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di Cinzia Frassi
Per il nucleare è un momento buio, è evidente. Il disastro in Giappone e i terribili incidenti dei reattori a Fukushima hanno svelato con un impatto oltremodo drammatico le conseguenze dell'ingovernabilità delle centrali nucleari nell'imminenza di eventi naturali e di conseguenti errori umani o di falle nei dispositivi di sicurezza. Da quel momento in poi, politici, esperti e opinionisti si sono spesi con rinnovata passione pro o contro l'energia nucleare, proprio nel momento in cui nel nostro paese il governo ha imboccato a tutta velocità la strada del ritorno all'atomo.
Non solo, gli eventi drammatici giapponesi hanno illuminato a giorno le perplessità e l'assoluta contrarietà al nucleare di chi, in politica o nei comitati e associazioni, aspetta con trepidazione il prossimo referendum, forte di una rinnovata sensibilizzazione dell’opinione pubblica.
Tra l'altro l'opposizione negli ultimi giorni ha incassato la delusione di alcune mozioni con la quali si chiedeva l'accorpamento dei referendum alle elezioni amministrative del 15-16 di maggio. Conseguentemente i referendum sono stati fissati per il 12-13 giugno. Per un voto solo, quello del radicale Marco Beltrandi, salta quindi l'election day che doveva segnare un punto a favore del raggiungimento del quorum. Si teme infatti che, votandosi il referendum a giugno, i pigri cittadini, in un mese dove l'estate è ormai alle porte, possano preferire la spiaggia all'impegno civico.
Intanto gli antinuclearisti si preparano alla manifestazione di sabato 26 marzo a Roma, quando il Comitato referendario per l'acqua pubblica sarà in piazza con Cgil e numerose associazioni - tra le quali Legambiente - e alcuni partiti tra cui Idv, Pd e Sel. Gli argomenti contro il nucleare però (sicurezza, economicità, problema delle scorie) rischiano di essere oscurati dal pathos dei cittadini, tutti davanti alla tv ad osservare un paese, il Giappone, che rimanda immagini spaventose. Nel’immediato può pagare cavalcare l’opinione pubblica in un momento in cui è assolutamente focalizzata sul problema. Ma domani? Tra un mese?
Quello che è certo è che oggi per i sostenitori del nucleare non è aria. Quella italiana, tra l'altro, non è dato sapere se sia o meno minacciata dalla nube radioattiva che con tutta sorpresa del vecchio continente è arrivata spedita e minacciosa fin dalle coste nipponiche. Su questo fatto c'è molta leggerezza e poche sono le spiegazioni fornite ai cittadini, a parte sostenere che non vi sono pericoli. E' strano, anche il governo giapponese non si stanca di ripeterlo ai suoi di cittadini. Non c'è pericolo. Punto.
Davanti ad un’opinione pubblica così schierata, al governo non resta che correre ai ripari. Da un lato con la decisione di negare l'election day appunto e dall'altro con una novità degli ultimi giorni: una moratoria di un anno sul nucleare italiano e sulle decisioni che lo riguardano. Mettiamo in soffitta la questione e vediamo di sfoderarla quando l'ennesimo bunga bunga avrà fatto dimenticare agli italiani il dramma del Giappone.
Si perché se non ci fosse stato quel terribile terremoto e tutte le conseguenze che abbiamo visto, come in un effetto domino fatale, l'attenzione dell'opinione pubblica sarebbe di gran lunga diversa. Più che posizioni dettate dall'ideologia, anche politica ma non solo, le scelte dei cittadini sono più che mai protese a difendere l'ambiente che li circonda, il parco pubblico sotto casa piuttosto che il loro stesso giardino. L'abbiamo visto a Napoli quando i cittadini imbufaliti residenti nei pressi di discariche piene di rifiuti come montagne, hanno reagito violentemente. Not in my backyard. Insomma: da una altra parte sì, ma non qui.
