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di Rosa Ana De Santis
La notizia è che dopo l’ecatombe di Lampedusa, dopo la fila serrata delle bare e gli avanzi di scarpe e vestiti, gli sbarchi non si sono affatto fermati. Anche ieri mattina il flusso ha avuto il suo: duecentocinquanta disperati in due diversi sbarchi, l’ultimo con 150 siriani, tra cui 25 bambini, sono arrivati sull’isola. Solo sabato mattina la Marina Militare ha recuperato 87 migranti e mentre si ragiona sui funerali di Stato, come proposto dal Ministro Kyenge, il presidente Letta annuncia una “missione militare umanitaria”.
L’emergenza è tale che occorre trovare presto strade concrete di risoluzione politica, ma le differenze interne alla coalizione sono tali che sarà difficile superare lo scoglio del reato di clandestinità: l’unica acclarata soluzione che non ha risolto nulla. Sono i numeri degli sbarchi a documentarlo.
In primis il governo appronterà rimedi militari per impedire che il Mediterraneo sia “una tomba” come dichiarato dal Presidente del Consiglio. Quattro navi militari (due pattugliatori e due fregate), una nave anfibia, elicotteri e droni, ma anche ospedali e strutture ricettive d'emergenza. Sul piano politico sarà però necessario rivedere i criteri per il diritto d’asilo e intavolare un nuovo dialogo Europa - Italia che certamente non può essere non essere considerata per il suo status geografico di paese ponte e terra di approdo.
Sbarco e presa in carico dei migranti, come ribadito dall’Alto Commissariato per i Rifugiati, non devono né possono essere necessariamente due aspetti gestiti in esclusiva dal paese che accoglie. Occorre lavorare sul tipo di accoglienza, investire sulle strutture e lavorare in parallelo sulla gestione dei flussi affinchè siano ripartiti nel contesto territoriale europeo.
E’ ormai palese che il dibattito non può, e non solo per ragioni etico-morali ma anche squisitamente geopolitiche, essere tra accoglienza o no dei migranti. E’ rimasta solo la Lega ad orchestrare sit in anti-immigrazione come l’ultimo a Torino del 12 ottobre in cui Maroni ha ribadito che loro non “accoglieranno”. I due mila radunati sotto l’egida del segretario Salvini non sono stati soltanto uno schiaffo rivoltante al dramma umanitario di Lampedusa, ma hanno reso ancor più ridicola e inconsistente la voce della Lega: ormai arcaica e al di fuori delle necessità contingenti della scena contemporanea.
I flussi migratori non sono più un annesso eccezionale della politica, ma ne rappresentano un elemento interno, costante, non arginabile. La politica si gioca su un orizzonte transnazionale e le velleità padane, è la storia e dirlo, non hanno legittimità e senso. L’Europa non è dei popoli già da un pezzo, ma delle persone e dei territori.
Nonostante l’appello delle associazioni l’incontinenza xenofoba dei leghisti ha dato sfoggio di quella parte di Italia che non ha qualità morali né eccellenze da esibire. La stessa che sopravvive grazie alle fabbrichette in cui lavorano gli stranieri e ai capolarati vari. La legge Bossi-Fini va ripensata e spostata ad un piano di analisi europea. L’accoglienza ne deve diventare parte integrante.
Se l’Italia ha imparato qualcosa dalla tragedia dei bambini affogati a poche miglia da Lampedusa è che non può affidarsi ai pescherecci, al coraggio dei bagnanti, alle prigioni lager dei centri di espulsione dove la gente, parcheggiata, vive in condizioni disumane. L’accoglienza non è più materia da decidere, ma azione politica da gestire. Perché le mura a difesa dell’impero non hanno senso e sono destinate a crollare.
Serviranno soldi e menti politiche capaci di indicare all’Europa che l’Italia è un paese che vuole accogliere e che non è più tempo di non poterlo fare. A chi resta indietro nella storia non rimane che il grottesco rammarico di negare che siamo già nel sangue, nelle scuole e nei luoghi di lavoro un paese di quelli che un giorno arrivarono su un gommone da clandestini.
