di Rosa Ana De Santis

La notizia è che dopo l’ecatombe di Lampedusa, dopo la fila serrata delle bare e gli avanzi di scarpe e vestiti, gli sbarchi non si sono affatto fermati. Anche ieri mattina il flusso ha avuto il suo: duecentocinquanta disperati in due diversi sbarchi, l’ultimo con 150 siriani, tra cui 25 bambini, sono arrivati sull’isola. Solo sabato mattina la Marina Militare ha recuperato 87 migranti e mentre si ragiona sui funerali di Stato, come proposto dal Ministro Kyenge, il presidente Letta annuncia una “missione militare umanitaria”.

L’emergenza è tale che occorre trovare presto strade concrete di risoluzione politica, ma le differenze interne alla coalizione sono tali che sarà difficile superare lo scoglio del reato di clandestinità: l’unica acclarata soluzione che non ha risolto nulla. Sono i numeri degli sbarchi a documentarlo.

In primis il governo appronterà rimedi militari per impedire che il Mediterraneo sia “una tomba” come dichiarato dal Presidente del Consiglio. Quattro navi militari (due pattugliatori e due fregate), una nave anfibia, elicotteri e droni, ma anche ospedali e strutture ricettive d'emergenza. Sul piano politico sarà però necessario rivedere i criteri per il diritto d’asilo e intavolare un nuovo dialogo Europa - Italia che certamente non può essere non essere considerata per il suo status geografico di paese ponte e terra di approdo.

Sbarco e presa in carico dei migranti, come ribadito dall’Alto Commissariato per i Rifugiati, non devono né possono essere necessariamente due aspetti gestiti in esclusiva dal paese che accoglie. Occorre lavorare sul tipo di accoglienza, investire sulle strutture e lavorare in parallelo sulla gestione dei flussi affinchè siano ripartiti nel contesto territoriale europeo.

E’ ormai palese che il dibattito non può, e non solo per ragioni etico-morali ma anche squisitamente geopolitiche, essere tra accoglienza o no dei migranti. E’ rimasta solo la Lega ad orchestrare sit in anti-immigrazione come l’ultimo a Torino del 12 ottobre in cui Maroni ha ribadito che loro non “accoglieranno”. I due mila radunati sotto l’egida del segretario Salvini non sono stati soltanto uno schiaffo rivoltante al dramma umanitario di Lampedusa, ma hanno reso ancor più ridicola e inconsistente la voce della Lega: ormai arcaica e al di fuori delle necessità contingenti della scena contemporanea.

I flussi migratori non sono più un annesso eccezionale della politica, ma ne rappresentano un elemento interno, costante, non arginabile. La politica si gioca su un orizzonte transnazionale e le velleità padane, è la storia e dirlo, non hanno legittimità e senso. L’Europa non è dei popoli già da un pezzo, ma delle persone e dei territori.

Nonostante l’appello delle associazioni l’incontinenza xenofoba dei leghisti ha dato sfoggio di quella parte di Italia che non ha qualità morali né eccellenze da esibire. La stessa che sopravvive grazie alle fabbrichette in cui lavorano gli stranieri e ai capolarati vari. La legge Bossi-Fini va ripensata e spostata ad un piano di analisi europea. L’accoglienza ne deve diventare parte integrante.

Se l’Italia ha imparato qualcosa dalla tragedia dei bambini affogati a poche miglia da Lampedusa è che non può affidarsi ai pescherecci, al coraggio dei bagnanti, alle prigioni lager dei centri di espulsione dove la gente, parcheggiata, vive in condizioni disumane. L’accoglienza non è più materia da decidere, ma azione politica da gestire. Perché le mura a difesa dell’impero non hanno senso e sono destinate a crollare.

Serviranno soldi e menti politiche capaci di indicare all’Europa che l’Italia è un paese che vuole accogliere e che non è più tempo di non poterlo fare. A chi resta indietro nella storia non rimane che il grottesco rammarico di negare che siamo già nel sangue, nelle scuole e nei luoghi di lavoro un paese di quelli che un giorno arrivarono su un gommone da clandestini.

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