La moratoria in questione assunta dal Consiglio dei ministri mercoledì 23 marzo scorso, risponde proprio all'esigenza di evitare sollecitazioni ulteriori a cittadini già molto sensibilizzati dagli eventi in Giappone. In particolare il decreto dispone la sospensione, per un periodo di 12 mesi, che forse diventeranno 24, delle procedure riguardanti la localizzazione e la realizzazione di centrali e impianti nucleari sul territorio italiano. Sul piano della programmazione, fa sapere il ministero, "restano confermati il deposito nazionale per lo stoccaggio e il ruolo dell'Agenzia per la sicurezza nucleare, quale organo competente per lo studio e la programmazione delle politiche riguardanti la sicurezza nucleare".
L’opposizione così come i comitati e le associazioni referendarie sono insorte giudicando la moratoria una truffa messa in campo frettolosamente con la finalità di vanificare il referendum di giugno. Secondo Gaetano Benedetto, direttore delle politiche ambientali di WWF Italia, si tratta di una scelta da vero “attendista stregone” con cui il governo “mira a sgonfiare la tensione sul referendum, il Governo ha bisogno di tempo per riavviare un percorso su cui non si capisce quali possano essere gli elementi di vero ripensamento che vengono maturati da qui a un anno".
Resta il fatto che un sondaggio recente realizzato dalla Gnresearch è una mannaia per il governo e per la sua smania di fare girare investimenti, nonché per alimentare gli interessi dell’industria italiana. Non dimentichiamo che il nucleare firmato governo Berlusconi sarebbe tutto un affare privato, dalla costruzione alla gestione successiva. Il sondaggio comunque svela come, su un campione di mille cittadini interpellato, tre italiani su quattro non solo sono contrari alla realizzazione di centrali nucleari, ma giudicano altresì negativamente le recenti politiche del governo che penalizzano le energie rinnovabili. Intanto per essere sicuri si dovrebbe lavorare affinché il 12 e il 13 giugno non sia bel tempo.
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di mazzetta
L'11 marzo il terremoto e lo tsunami hanno colpito il Giappone con le conseguenze che sappiamo tutti. Fin dalle prime ore è stato evidente trattarsi di una tragedia immane e nel mondo è scattata immediata una gara per i soccorsi. Diverse regioni italiane hanno dato la loro disponibilità per l'invio di squadre di ricerca e soccorso, in particolare unità mediche e cinofile che sono le più importanti nelle prime ore dopo il disastro.
Il 12 marzo, la Protezione Civile italiana ha diramato una nota nella quale scriveva che la missione italiana in Giappone era rimandata ”a seguito della nuova decisione delle autorità nipponiche di accettare nell’immediato esclusivamente aiuti provenienti da Stati Uniti, Nuova Zelanda e Corea del Sud, Paesi geograficamente più prossimi”. L'Italia rimaneva così "in attesa di ulteriori comunicazioni del Ministero degli Esteri del Giappone sugli interventi dei Paesi europei - Italia, Francia, Gran Bretagna e Germania - pronti a partire con team specializzati”.
Il Ministro degli Esteri Frattini il 14 ha dichiarato, a proposito dell'invio di squadre di soccorso che"l'Italia aspettava il via libera del governo giapponese per l'invio di aiuti e assistenza" e anche che"il Giappone non è Haiti ed è in grado di far fronte alla prima emergenza". Il 17 marzo le agenzie battevano la notizia del ritorno dei rescue team dei paesi europei (Francia, Gran Bretagna, Germania, Svizzera e altri), rimpatriati perché ormai la ricerca di superstiti assumeva la dimensione di speranza nei miracoli e per l'incombente minaccia posta delle radiazioni.
