto le associazioni e i comitati promotori insorgono, segnalando come questo sia un modo per il governo di indurre i cittadini a disertare le urne.

A dare manforte alle argomentazioni del ministro Romani, il ministro Tremonti alla commissione Affari costituzionali del Parlamento europeo ha argomentato contro il nucleare facendo proprie quelle critiche che fino a poche ore fa provenivano proprio dalle opposizioni: "E’ stata fatta davvero una contabilità del nucleare? Sono stati contabilizzati i costi del decommissioning (lo smantellamento delle centrali)? Esiste il calcolo del rischio radioattivo? La proposta di Tremonti alla Commissione consiste in un Piano europeo per la ricerca di energie da fonti rinnovabili, finanziato anche dagli Eurobond, che tanto gli piacciono.

Il segretario del Pd Bersani invece etichetta il dietro front del governo come “una vittoria nostra” aggiungendo che semmai non basta l’addio al nucleare ma è necessario “aiutare lo sviluppo delle rinnovabili”. Chi più tuona contro il colpo gobbo del governo è Antonio Di Pietro, che ha dichiarato in proposito: “Il governo tenta con un colpo di mano per truffare gli italiani”. L'emendamento che è stato presentato, secondo Di Pietro, “non abroga l'impostazione nucleare ma posticipa solamente la localizzazione degli impianti". Anche per il Presidente dei Verdi, Angelo Bonelli, è chiaro che il governo non ha cambiato idea, “è un trucco per far saltare il quorum ai referendum e poi ripresentare in un secondo momento il decreto per le centrali".

E’ quello che in effetti si desume dallo stesso emendamento che finalizza la temporanea sospensione per “acquisire ulteriori evidenze scientifiche sui profili relativi alla sicurezza nucleare, tenendo conto dello sviluppo tecnologico in tale settore e delle decisioni che saranno assunte a livello di Unione Europea”.

Ora la palla passa all’Ufficio centrale della Cassazione, che deve decidere se l’emendamento assorba totalmente il contenuto del quesito referendario. Il presidente emerito della Consulta, Piero Alberto Capotosti, chiarisce infatti che la Suprema Corte dovrà appunto stabilire se l'abrogazione delle norme sulla realizzazione di nuove centrali sia “sufficiente nel senso richiesto dai promotori del referendum”. Del resto, come si può facilmente capire dalla sua lettura, il quesito referendario è piuttosto articolato (http://it.wikipedia.org/wiki/Referendum_abrogativi_del_2011_in_Italia) e saremmo davvero nella periferia del diritto qualora una boutade del governo potesse decidere sull’effettività di una garanzia costituzionale come il referendum.

di Mariavittoria Orsolato

Per festeggiare degnamente il terzo compleanno del terzo governo Berlusconi, caduto proprio il 13 aprile, la maggioranza ha approvato alla Camera l’urgentissimo testo sulla prescrizione breve: con 314 voti a favore il Governo è finalmente riuscito nell’impresa di sbilanciare la giustizia a favore del primus habens, ovvero il premier. Un regalo confezionato ad arte e che ha visto l’intera squadra di governo prodigarsi, unita e compatta, per non perdere nemmeno uno dei preziosissimi voti utili a fare numero.

In quella che a rigor di logica dovrebbe essere la sua ora più buia, con scandali sessuali in pieno svolgimento e prestigio internazionale se è possibile ancor più in caduta libera, Berlusconi, come Freddie Krueger, riesce comunque a tornare illeso dagli inferi e a imporci nuovi incubi. In questo caso giudiziari. Per lui e molti altri - come i dirigenti Tyssenkrupp imputati a Torino o i colletti bianchi del Crac Parmalat - la riduzione dei tempi della prescrizione é letteralmente manna dal cielo e nel caso venisse confermata anche al Senato riuscirebbe ad obliterare processi in cui la colpevolezza degli imputati è palese (come nel processo Mills) o quasi.