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di Fabrizio Casari
Nel penoso teatrino della politica italiana c’è una scena che si ripete ormai regolarmente: i partiti politici, che teoricamente dovrebbero essere comunità di valori condivisi, portatori di progetti di governo della società, diventano sempre più proprietà privata di chi li fonda e strumenti della loro personale ambizione. E così non ci sono più dirigenti o leader, quadri o militanti, ma solo proprietari e peones. A destra con Berlusconi, altrove con Di Pietro prima e Grillo ora (passando per Pannella, Segni e Fini, parziali varianti del tema) la questione della proprietà personale dei partiti politici è divenuta ormai una caratteristica costante della scena e del proscenio politicante. Lo spettacolo si accavalla poi con quello delle lobbies che controllano i partiti finanziandoli e influenzandone i leader, e Pantalone è sempre lì che paga.
In questi ultimi giorni a dare spettacolo è stato Renzi con il Pd (ma questo ormai è una replica), mentre per l’avanspettacolo (e questo invece dispiace molto) ci ha pensato il M5S. Le posizioni assunte da Beppe Grillo e dal suo socio Casaleggio in merito alla proposta del M5S di superamento del reato di immigrazione clandestina, raccontano purtroppo di una isterica involuzione padronale della coppia di soci proprietari di fatto del Movimento. Le argomentazioni dei due sono risibili sul piano metodologico e vergognose su quello contenutistico: su quello metodologico non vi sarebbe l’autorizzazione da parte di deputati e senatori del M5S a proporre tutto quanto non scritto nel programma con il quale i grillini si presentarono al voto nello scorso Febbraio. Su quello contenutistico la proposta sarebbe un errore perché fa perdere voti. Proviamo a vederle separatamente.
Sul piano contenutistico la cosa è grave. La posizione di Grillo sull’immigrazione è la stessa di Bossi e Calderoli. Del resto, già in campagna elettorale il petting ripetuto con l’estrema destra sull’immigrazione aveva già chiarito il sistema valoriale dell'ex comico e di come intenda procacciarsi il consenso della pancia del paese. Spiace quindi per chi, di sinistra, ha scelto di votare M5S e si ritrova oggi pentito della scelta. Non sono pochi, tutt’altro.
Sul piano metodologico la cosa invece non è grave, bensì ridicola. Se quanto non previsto dal programma è per ciò stesso improponibile, possiamo allora dire che, non appena eletti, i parlamentari grillini sono già scaduti come uno yogurt, dal momento che il mondo, infischiandosene del programma di Grillo e Casaleggio, va avanti. Propone fatti nuovi e accadimenti inediti senza il minimo rispetto per il fatto che non siano stati precedentemente previsti dalle teorie psichedeliche di Casaleggio. Dunque, impossibilitati a decidere alcunché, i parlamentari grillini possono al massimo fare spallucce, non politica. Ma non sempre è così.
Ad esempio, sul Porcellum il programma dei grillini espone un rifiuto assoluto, totale ed assolutamente condivisibile; ma questo non impedisce però all’ex-comico d’invocare le elezioni subito, col Porcellum, perché ritiene che con l’orrendo sistema elettorale vigente comunque le possibilità di vincere per lui aumentano. E come si permette Grillo di violare il programma deciso dalla mitica Rete senza autosospendersi o cacciarsi? Non vale anche per lui il principio della rigida adesione a quanto scritto prima del voto? Oppure per lui tutto si evolve mentre per gli altri tutto è congelato? Sembra che la storiella dell’uno uguale ad uno sia già stata superata. Come nella Fattoria degli animali di Orwell, sono tutti uguali ma qualcuno è più uguale degli altri.
C’è poi la storiella della discussione interna. Grillo e il suo socio sostengono che comunque dovrebbe essere consultata la Rete, ma l’esperienza della gestione informatica quantomeno dubbia delle “quirinarie” ha già dimostrato lo scarso livello di affidabilità e trasparenza che offre la Casaleggio associati.