Mancava solo l'Italia e la sensazione é che tra Protezione Civile e Ministero degli Esteri, qualcuno abbia sbagliato qualcosa e poi si sia cercato di coprire l'incidente alla Berlusconi, cioé con una bugia inverosimile. Che però è passata quasi inosservata in questi tempi di crisi epocali. L'aver bloccato risorse disponibili e impedito che i soccorritori italiani contribuissero a salvare vite umane in una situazione di grande bisogno però resta grave, anche in momenti di grande caos.
A rendere dubbia la faccenda e difficile scelta tra colpa e dolo, si è poi aggiunto un particolare aspetto dell'atteggiamento del governo verso la crisi giapponese: la ridicola e frettolosa minimizzazione del rischio nucleare. Il motivo di un tale atteggiamento è chiaro a tutti e attiene al fatto che dopo un incidente del genere il piano nucleare del governo può considerarsi defunto. Mentre tutti i paesi che hanno il nucleare annunciavano cautele e ripensamenti, il nostro governo strillava d'andare avanti e i media che controlla dicevano che la disgrazia aveva semmai dimostrato che l'atomo è sicuro.
Ad acuire questa sensazione è arrivato il primo atto pubblico della nostra missione di coordinamento a Tokyo, perché appena arrivati i nostri sono saliti sul tetto e hanno telefonato all'Ansa per dire che Tokyo era meno radioattiva di Roma. Con il bel risultato che il sindaco di Roma Alemanno ha dovuto fare pubbliche dichiarazioni per smentire che i romani corrano pericoli. L'impressione che la questione sia gestita con un occhio alla propaganda c'è.
La buona notizia è che il Giappone non si è offeso ed è anzi molto contento della reazione dell'Italia. Abbiamo chiesto lumi all'ambasciata giapponese e, se c'è una cosa che il signor Takahashi, Consigliere d'ambasciata e capo dell'ufficio culturale e stampa, ha tenuto a sottolineare nel corso di una breve intervista, è la grande soddisfazione del Giappone per i rapporti con l'Italia.
Takahashi ha ricordato che ogni giorno il Giappone si consulta con i rappresentanti dei paesi che hanno offerto aiuto e che l'Italia ha in Giappone una missione per il coordinamento degli aiuti (quella sopra ricordata) e ha offerto ampia disponibilità. Ha ricordato le belle parole del Presidente della Repubblica Napolitano e ha voluto ringraziare a nome del popolo giapponese le istituzioni e i cittadini italiani per il grande supporto che hanno dimostrato (anche singolarmente) al Giappone in un momento tanto difficile.
Ha aggiunto, inoltre, che i rapporti tra i due paesi sono sempre stati ottimi e l'auspicio è che, quando il Giappone tornerà come e più forte di prima, le relazioni tra i due paesi saranno ancora più solide e feconde.
In riferimento alla vicenda dei soccorsi che sarebbero stati fermati su richiesta giapponese, il signor Takahashi ha detto che il governo giapponese non ha rifiutato nessun aiuto tra i tanti offerti e che non era al corrente della nota della Protezione Civile. Manca una valutazione sulle parole di Frattini, ma non si è avuto il cuore di fare altri danni e sottoporle alla sua attenzione.
Sciocchezze ai margini di una tragedia, perché la misura della ferita sofferta dal Giappone è enorme e l'incombere dell'incidente nucleare condiziona negativamente l'opera di soccorso a mitigare e riparare i danni provocati dalla natura e tiene sotto scacco il paese fino a che la situazione della centrale nucleare non si stabilizzerà in un senso o nell'altro. Se c'è una cosa che è chiara in mezzo a tante variabili, è che il Giappone ha bisogno di tutto l'aiuto possibile.
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di Cinzia Frassi
La situazione politica in Italia è grave, ma non è seria. Questo pensava del suo paese tanti anni fa il genio Ennio Flaiano. In effetti verrebbe davvero da sorridere, se non fosse che ormai ci appare molto meno seria, bizzarra e oltremodo grottesca. Perché ci sono spettacoli davvero stravaganti, per essere pacati, e per il fatto che ne siamo spettatori obbligati. Le sostenitrici ed i sostenitori del Pdl, con tanto di coccarde azzurre sul petto, affollano l'aula giudiziaria che al Tribunale di Milano ospita proprio l'udienza per corruzione dove dovrebbe essere presente il bel Silvio.