Le “Disposizioni in materia di spese di giustizia, danno erariale, prescrizione e durata del processo”, questo il nome dato al provvedimento all'ultimo minuto grazie a un emendamento del peon Maurizio Paniz, non sono infatti altro che il testo riveduto e corretto del decreto sul processo breve archiviato nello scorso settembre. Se nella bozza portata avanti dal 2009 la strategia puntava ad uno spartiacque cronologico fin troppo ad personam - ne beneficiavano solo gli imputati per reati commessi prima del maggio 2006 - nel testo in visione al Senato tutti gli incensurati che si sottoporranno a giudizio per reati che esulino dalla “pericolosità sociale”, potranno automaticamente avere uno sconto da un quinto a un sesto di tempi di prescrizione.

Un’ecatombe giudiziaria che, secondo il presidente dell’Anm Luca Palmara, rischia di estinguere con un nulla di fatto almeno 15000 processi. Tra i reati considerati socialmente pericolosi rientrano esclusivamente quelli riguardanti mafia e terrorismo, perciò tutte le altre categorie penali - dall’omicidio ai reati finanziari - entrano a pieno titolo in questa amnistia preterinzionale. Se quindi il testo dovesse passare anche a Palazzo Madama si riuscirebbe a dare un poderoso colpo di spugna alla domanda di giustizia dei parenti delle vittime dell’Aquila, o a quelli di Viareggio o, comunque, a tutti quelli che sono in attesa di veder condannare qualcuno per omicidio colposo.

Durante le dichiarazioni di voto, trasmesse in diretta da Rai3 e seguite dai Tg serali, gli interventi dell’opposizione hanno sottolineato questo rischio ma è ben poco probabile che stavolta l’ennesima legge salva premier venga accantonata per le contestazioni di piazza, come accadde appena 7 mesi fa. Allora il testo era troppo spudorato per poter passare indenne il vaglio del Quirinale e i processi sembravano ancora troppo lontani dall’epilogo. Ora che i tempi processuali stringono, non è più possibile indugiare in balletti pseudo-democratici e la norma materializzatasi dal cilindro dell’onorevole ghostwriter Ghedini deve essere ratificata il più in fretta possibile.

Grazie alla prescrizione breve, il processo in cui il premier è imputato per corruzione in atti giudiziari si chiuderebbe entro l’estate, anticipando i tempi di circa sette mesi e rendendo impossibile l’emissione della sentenza in primo grado, prevista per i primissimi mesi del 2012. Anche il processo sui presunti fondi neri creati da Mediaset in cui Berlusconi risponde per frode fiscale, vedrebbe accelerata la sua fine: in teoria, si prescriverebbe alla fine del 2013, con la nuova legge sei mesi prima. Il nostro primus habens, nonostante negli ultimi trent’anni sia stato inquisito per reati di vario genere e sorta, è infatti paradossalmente incensurato e poco importa che questo status l’abbia guadagnato a suon di leggi ad personam e di corruzioni più o meno manifeste. Per il casellario giudiziario il cittadino B. ha la fedina penale intonsa.

Oltre al dono dell’impunità Berlusconi, allo scadere del suo terzo anno di governo, si ritrova in tasca anche una personalissima vittoria parlamentare. Se a dicembre la maggioranza boccheggiava sull’aritmetica, offrendo non precisati vantaggi a chiunque avesse deciso di voltare gabbana, mercoledì ha invece retto benissimo ed anzi ha guadagnato 10 voti - 316 rispetto i 306 necessari all’approvazione - nel corso del voto segreto sull’articolo 3. Un degno anniversario quindi quello che si è celebrato a Montecitorio, che ingigantisce, semmai ce ne fosse ancora bisogno, la distanza che c’è tra le “pubbliche nudità” del sovrano e il paese reale.

La speranza che un tale scempio dell’idea di giustizia non venga perpetrato, è riposta come sempre nelle mani del Presidente della Repubblica, che da Praga ha annunciato la volontà di valutare il testo “quando saremo vicini all’approvazione definitiva in Parlamento”. Si preannuncia dunque uno scontro col Colle, che Berlusconi spera di poter evitare con l’invio di Angelino Alfano che prossimamente dovrebbe raggiungere Napolitano per illustrargli i capisaldi della legge. Date le poche risorse intellettuali a disposizione del ministro della Giustizia, ci auguriamo che il Quirinale respinga la prescrizione breve ma, se la storia ci insegna qualcosa, Berlusconi tornerà comunque alla carica con altri lodi, leggi ad personam e trucchi da azzeccagarbugli, così come ci ha abituato nei suoi complessivi 10 anni di governo.

