di Rosa Ana De Santis

La Capitale mostra sempre più la propria inadeguatezza ad affrontare l’emergenza dei profughi e dei rom in modo concreto e non propagandistico. L’accusa viene da un comunicato di denuncia della Comunità di Sant’Egidio, che non vede politica, né strategia, nelle scelte dell’esecutivo capitolino. Sarà un po’ difficile far passare la contestazione alla chetichella come la solita retorica dei comunisti e dell’opposizione. Sant’Egidio, infatti, che è fatta soprattutto di persone di fede cristiana, le mani nella miseria e nel disagio sociale le mette davvero. Non si ferma ai pulpiti, tantomeno ai comizi. Dal nazionale all’internazionale porta a casa risultati e prove di efficiente gestione.

Roma Capitale ha invece risposto con l’azione, ormai arcinota, degli sgomberi. Dagli insediamenti più piccoli a quelli più grandi. Da Lungotevere San Paolo a via Severini, all'ex Mira Lanza, altre 270 persone a via del Flauto. La scenografia efficace delle ruspe e della tabula rasa sui veleni della xenofobia dell’elettorato romano fa presa, ma purtroppo non fa che spargere, esattamente come la geografia dello sgombero ci suggerisce, ciò che prima era concentrato in un punto. Nasconde e disperde, ma non entra dentro al problema.

Dopo la morte dei 4 bambini nel campo abusivo dell’Appia, il Comune è rimasto inerte. Ci saranno quindi altri roghi e altre morti. E’ inevitabile. Non è passato alcun piano di messa in sicurezza temporaneo: si era parlato di tendopoli e caserme e del Centro assistenza rifugiati, il Cara di Castelnuovo di Porto. La soluzione è stata invece quella di smembrare le famiglie, trasferire donne e bambini e lasciare gli uomini in strada.

Il risultato di tutto questo è stato quello di acuire conflitti e incomprensioni con la comunità rom, per la quale tra l’altro la famiglia è qualcosa di più del nucleo singolo genitori-figli. Sono stati tolti i bambini dalle scuole e, ad oggi, più di 600 persone vagabondano per la città con tanto di minori al seguito. Quelli che l’assessore alle politiche sociali, Sveva Belviso, voleva portar via ai genitori per il solo fatto di essere rom e magari perché vagabondi dopo gli sgomberi ordinati dal Comune.

Niente di diverso per gli immigrati e i profughi provenienti da Libia e Tunisia. Roma non li vuole, non li vuole soprattutto nei giorni dei pellegrini che arriveranno per la beatificazione di Giovanni Paolo II. Non c’è dubbio quindi che se da un lato la Capitale ha abdicato a qualsiasi ruolo di guida e di stimolo nella gestione di questa difficile pagina di cronaca, dall’altro - e la questione dei nomadi lo dimostra - non ci sono le capacità e le competenze per gestire l’emergenza, per allocare nel territorio strutture di accoglienza e per controllare ogni deriva di disordine sociale e d’illegalità che certamente una situazione di così grande impatto può generare.

Del resto, se il passaggio di due pullman nella zona di Grottarossa è bastato a scatenare allarmismo, rasentando il senso del ridicolo e, cosa ancor più irresponsabile, è stato utilizzato a pretesto dalle Istituzioni locali per invocare la chiusura di Roma ai profughi, è evidente che chi guida la città non saprebbe mai controllare, né gestire quella che in Italia è diventata una seconda invasione di barbari. In Italia, perché i numeri reali, come ben sappiamo, hanno fatto il solletico al buon senso degli altri paesi europei. Parliamo infatti di 20 mila persone su 21 regioni ed è evidente che il panico è la meritata conseguenza di un paese disorganizzato e di Istituzioni incompetenti.

La denuncia di Sant’Egidio non svela quanto non si fosse già visto nella parata caricaturale degli Stati Generali. Una città maltrattata, dagli stessi romani in primis, occultata nei lustrini di un’autentica sfilata stagionale con annessa una giunta incollata. Il nutrito staff di comunicazione che affianca il sindaco, su cui nemmeno un ministro conterebbe, avrà un bel da fare a rispondere ai punti che Sant’Egidio invoca per uscire dalla palude del vagabondaccio e della chiusura pregiudiziale ai profughi (molti con regolare permesso di soggiorno) con cui Roma ha risposto ai problemi.

Una chiusura peraltro vana perché gli stranieri invisi, quelli che affollano periferie, fabbriche e case, a quanto pare ci servono e anche molto. Certo Sant’Egidio invoca l’autorità morale, la guida spirituale, la maturità politica. Un alfabeto dell’azione collettiva che sfugge agli amministratori della città. Ora c’è da pensare a Wojtyla beato, che è un affare serio per lo spirito. E il Sindaco bandito con il tricolore, mentre stringe la mano alla pancia piena di Federalberghi, lo sa.

 

 

 

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