Lui naturalmente non c'è, ma loro sono lì, a sostegno del premier perseguitato. Pare anche che non solo facessero il coro a gran voce, intonando slogan del tipo "Silvio è buono e bravo e i giudici lo odiano" ma che avessero in tasca 20 euro e un panino per il pranzo. Addirittura pare che alcuni giornalisti abbiano riconosciuto tra loro visi conosciuti di figuranti di programmi televisivi di Mediaset.
Certo, fanno folkore, ma va da se che il cavaliere si sta difendendo molto bene fuori dalle aule giudiziarie, direttamente nelle istituzioni che le leggi le fanno, motivo che tra l'altro è all'origine della sua famosa discesa in campo. Infatti pare si stia aprendo una ulteriore fase di impasto e cottura di leggi ad personam salva premier. Questo, in effetti, è il momento giusto: tra disastro nucleare in Giappone, nube radioattiva che sorvola l'Europa, guerra in Libia, ci sono fonti di distrazione sufficienti. Del resto il cavaliere vuole arrivare lindo a concorrere alla poltrona di Napolitano e qui verrebbe in mente ancora il grande autore Ennio Flaiano in una sua famosa citazione “Le dittature hanno questo di buono, che sanno farsi amare”. Che la nostra sia ormai una forma di democrazia simulata e dittatoriale, credo possa essere un’affermazione piuttosto condivisa. Che il Cavaliere sappia farsi amare dal popolo, invece, non è in dubbio.
Così, mentre si festeggia il parere positivo delle Giunta per le autorizzazioni di Montecitorio per sollevare il conflitto di attribuzioni al Tribunale di Milano, in Commissione giustizia è arrivato un emendamento firmato Maurizio Paniz, Pdl naturalmente, che guarda caso taglia il periodo di prescrizione agli incensurati.
Fanno eccezione i recidivi, coloro che hanno già sulle spalle una sentenza di primo grado e chi è in giudizio per reati gravi, come quelli di mafia o sequestro di persona a scopo di estorsione. In sostanza, Paniz, con il suo emendamento 4-bis, riscrive l'articolo 5, il famoso taglia processi per i procedimenti che non rispettano la tempistica di 3 anni in primo grado, 2 anni in appello e 1 anno e 6 mesi per la legittimità. Insomma, sarebbe stata fantascienza ed è sembrato troppo pure per loro.
Grazie a questa chicca il processo Mills che vede il cavaliere imputato per corruzione in atti giudiziari potrebbe prescriversi praticamente all'indomani dell'entrata in vigore della legge sul processo breve. Attualmente, invece, la prescrizione dovrebbe intervenire tra Gennaio e Febbraio 2012: certo, c'è comunque la possibilità di non riuscire ad arrivare ad una sentenza di primo grado.
Da parte sua l'algido avvocato Paniz dichiara: "Non c'é nulla ad personam in questo testo anche perché, premesso che secondo me Berlusconi verrà assolto, penso che non ci sia una persona in Italia che possa pensare che da qui al Febbraio 2012, termine attuale di prescrizione, il processo Mills possa avere la sentenza di primo, secondo e terzo grado". La dichiarazione fa pensare: da un lato può non aver compreso che sarebbe sufficiente l'intervento della sentenza di primo grado, oppure si è confuso. Chissà.
