di Mariavittoria Orsolato

Massimo Ciancimino, rampollo del fu sindaco mafioso di Palermo don Vito, è stato arrestato dagli agenti della Dia lo scorso giovedì con l’accusa di calunnia aggravata ai danni dell’ex capo della polizia Gianni De Gennaro. Il super teste della presunta trattativa tra Stato e mafia si stava recando in Francia, presumibilmente per il ponte pasquale, ma la vacanza è terminata nel carcere di Parma, a poche celle di distanza da quelle dei boss Bernardo Provenzano e Filippo Graviano.

Stando a quanto affermano il pm Ingroia e i sostituti Nino Di Matteo e Paolo Guido, Ciancimino jr avrebbe falsificato un documento autografo del padre, aggiungendo di suo pugno il nome del direttore del Dis (dipartimento per le informazioni di sicurezza) accanto ai nomi di alcuni personaggi delle istituzioni che avrebbero avuto un ruolo nell’ormai nota trattativa.

Ad aggravare la posizione di Ciancimino, venerdì si è aggiunta la notizia del ritrovamento nella sua abitazione palermitana di tre candelotti di tritolo collegati a due detonatori attraverso altrettanti cavi. Ad informare gli inquirenti sarebbe stato lo stesso Massimo durante il primo interrogatorio nel carcere parmigiano: “Qualcuno - ha detto ai pm - nei giorni scorsi ha citofonato a casa mia e mi ha detto: c’e’ una cosa per lei che questa volta potrà aprire, la prossima volta forse no’’.

Lui si è spaventato, ha aspettato un po’ di tempo, poi è uscito e ha trovato un pacco nel portone. Non sapendo che fare, l’ha bagnato con il tubo per innaffiare e, siccome non voleva farlo vedere alla moglie per non farla preoccupare, l’ha lasciato nel suo giardino. L’omissione sarebbe quindi stata dettata dalla paura, ma il fatto che in passato Ciancimino fosse sempre stato prontissimo a denunciare qualsivoglia atto intimidatorio, adombra di ragionevoli dubbi una versione che sembra comunque far acqua da tutte le parti.

Un durissimo colpo per l’attendibilità di quello che è considerato uno dei pochi mortali a conoscenza di come andarono realmente le cose in quella sanguinosa estate del 1992. Manna dal cielo per il partito dell’amore, che da tempo accusa Ciancimino di essere solo una delle pedine dell’odiatissima magistratura nonché il santo laico della stampa sinistrorsa, Santoro in primis. Così se da un parte Maurizio Gasparri minaccia di presentare esposti contro la Rai e il giornalista “perché è stato permesso a Ciancimino di usare la Rai per i suoi scopi oscuri e avere un alone di impunità”, dall’altra le testate vicine a Berlusconi spendono fiumi d’inchiostro per dimostrare l’astio e la malafede di quello che a tutti gli effetti è soprattutto un collaboratore di giustizia.

A questo proposito anche la magistratura comincia ad avanzare i suoi dubbi e per la prima volta il pm di Palermo Ingroia ammette la possibilità che dietro al figlio dell’ex sindaco di Palermo possa effettivamente esserci un “puparo”. Un abile regista che manovrerebbe le testimonianze a proprio piacimento e che dunque Ciancimino si presterebbe a proteggere, non si sa a quale titolo. “È chiaro - precisa subito Ingroia - che una dichiarazione per calunnia non è acqua fresca. La credibilità di Ciancimino è minata, ma è anche vero che ci sono sue dichiarazioni che stanno in piedi a prescindere dalla sua attendibilità generica, perché riscontrate da elementi specifici”.

Sta di fatto che a seguito di questo arresto, due particolari verità sostenute da Ciancimino rischiano di sgretolarsi: la prima è quella riguardante la trattativa tra il Ros di Mario Mori e Bernardo Provenzano che, grazie alla complicità di don Vito avrebbero preso accordi a cavallo tra le stragi di Capaci e via d’Amelio; la seconda è quella ch invece tira in ballo Berlusconi, Dell’Utri e i loro effettivi rapporti con Cosa Nostra. Il manicheismo che invade le questioni di giustizia impedisce infatti di valutare ogni episodio come a sé stante e, per l’effetto della forza centripeta della politica, tutto finisce per mischiarsi nel calderone della polemica ad oltranza da cui, com’è ovvio, non può uscire nulla di sensato.

Così il capogruppo del Pdl alla Camere Cicchitto ne approfitta immediatamente per dichiarare che “la procura di Palermo vuole continuare a gestire Ciancimino in proprio”, seguito a ruota nello sproloquio dal senatore Idv Luigi Li Gotti  per cui “capire per chi e per cosa Ciancimino abbia scientificamente mischiato falsità e menzogne rappresenta la risposta agli interrogativi sullo stragismo e sulla trattativa”. Quello che in gergo si definisce “parlare perché si ha la bocca” e che indubbiamente, a livello dell’opinione pubblica, contribuisce a irrigidire le posizioni impedendo di arrivare ad una valutazione obiettiva.

Probabilmente suo malgrado, Ciancimino negli ultimi due anni ha guadagnato una delle posizioni più controverse nella scena politica italiana, dividendo l’opinione pubblica sulla sua persona e sull’effettivo ruolo dei collaboratori di giustizia. Ora che quest’ultima si ritrova sempre più vilipesa - paragonata addirittura ad un’organizzazione terroristica - l’affaire Ciancimino rischia di delegittimare la figura del pentito e l’operato stesso della magistratura che gli da credito. Per non parlare della sinistra e di tutta quell’intellighenzia che da subito aveva avallato la buona fede del figlio di don Vito e che l’aveva eletto ad icona del ravvedimento.

Per questi e molti altri, la sicura convalida dell’arresto e il trasferimento di Ciancimino al carcere di Palermo, previsto dopo le festività pasquali, ha sapore d’amaro. Attendiamo sviluppi.

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