Epurazioni, minacce, grida, insulti e giravolte sono state fino ad ora la cifra del verbo di Grillo, mentre alcuni dei suoi parlamentari, i più seri, hanno cominciato a prendere le distanze dalla setta cercando di fare politica, di provare ad incidere per quello che possono. Pensando magari che, come Costituzione prevede, i parlamentari rispondono ai loro elettori e alla loro coscienza, non allo sciamano piemontese e al suo socio e che le leggi ed i provvedimenti si votano in ragione dell’utilità che si pensa abbiano per la popolazione, non per la vanagloria del capo.
La deriva nordcoreana di Grillo e Casaleggio è già costata diversi consensi al M5S e non poteva essere diversamente. Le modalità dell’iniziativa politica degli eletti radiocomandati suscita ilarità diffusa, in certi momenti sembra evocare le immagini dei dirigenti berlusconiani vestiti tutti uguali a passeggio nella villa del capo o del celeberrimo “kit del candidato” con cui Pubblitalia istruiva i replicanti.
E’ davvero un peccato assistere basiti, travolti, dalla mancanza di senso del ridicolo di un Movimento che aveva avuto davvero le chiavi per aprire le porte del Palazzo e introdurre uno tsunami di rinnovamento nel quadro politico italiano. Anche chi non li ha votati ne ha visto comunque con simpatia e interesse l’affermazione, salvo cominciare progressivamente, idiozia dopo idiozia, a chiedersi se davvero diventava inevitabile un percorso di autoavvitamento su se stessi destinato a strozzare, per l’ennesima volta, l’ennesimo tentativo di muovere la palude italiana.
L’augurio è che le energie migliori di quel Movimento sappiano trovare un percorso distinto e distante da quello della setta dei due soci; c’è davvero bisogno delle risorse di cui M5S dispone e si deve evitare ad ogni costo la fine del possibile rinnovamento di cui così tanto c’è bisogno. E’ ora trovino il coraggio di emanciparsi da chi ritiene siano dei loro camerieri e provino ad aprire un cammino possibile con le opposizioni di sinistra in Parlamento e fuori nella comuni battaglie a difesa della Costituzione.
Grillo e Casaleggio, invece, provino a ritrovare la strada della politica della trasformazione. Hanno ricevuto un consenso grande tanto quanto la disperazione che circola ma il mandato popolare era per cambiare il Paese, non per occupare militarmente il Movimento. Cambino registro e in fretta, perché il rischio è che se all’inizio del film apparivano come il Gatto e la Volpe, ora stiano sempre più somigliando a Gianni e Pinotto.
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di Fabrizio Casari
Non ci sono nemmeno le casse da morto sufficienti per i corpi innocenti che il mare vomita sull’isola. Lampedusa, un incanto naturale, si è trasformata in un cimitero a cielo aperto. L’ipocrisia delle forze politiche, il cinismo burocrate dei militari e lo sdegno dei media hanno disegnato un immenso mantello destinato a riparare le spalle al nostro paese, che come ultima infamia ha dovuto sopportare anche le oscenità di Matteo Salvini.
L'esponente leghista ha definito “clandestini” bambini di un anno, indicandoli così come autori di un reato. Ebbene sì, l’Italia annovera tra i suoi esponenti politici anche uno come Matteo Salvini, un bauscia ignorante assurto a dirigente della lega Nord per meriti xenofobi sul campo.
D’altra parte, diventare leader di un partito razzista che ritiene di dover sparare addosso ai pescherecci che trasportano uomini, donne e bambini, che - come le inchieste hanno evidenziato - ruba su tutto e a tutti, compra lauree finte per i propri rampolli, idolatra l’acqua del Po e manda in giro i suoi militanti con elmi da imbecilli, racconta di converso abbastanza bene le qualità intellettive che deve avere chi lo dirige. Il leghismo italiano è la versione padana del Ku-Klux Klan, è il sonno della ragione, è la riprova di come, diversamente che con la scarlattina, la cultura non si attacca.