Da parte loro Pd, Udc e Fli hanno abbandonato la commissione inorriditi davanti all'ennesima pillola amara. Ora, dopo la conclusione dei lavori della commissione giustizia, il ddl andrà alla Camera, quindi passerà nuovamente al Senato per l'approvazione definitiva, che tra l’altro pare cosa fatta. Nel testo sul processo breve depositato da Paniz si prevede anche l'obbligo di segnalazione, al ministro della Giustizia e al procuratore generale presso la Corte di Cassazione, del magistrato che non ha concluso l'iter processuale nei tempi stabiliti dalla legge. Questi valuteranno l’opportunità di eventuali provvedimenti disciplinari.
Curiosa norma, dato che è assodato che l’iter processuale in Italia sia piuttosto lungo. Quindi, invece di dare alla giustizia strumenti e risorse per procedere più spedita, prima fra tutte l’informatizzazione, è bene avvisare il magistrato fin d’ora: meglio che archivi la cosa e chiudi il processo, se non vuoi incorrere in un procedimento disciplinare.
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di Mariavittoria Orsolato
La nomina del nuovo ministro dell’Agricoltura, Saverio Romano, segna l’ennesimo record per il governo Berlusconi. E’ infatti la prima volta nella storia della Repubblica - prima o seconda c’est la meme chose - che il capo dello Stato sottolinea ufficialmente l’inadeguatezza e l’inopportunità di un neoministro che è indagato per reati di mafia. Forte dell’importante ruolo simbolico svolto nella settimana di celebrazioni per il cento cinquantenario dell’unità d’Italia, Napolitano ha redatto una nota in cui si legge che “dal momento in cui gli è stata prospettata la nomina dell’onorevole Romano a ministro dell’Agricoltura, ha ritenuto necessario assumere informazioni sullo stato del procedimento a suo carico per gravi imputazioni”.
Un colpo di reni, quello del Colle, che conferma la poca bontà che c’è in questo mini-rimpasto, attuato in extremis dopo le evidenti pressioni di Iniziativa Responsabile, il gruppo parlamentare costituitosi ad hoc per il voto di fiducia al governo dello scorso 14 dicembre. I Responsabili sono sicuramente persone intraprendenti: il transfuga dell’Idv Scilipoti si è appena proposto per portare in Parlamento le istanze del gruppo neofascista Casa Pound ed ora Romano riesce a strappare il ministero delle Politiche Agricole in cambio del si al conflitto di attribuzione per il processo Ruby.
Consci di ricattare Berlusconi grazie ai numeri risicati della maggioranza alla Camera, Romano e i suoi Responsabili hanno avanzato da subito richieste pressanti. Purtroppo il cavaliere, assorbito com’è dai suoi problemi giudiziari di ogni genere e sorta, non ha prestato sufficiente orecchio alle loro rivendicazioni e il 16 marzo per ben due volte il Governo è andato sotto su due emendamenti dell’opposizione al testo che istituisce il Garante per l’Infanzia, un voto non certo cruciale ma rispetto al quale c’era il parere contrario dell’esecutivo. L’indomani Romano ha convocato una conferenza stampa per mostrare il suo disappunto e, nonostante l’intervento si fosse aperto con toni duri verso la maggioranza, il deputato ha mutato repentinamente i modi dopo una sbrigativa telefonata del premier. In quei due minuti a microfoni spenti è probabile che sia stata confermata la poltrona di ministro al leader dei Responsabili.
Berlusconi è quindi alle strette: costretto ad inventarsi un rimpasto con soli due ministri, ha sacrificato il povero e fedele Sandro Bondi all’altare della realpolitik piazzando Giancarlo Galan - già pedina di scambio con la Lega per il governatorato del Veneto - ai Beni Culturali e trasferendo all’Agricoltura il siciliano Romano. Una nomina rischiosa, sicuramente forzata, tanto da far scomodare il Colle. Non è infatti la prima volta che viene assegnata una poltrona ad un personaggio ambiguo o con precedenti penali - l’ex sottosegretario all’economia Cosentino è solo l’esempio più vicino alla memoria - ma, sebbene le accuse non siano ancora approdate a giudizio, è certamente straordinario il fatto che dal Quirinale venga emessa una nota sull’inopportunità politico-istituzionale del neoministro.