di Giovanni Gnazzi

L’Europa sarebbe insensibile al grido d’aiuto che viene dall’Italia? E perché dovrebbe accoglierlo? Siamo uno degli otto paesi economicamente più forti del mondo. Non c’è consesso internazionale, tra quelli che formalmente contano, che non ci vede come paese membro. Possibile mai che un paese ricco, con sessanta milioni di abitanti, non sappia come gestire 15.000, massimo 50.000 immigrati? Ma stando a Maroni, l’Europa è insensibile e non si capisce cosa ci stiamo a fare nella Ue.

Uno sfondone, come gli capita spesso quando posa il sax e tenta di parlare di politica. Ma Bruxelles non è Ponte di legno e glielo spiega il ministro degli Interni tedesco Hans-Peter Friedrich: "L'Italia sta infrangendo lo spirito dell'accordo di Schengen. In Europa tutti abbiamo un problema d’immigrazione e l'Italia non può reclamare la solidarietà degli altri Paesi se non c'è un problema d’immigrazione di massa. La solidarietà in Europa deve essere applicata quando un Paese è veramente colpito da un fenomeno d’immigrazione di massa. Questo non è il caso dell'Italia in questo momento", ha concluso il ministro tedesco.

Difficile dargli torto. Non è quindi vero che l’Europa rifiuti ogni collaborazione con l’Italia per la gestione del flusso migratorio proveniente dal Maghreb e non è vero nemmeno che il rifiuto di accettare le posizioni italiane sia indice d’indifferenza generale verso il problema o anche la spia di come un Unione fondata solo sul mercato e sul denaro sia tutt’altro che un blocco politico continentale.

L’identità europea è certamente tema delicato, ma non è questo all’ordine del giorno. I contrasti tra Roma e Bruxelles sono molteplici, soprattutto in politica estera ed economica ed era impensabile prevedere accoglienza benevola, ma nel merito si tratta d’altro. Se vogliamo cercare una risposta al perché del rifiuto europeo a sostenere le pretese italiane sui flussi migratori, possiamo invece cominciare a cercarla proprio nella politica che l’Italia ha scelto nella gestione dell’immigrazione dal sud del mondo.

L’incidenza dell’immigrazione sulla nostra dimensione demografica è lungamente inferiore alla media europea. L’incapacità di farvi fronte non è determinata dalla mancanza di strutture territoriali adeguate, bensì il contrario: non ci sono le strutture perché non averle è una scelta politica. Solo in Italia, si deve ricordare, il clandestino è considerato un reo invece che una vittima.

Solo in Italia i cosiddetti Centri di accoglienza temporanea sono luoghi definitivi di detenzione e solo in Italia si arriva a dare in outsourcing il respingimento degli immigrati (vedi accordi con Gheddafi prima e Tunisia ora), cercando di appaltare all’esterno il lavoro sporco. Solo in Italia politici di varia e mutevole collocazione hanno proposto di sparare sugli scafi contenenti dei civili. Solo in Italia i respingimenti in mare sono divenuti oggetto d’azione militare e solo in Italia l’appartenenza etnica ha prodotto provvedimenti legislativi ad hoc. E ancora, solo in Italia le campagne elettorali vengono condotte sull’incitazione alla xenofobia.

Che in tutta Europa, soprattutto nell’Est, le formazioni xenofobe e neonaziste siano in crescita è vero e che il tema dell’immigrazione sia passato da questione amministrativa e gestionale a questione politica lo è altrettanto; ma a decidere cosa fare non ci sono i piccoli partitini gemelli della Lega, bensì le Istituzioni europee. Difficile che il “fora di ball” possa convincere: come si può pensare che l’Europa possa assecondare le pulsioni italiane?