L’Italia porta la responsabilità di questi morti. Li porta per aver promulgato leggi come la Bossi-Fini, che prive di qualunque concetto di filosofia del diritto, incuranti di quanto l’ordinamento internazionale dispone a salvaguardia dei diritti umani - tra questi quello della mobilità - assimilano vittime e carnefici in un solo reato. Non è un caso che solo in Italia vi sia il reato di immigrazione clandestina: il resto dell’Europa non ha avuto vent’anni al governo una destra rozza e xenofoba, che considera lecita la corruzione e il privilegio per poi scoprire il law and order nei confronti della devianza sociale e di tutto ciò che non riesce a comprendere.
Pretendere un contratto di lavoro per chi ancora non ha mai messo piede in Italia e, nello stesso tempo, il permesso di soggiorno per stipulare quello stesso contratto, è un modo ipocrita di impedire che venga e, nel contempo, un modo per alimentare le irregolarità e la corruzione nella trafila che intraprende chi è determinato a lasciare il proprio paese. Ha ragione la presidente Boldrini: ritenere che chi fugge alla morte o alla fame si fermi in presenza di un'ipotesi di reato, è pura fantascienza.
Impedire con la forza di sbarcare sulle nostre coste o rifiutare il soccorso in mare è un approccio vergognoso ed ignorante al tema della migrazione dei popoli. Ancora più assurdo quando non considera le ricadute sul piano delle migrazioni del rovesciamento parziale delle realtà geopolitiche, sociali ed economiche del sud del mondo, e non tiene conto della crisi degli assetti statuali dei paesi del Nord Africa, che hanno prodotto un ulteriore riduzione del controllo alle frontiere.
Stabilire che nel toccare il suolo italiano o si è cadaveri oppure si è indagati, significa voler confondere le responsabilità diversissime tra loro dei mercanti di uomini e di coloro che fuggono dall’inferno delle guerre, della fame e della paura.
Dice di combatterli, ma oggettivamente agisce condominio con gli scafisti, perché essi prosperano proprio in presenza di una legge che vieta l'approdo. In presenza di una regolamentazione solidale ed equilibrata, nessuno ricorrerebbe ai loro sporchi e costosissimi servizi, regalando denaro e la stessa vita per ottenere quello che potrebbe chiedere legittimamente. Solo quando un diritto si proibisce per legge hanno spazio quelli che ti offrono di aggirare quella legge.
Adesso il governo Letta dice che con l’aiuto dell’Europa cambieremo la Bossi-Fini. Ma di quale aiuto c’è bisogno, visto che riceviamo meno della metà delle richieste di visto rispetto ad altri paesi europei? Nel 2012 il 70% delle richieste di asilo sono state inoltrate a Germania (70.000), Francia (60.000), Svezia (44.000) Belgio e Gran Bretagna (36.000 cadauna). L'Italia arriva molto dopo. L’Europa critica duramente le nostre politiche carcerarie, le lentezze della nostra giustizia e l’assurdità di certe leggi come, appunto, la Bossi-Fini. Ma ascoltiamo l’Europa solo quando si discute delle politiche economiche, mai dei diritti.
Non c’è bisogno di Bruxelles per cancellare la legge indecente sull’immigrazione, non c’è bisogno di Strasburgo per mandare in soffitta norme che insultano la logica e l’intelligenza. Nessuno propone di trasformare l’Italia in terra d’asilo per tutto il bacino del Mediterraneo e il Corno D’Africa; non sarebbe giusto e nemmeno possibile. Ma una legge che volesse combattere il fenomeno di massa dell’immigrazione clandestina può trovare applicazione solo se questa riesce a governare un fenomeno, non se pensa di reprimerlo.
In questo senso certo che c’è bisogno di politiche europee. Certo che non può ricadere tutto sulle fragili spalle dell’Italia, ma non ci si può nemmeno nascondere dietro una presunta assenza dell’Europa quando il problema è comunque nostro e andrebbe affrontato con lungimiranza politica e attenzione sociale.
Tutte qualità che mancano alla classe politica italiana e che certo non possiede il governo, ostaggio ancor più di prima della destra che si smarca dal cavaliere quando teme di perdere la poltrona, non certo quando c’è da confermare l’humus razzista che la caratterizza.