L’attenzione di Napolitano deriva dal fatto che Saverio Romano è stato descritto dal pentito Francesco Campanella come una persona “a disposizione” e votata dai boss di Villabate, Nicola e Nino Mandalà. I riscontri effettuati dagli inquirenti non sono stati sufficienti a sostenere in giudizio l’accusa di concorso in associazione mafiosa e i legali di Romano hanno inoltrato richiesta per archiviare l’ipotesi di reato contro il deputato dei Responsabili. Ma se per La Russa il problema di Romano è legato solo a lungaggini nell’archiviazione dei procedimenti in cui è coinvolto, da Palermo il giudice che ha esaminato la richiesta fissa per il primo aprile un’udienza in cui verranno ascoltate le parti e dove, dati i precedenti, è probabile venga decisa una proroga per le indagini a carico di Romano.
Questa non è però l’unica grana giudiziaria del neoministro. A seguito delle dichiarazioni di Massimo Ciancimino, Romano è indagato anche per corruzione aggravata dall’agevolazione di Cosa nostra e sebbene ad oggi non sia ancora stato imputato il suo nome figura nella sentenza di motivazione alla condanna a 7 anni di Totò Cuffaro. Certo, come puntualizzano piccati quelli del Giornale, il nuovo ministro dell’Agricoltura non è né mai stato condannato né tantomeno chiamato a giudizio ma a voler essere maliziosi le sue frequentazioni siciliane non paiono promettere nulla di edificante o tantomeno legale.
Dopo la nota del Colle il diretto interessato si è detto dispiaciuto e per dimostrare la sua buona fede ha affermato di non essere “mai stato a caccia di poltrone” e così dicendo ha interpretato il suo ingresso ufficiale nella squadra di governo come la “naturale evoluzione” delle mutate condizioni di forza della maggioranza. A molti, opposizione in primis, la sua nomina è parsa una sorta di estorsione ad un Berlusconi sempre più ricattabile e ancor meno autonomo nelle decisioni istituzionali. D’altronde, con la guerra che impazza a soli 350 kilometri dalle nostre coste, c’era davvero bisogno di eleggere in tutta fretta un nuovo ministro?
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di Mariavittoria Orsolato
In pochi lo credevano realmente possibile ma la guerra è infine arrivata, a due passi dalle nostre coste. Il calderone nord africano era in ebollizione già dall’inverno ma allora si pensava che fossero questioni dirimibili tra loro, moti insurrezionali che magari avrebbero lasciato il tempo che trovavano. La preoccupazione maggiore, soprattutto tra gli abitanti della Sicilia - Lampedusa in primis - era montata dalle apocalittiche affermazioni del ministro dell’Interno Maroni che aveva vaticinato orde di clandestini in fuga, pronte a riversarsi sulle coste del belpaese.
Le previsioni del ministro leghista, se non si sono avverate immediatamente, si stanno concretizzando in questi giorni con lo scoppio della guerra in Libia e a Lampedusa è ormai emergenza. Solo nella notte di ieri sono sbarcati 1.470 gli immigrati arrivati con 13 diverse imbarcazioni, il centro di prima accoglienza - che ha una capienza massima di 850 posti ma in questo momento conta 2400 ospiti - è praticamente tracimato per tutta l’isola che ora, con 5000 immigrati sul suo suolo, si ritrova ad avere la popolazione letteralmente raddoppiata: per 5000 lampedusani ci sono 5000 migranti.
Nella maggiore delle Pelagie la tensione è alta: già lo scorso 17 marzo, in occasione delle celebrazioni per il centocinquantenario dell’unità, le istituzioni avevano ufficiato polemicamente le manifestazioni commemorative affermando di essere stati “abbandonati dallo Stato”, mentre domenica i cittadini si sono mobilitati per fermare le operazioni di sbarco del materiale per la realizzazione della tendopoli che, sulla carta, dovrebbe alleviare i disagi delle migliaia di migranti che ora si ritrovano letteralmente a bivaccare nella zona del porto.