L’Italia, per via delle sue famigerate leggi liberticide contro l’immigrazione, viene considerata in tutta Europa un Paese xenofobo e anacronistico, che rifiuta di farsi carico della sua inevitabile quota di flussi migratori che gli spetterebbero in ragione della sua collocazione geografica, del suo peso economico, della sua densità popolativa e della sua estensione territoriale. Insomma l’Europa non assegna nessuna credibilità agli allarmi italiani sulla presenta invasione di migranti che subirebbe.

E’ proprio qui il problema. La credibilità del governo italiano in Europa è talmente scarsa che non solo non la si consulta nemmeno per le operazioni internazionali di guerra che la vedono direttamente protagonista, ma non vengono considerati credibili i suoi report politici, le sue richieste d’aiuto, in quanto ritenute costruite sul sentimento xenofobo del governo e non su circostanze reali. Del ricatto che la Lega esercita su Berlusconi, all’Europa non interessa, ancor meno delle esigenze lumbard per le elezioni amministrative, che si annunciano devastanti per le truppe guidate dal trota.

L’Europa è altra cosa. La Germania, alla fine dell’ottantanove, si trovò ad affrontare contemporaneamente due eventi epocali: un’immigrazione dalla Turchia di dimensioni enormi e, contemporaneamente, un flusso interno dall’Est verso l’Ovest seguito alla caduta del muro di Berlino. Ebbene, non si sognò mai di mettere in piedi un dispositivo repressivo che impedisse le due migrazioni, interna ed eterna. Riuscì, nonostante il contraccolpo economico pesantissimo derivante in particolare dai costi della riunificazione, a concepire una politica di assorbimento graduale ma continuo dell’emergenza, promuovendo politiche d’integrazione compatibili con le risorse a disposizione. E, va detto, ha accolto 400.000 immigrati dalla ex Jugoslavia. Tutto il contrario di quello che il governo italiano ha scelto e sceglie. E anche la Francia si è fatta carico di una quota d’immigrazione altissima, come del resto la stessa Gran Bretagna e la Spagna. L’hanno fatto senza chiedere all’Italia di cooperare.

Perché la lettura dei grandi scenari internazionali, dell’emergenza demografica internazionale, delle modificazioni profonde sull’organizzazione internazionale del mercato del lavoro, ha obbligato tutti coloro che sono dotati della capacità di delineare orizzonti politici a medio e lungo termine, a comprendere come la circolazione degli uomini non possa essere considerata un elemento momentaneo e l’integrazione è il prezzo dovuto alla nuova globalizzazione.

E’ tutto da vedere come l’entrata di nuove nazioni nel gotha dell’economia internazionale altereranno o modificheranno nel concreto il quadro attuale, ma pensare di affrontare il tema dei flussi migratori con le armi è idiota prima che criminale.

E’ vero, quella che abbiamo non è certo l’Europa disegnata da Spinelli nel Manifesto di Ventotene, tutt’altro. Continua a somigliare troppo alla definizione di quanti la ritengono un gigante economico, un nano politico e un verme militare. E anche sullo scenario internazionale l’Ue non ha dimostrato respiro e prospettiva politica tali da disegnare un progetto continentale, un modello sociale, giuridico, politico ed economico alternativo. Insomma nessuna nuova strada è stata presa e Bruxelles continua ad essere, nella sostanza, l’euroburocrazia che ha solo scalfito e superato le burocrazie nazionali. Ma non sono certo questi gli aspetti che spingono i balubba di governo a chiedere l’uscita dall’Unione; l’idea folgorante viene dalla lettura dei sondaggi sull’operato del governo del sultano.

L’Unione Europea è, e resta, comunque, l’unica strada possibile per sopravvivere alla crisi finanziaria globale (senza l’arrivo dell’Euro saremmo già andati nel default finanziario da anni). Resta comunque l’unico possibile veicolo per costruire un’identità continentale, un polo economico e sociale diverso, un’alternativa multipolare all’unipolarismo statunitense, un interlocutore credibile per il sud del mondo. Almeno se si crede che il prezzo della libertà transfrontaliera del denaro non possa essere pagato incarcerando gli esseri umani. Piuttosto che uscire dall’Europa, sarebbe il caso decidessimo di entrarci una volta per tutte. E questo, tra l’altro, passa anche per dotarci di un personale politico assolutamente distinto e distante da Maroni e Calderoli.

 


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