Per cancellare la Bossi-Fini servirebbe un Parlamento conscio dell'urgenza e un PD che utilizzasse la maggioranza di cui dispone e la smettesse di correre dietro alla destra nel cercare i voti assecondando il ventre molle reazionario del Paese.
Eppure ragionare non dovrebbe essere difficile. Nessun paese sviluppato del mondo è mai riuscito ad impedire i fenomeni di migrazione dal sud verso il nord. Perché sono le politiche economiche internazionali che impediscono al Sud di diventare un Nord, che garantiscono al Nord di continuare ad esserlo e di avere un suo Sud pieno di risorse da saccheggiare e mano d’opera a prezzi stracciati a disposizione.
Pensare di fermare il movimento di milioni e milioni di persone, che hanno come noi il diritto di ambire ad una vita migliore, significa voler svuotare il mare con un secchiello. Il che, oltre che impossibile, diventa tremendamente penoso, dal momento che quel mare non riporta indietro i suoi naufraghi, ma sferza le nostre coste con le sue onde con le quali ci restituisce i cadaveri delle vittime e la vergogna di diventare, oggettivamente, carnefici.
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di Rosa Ana De Santis
E’ lutto nazionale in Italia, un lunghissimo minuto di silenzio nel giorno di un santo, Francesco D’Assisi, simbolo assoluto della rivoluzione del bene e del cristianesimo. Mentre il Papa si appresta a celebrarlo, sommozzatori e soccorsi della nostra Guardia Costiera sono all’opera per strappare al mare i cadaveri arsi da una coperta bruciata che doveva servire ad illuminare 500 eritrei e somali nel cuore della notte. Il molo Favaloro è una grande camera mortuaria sotto al cielo, moltissimi i cadaveri di donne e bambini. E la celebre spiaggia dei Conigli è coperta da una processione di lenzuoli bianchi. Come le tombe a terra dove finiscono i naufraghi.
Alle cinque del mattino quando già 460 persone erano state soccorse, è arrivato l’orrore di un altro barcone: profughi aggrappati alle onde per non annegare e tanti altri rimasti incastrati nel relitto sul fondale. Individuato lo scafista e accusato di omicidio plurimo, i sopravvissuti accusano tre pescherecci di averli ignorati nei momenti in cui era in corso la tragedia.
La denuncia di questo orrore e forse anche la responsabilità collettiva che ci sospinge a sentirla come una ferita di tutti ha visto parole durissime da parte di Giorgio Napolitano, di Papa Francesco e del Ministro Alfano che si è recato a Lampedusa, denunciando l’assenza e l’abbandono dell’Europa sulle politiche per l’immigrazione che contestando la Bossi-Fini come inefficace non ha mai messo in campo alcuna azione a sostegno di un Paese ponte quale è l’Italia.
L’ecatombe non ha evitato che la Lega, in testa Umberto Bossi, si affannasse a individuare i colpevoli morali dell’immigrazione clandestina: il Ministro Kyenge e la Presidente della Camera Boldrini. Meschinerie gravissime di una sottopolitica che persino di fronte ad un massacro di così grandi proporzioni non riesce a trattenere la pancia e gli istinti più bassi. Quel pezzo vergognoso di Parlamento che vuole su tutto e ad ogni costo respingere il messaggio dell’accoglienza, nell’illusione peraltro che questa sia la ricetta per evitare la storia di Lampedusa, i centri che scoppiano di immigrati divenuti prigionieri, soprattutto lo scarso peso che il nostro Paese riesce ad avere sui tavoli delle politiche internazionali mostrando quando non è mediocre, la voce grossa di qualche xenofobo in camicia verde.
Miserie mentali di chi non coglie che non è sulla terra di approdo che si gioca la partita politica e morale di questa pagina di storia e che non sarà una leggina di circostanza o le pallottole della polizia a fermare gli immigrati, i rifugiati, i profughi di ogni terra. Perché non basta nemmeno l’incubo di un mare affrontato su una zattera senza acqua e senza più nulla.