Ci hanno provato prima i pescatori, tagliando la strada alla nave per impedirle di attraccare, poi gli altri da terra, creando un cordone per non far passare i container. “Non ce l’abbiamo con loro - dice un lampedusano - ma con il governo che li tiene qui così. La verità è che loro sono povera gente che scappa e noi povera gente confinata qui”. Il problema resta e anzi si aggrava di giorno in giorno, ma l’unica soluzione per non dover trattare gli immigrati come vere e proprie bestie è al momento quella approntata dalla Protezione Civile che, seppur orfana di Bertolaso, dimostra di continuare a non sapere gestire i “grandi eventi.
Cinquecento tende da piazzare nell’area della vecchia base militare Loran, già utilizzata come valvola di sfogo del centro di accoglienza, e la promessa di cominciare con i trasferimenti a un ritmo di 300-500 persone al giorno. Ma le promesse non bastano a placare gli abitanti dell’isola, la cui paura più grande consta non tanto nei continui sbarchi o nell’effettivo sovrannumero degli immigrati rispetto agli autoctoni: lo scenario peggiore prospettato dai lampedusani è che le cose rimangano così come sono, che una volta fatta la tendopoli questa rimanga li per sempre.
Numeri e scenari, dunque, che ricordano da vicino il dramma degli “sfollati” della seconda guerra mondiale; ma sarebbe sbagliato, sulla base degli ultimi avvenimenti, definire gli abitanti di Lampedusa alla stregua dei leghisti del Carroccio. Se sull’isola la tensione è alle stelle è perché i cittadini si sentono totalmente abbandonati dalle istituzioni e perché, in effetti, sono stati lasciati soli ad affrontare questa emergenza. Rassegnati ad essere la prima porta del Mediterraneo europeo, i lampedusani sono estranei all’effetto N.I.M.B.Y (Not In My Back Yard) ed anzi si sono dimostrati solidali in più occasioni con i migranti anche quando questi, non meno di due anni fa, “evasero” dal Cpa per protestare contro le condizioni in cui venivano arbitrariamente trattenuti.
Il problema, oggi come allora, è lo stesso: l’irragionevole lunghezza della permanenza dei migranti sull’isola. Stando al protocollo, infatti, gli extracomunitari non dovrebbero sostare nel centro di prima accoglienza per più di 48 ore; ma, nella realtà dei fatti, Lampedusa è l’unico approdo effettivo per tutti i migranti in attesa del rimpatrio coatto voluto dalla legge Bossi-Fini. Se però di riformare l’attuale legge sull’immigrazione non se ne parla nemmeno, sarebbe almeno auspicabile far si che i cavilli burocratici non intralcino l’opera dei tanti, dalle forze dell’ordine alla Croce Rossa, che si stanno prodigando assiduamente affinché la situazione non diventi del tutto disastrosa.
Il Governo però ha ben altro in mente: “Lampedusa sarà una zona franca - spiega il sindaco dell’isola Dino De Rubeis, contattato telefonicamente dal ministro agrigentino Angelino Alfano - avremo sconti sulle tasse, il territorio riceverà ristoro, faranno una campagna televisiva per promuovere il turismo”. Misure di facciata che più che fare la differenza sembrano orientate soprattutto a dare il cosiddetto “contentino” agli autoctoni.
Uno spot tv e qualche sforbiciata sulle imposte non vanno certo ad alleviare il peso che incombe sulla maggiore delle Pelagie ed è difficile che la popolazione, ora ancor più minacciata dopo l’apertura delle ostilità contro Gheddafi, si sazi di questa fuffa di facciata. Intanto al porto le carrette del mare continuano inarrestabili ad arrivare.