Questo è l’epilogo a puntate di un mito di opulenza crollato da tempo ormai, fuori dai nostri confini e anche dentro il cortile di casa nostra. Una disfatta che per ora pagano ancora una volta i più poveri e più disperati denunciando però con un martirio tutto contemporaneo che le mancanze, le colpe e le inadempienze della nostra parte non saranno gratis per nessuno. E che la politica è la parte più piccola di un tribunale che assegnerà più che colpe sovvertimenti di civiltà.
Per questo le lacrime che più toccano sono quelle dei nostri soccorritori: tramortiti, disorientati. Le lacrime di quella - romantica per alcuni, rivoluzionaria per altri - responsabilità di sentire come proprio il dramma di qualsiasi uomo in qualsiasi luogo. Specie per quanti non sappiamo nemmeno più salvare, ma rinchiudere nei centri d’espulsione.
Alfano accusa la UE di mancanza di aiuti: dimentica però, Alfano, che l’Europa non può risolvere gli errori e gli orrori che producono le leggi inutili, prima ancora che xenofobe, promulgate dai suoi amici di partito. E dimentica anche che altri paesi – Germania, Spagna, Belgio persino – ricevono un numero di richieste d’immigrazione molto più elevate di quelle che arrivano all’Italia, senza per questo chiedere aiuto all’intera Europa. Altrove si sono costruite politiche per l’immigrazione, da noi solo urla e business.
L’Italia dei berlusconiani-leghisti ha preferito chiamarli colpevoli di clandestinità pur di non porsi le domande fondamentali, pur di non fare della politica qualcosa di più nobile che la scienza dell’ultimo affare o degli accordi di carta con la Libia ai tempi gloriosi del rais. L’emergenza è umanitaria e il prezzo che ora pagano queste vittime è già scritto sulla nostra terra, sotto le mille croci senza nome in cui è sepolto il Sud del Mondo. E’ questo l’Inferno della nostra nuova Commedia.
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di Antonio Rei
Da dentro a fuori, da fuori a dentro. Tutto in meno di 24 ore. E’ una piroetta degna del miglior Nureyev quella in cui si esibito ieri Silvio Berlusconi, ma a quanto pare non basta a tenere insieme i cocci del Pdl. Intervenendo al Senato, il Cavaliere ha stupito tutti con la marcia indietro della marcia indietro: “Abbiamo deciso, non senza travaglio interno - ha annunciato l’ex Premier - di esprimere un voto di fiducia a questo Governo”.
Non ci sarà quindi bisogno del Letta bis: il Letta primus è stato promosso a Palazzo Madama con 235 voti favorevoli, 70 contrari e nessun astenuto (scontato il sì della Camera, dove grazie al Porcellum il Pd ha la maggioranza assoluta). Questa però non è una sorpresa. Che l’Esecutivo avrebbe trovato i numeri per sopravvivere era chiaro ormai da giorni, come prova l’andamento positivo dei mercati (compreso lo spread) nel corso delle ultime sedute.
Il dato politico più significativo è proprio la capriola di Berlusconi, che solo sabato scorso aveva cercato d’imporre le dimissioni ai ministri pidiellini e ancora martedì si scagliava contro la prosecuzione delle larghe intese. Il clamoroso ripensamento dell’ultimo minuto segna la resa incondizionata del Cavaliere al fuoco amico delle colombe e degli stessi ministri, contrari alla crisi.
La spaccatura ha imboccato una strada apparentemente irreversibile: da una parte i berlusconiani fondamentalisti come Sandro Bondi e Maria Stella Gelmini, dall’altra i “diversamente berlusconiani” capitanati dal segretario Angelino Alfano, che nel pomeriggio hanno chiesto e ottenuto di formare un gruppo autonomo alla Camera, apprestandosi a fare altrettanto al Senato.
Di questo scenario si possono dare diverse letture. La prima è che Berlusconi abbia perso il controllo di una parte dei suoi uomini, e si sia convinto a votare la fiducia soltanto quando ha avuto la certezza che il sì sarebbe passato comunque, grazie ai 23 senatori pidiellini che avevano garantito il proprio appoggio. Pur ammettendo che sia così, è certamente scorretto interpretare la frattura del partito come una banale divisione fra berlusconiani e antiberlusconiani.
Il Pdl non è mai esistito a prescindere dagli interessi economici, finanziari e giudiziari del Capo di Arcore. Non si è mai visto alcun progetto politico, alcuna ispirazione ideologica: l’unica professione di fede concessa agli affiliati è sempre stata l’obbedienza alla voce del Padrone, tesa esclusivamente all’autoconservazione in cambio di favori e prebende di varia natura.
Ora, è verosimile che questo sistema di potere consolidato - e apparentemente senza alternativa nel centrodestra italiano - sia collassato in meno di una settimana? Le risposte possibili sono almeno due.
La prima ipotesi è quella dell’istinto di sopravvivenza. Da questa prospettiva, la distanza tra falchi e colombe si misura nel differente modo d’interpretare i propri interessi personali. I berlusconiani puri sarebbero individui che non vedono per il proprio avvenire alcuna alternativa disgiunta dal Cavaliere, e magari auspicano di batter cassa in futuro facendo valere la lealtà di oggi.
D’altra parte, gli alfaniani sarebbero in prevalenza parlamentari ampiamente soddisfatti della posizione che ricoprono, alcuni magari incerti sulla possibilità di essere rieletti o perfino ricandidati, in ogni caso indisponibili a rischiare tutto per una battaglia persa, ovvero la decadenza di Berlusconi.
Il fulcro della questione è proprio questo. Ora che l’Iva è aumentata (un rincaro che peraltro si poteva evitare con un decreto dell’ultimo minuto, accantonato proprio a causa del colpo di teatro berlusconiano dello scorso fine settimana), non esiste alcuna giustificazione politica o economica per un’eventuale crisi. Il discorso pronunciato ieri da Letta in Parlamento non contrasta in alcun punto con gli obiettivi del centrodestra. Far cadere il governo sarebbe stato agli occhi di tutti (elettori compresi) soltanto un gesto di reazione all’ormai inevitabile espulsione del Cavaliere dal Parlamento.
Un gesto peraltro sommamente inutile, e non solo perché Berlusconi tornerà in ogni caso a essere un comune cittadino. Cancellare l’attuale maggioranza significa in primo luogo diventare responsabili del ritorno dell’Imu, perché l'abrogazione della seconda rata e la creazione della famosa “service tax” dipendono da provvedimenti che si dovranno scrivere nei prossimi mesi. Inoltre, se Giorgio Napolitano fosse costretto a sciogliere le Camere prima della riforma elettorale, potrebbe mantenere la promessa di dimettersi, e a quel punto i pidiellini rischierebbero di trovarsi al Quirinale Romano Prodi o Stefano Rodotà. A ben vedere, quindi, il centrodestra non ha mai avuto alcun motivo razionale per far cadere il governo Letta.
La seconda ipotesi è un tantino dietrologa, ma potrebbe avere un qualche fondamento. Tutto quello che è accaduto nell’ultima settimana potrebbe essere solo una grande commedia, tesa, ancora una volta, a tutelare gli interessi di Berlusconi. Secondo Alessandro Campi, editorialista de "il Messaggero", la costituzione di un nuovo gruppo a Palazzo Madama imporrà “il ricalcolo su base proporzionale della composizione della Giunta per le autorizzazioni del Senato”, l’organo che il 4 ottobre si deve esprimere sulla decadenza del Cavaliere. Il procedimento richiederà settimane (con prevedibili ostruzionismi), facendo slittare il voto sull’espulsione dell’ex premier.
E’ possibile che per prolungare di poco la tutela dell’immunità parlamentare Berlusconi sia disposto a screditare a tal punto la propria immagine? Forse no. In ogni caso, il Cavaliere ha dato per la prima volta l’impressione di non essere il regista del centrodestra. Di essere un leader sconfitto, superato, abbandonato. Chissà se in futuro i suoi elettori saranno disposti a dimenticare anche questo. Dopo l'ultima giravolta, in effetti, manca solo di vederlo tifare Inter.