Le manovre statunitensi nel Mar dei Caraibi, alle quali si sono unite Francia e GB, sono politiche, più che militari. La Casa Bianca ha disperato bisogno di consenso per coprire la gestione folle della pandemia oltre che il disastro economico. La guerra alla droga è una messinscena ridicola. Non c’è nessuna guerra alla droga, che peraltro non passa dai Caraibi ma viaggia internamente, partendo dalla Colombia e facendo tappa in Ecuador, in Guatemala e Honduras per giungere poi negli States.

La rotta è ben conosciuta dagli Stati Uniti. Il tentativo di utilizzare la frontiera venezuelana subisce pesanti rovesci e, dato che business is business, la droga sceglie altre vie. Nessuno più della DEA ne è al corrente e desta semmai domande impertinenti la scoperta che il generale venezuelano che più si è distinto nello smantellamento del traffico dalla cocaina sia stato severamente sanzionato dagli Stati Uniti. O forse non è un caso.

Nel tentativo di montare uno show internazionale simile a quello montato a Panama nel 1989 o a Grenada nel 1983, le manovre nei Caraibi cercano di costruire un pretesto per muovere guerra contro Caracas, dato che il suo petrolio, il suo Coltan e il suo oro fanno gola alla combriccola nazi-evangelica che siede alla Casa Bianca, a maggior ragione in presenza di uno scontro tra Russia e Arabia Saudita su produzione e conseguente prezzo del greggio, elemento di forte impatto nella claudicante economia USA.

L’invio della flotta militare verso il Venezuela sembra l’unica strategia possibile per la Casa Bianca per cercare di rovesciare il governo legittimo di Nicolas Maduro. Non è detto che alle minacce seguano i fatti ma certo la messinscena mediatica di Guaidò ha fallito miseramente: privo di seguito, di carisma e di qualità politica, ha come unica caratteristica l’assenza di credibilità. Scoperto a mettersi in tasca 500.000 dollari di aiuti e amico di narcos colombiani, è stato defenestrato in primo luogo dalla stessa opposizione venezuelana, che ha votato un altro presidente per la Camera, togliendogli così persino quel lembo di autorevolezza da eletto, sebbene in una condizione d’illegalità. Difficile riproporlo come leader dell’opposizione se questa stessa l’ha scalzato, dura convincere i già pochi paesi (51 su 194) che l’avevano riconosciuto per obbedienza agli USA. Non è un caso che Guaidò è fuori dalla provocazione che va sotto il nome di “proposta di transizione”: se si accusa illecitamente Maduro di traffico di droga, difficile proporre Guaidò che con i narcos colombiani è più che amico.

Dopo Guaidò è fallita anche la ricetta “boliviana” dell’insurrezione interna: le forze armate sono leali al Presidente Maduro. Tutta un’altra storia dalla Bolivia, dove Evo Morales non pensò di organizzare uno scudo militare efficace contro il golpismo interno. In Venezuela, al contrario, l’unione civico-militare ha rappresentato un ostacolo insormontabile per il golpismo, oltre che un modello di governance e il chavismo è stato abituato a misurarsi nelle strade con il golpismo guarimbero, che è rimasto regolarmente schiacciato dall’organizzazione politico-militare del popolo bolivariano. Le Forze Armate sono ben addestrate ed equipaggiate e un milione di miliziani rischiano di trasformare l’appetito per il boccone venezuelano in una pericolosa indigestione.

C’è anche un fronte di terra nei piani statunitensi, che prevede l’utilizzo dell’esercito colombiano supportato dalle truppe USA di stanza in Colombia e dai paramilitari. Ma per Bogotà non è così semplice: usare la frontiera con lo Stato di Tachira per penetrare in Venezuela vede non poche controindicazioni. Sia per il prezzo pesante da pagare (l’esercito colombiano è specializzato nell’assassinare innocenti da trasformare in “falsi positivi”, non nel combattimento con pari livello), che per il rischio di riaprire il fronte interno con la ex-guerriglia, che rischierebbe di produrre una pericolosa instabilità politica. Questo, senza contare la possibile estensione ad altri paesi del scenario di guerra, il che trasformerebbe il tentativo di imporre obbedienza silente a tre paesi in un generale caos continentale che diverrebbe il peggior dei boomerang per Washington.

Muovere guerra al Venezuela sarebbe l’ultimo errore, il più grave, di una catena di insuccessi.

Per gli USA, infatti, il bilancio generale della guerra al socialismo bolivariano è pessimo: un colpo di stato contro Chavez fallito, il golpismo negli ultimi due anni ricacciato indietro dalle forze armate e dal chavismo, il terrorismo rivelatosi impotente, il narcotraffico dimostratosi incapace, la Colombia inutile allo scopo, il blocco economico, il furto degli averi venezuelani in giro per il mondo e la diplomazia inefficace. Tutte, le hanno provate tutte. Il Venezuela, come prevedibile, da obiettivo alla portata è divenuto rompicapo. Falliti dunque tutti i tentativi di finanziare, armare, addestrare, sostenere politica e diplomaticamente l’opposizione, quella di attaccare direttamente sembra essere la strada unica rimastagli.

Certo, avrebbero potuto incamminarsi sull’unica strada percorribile, quella di relazioni alla pari, di rispetto reciproco, di riconoscimento dei rispettivi sistemi. Il Venezuela non avrebbe mai rappresentato un problema di “sicurezza nazionale”, fa ridere solo il pensarlo. Avrebbe posto sul tavolo una relazione positiva e paritaria ma, comunque, almeno una non belligeranza, un rispetto che è dovuto e non può essere negato o elargito.

Ma gli Stati Uniti non sono in grado di elaborare un processo di dialogo con nessuno; sia perché l’arroganza del comando gli impedisce l’ascolto, sia perché non sono davvero in grado di concepire una linea politica che non preveda la sottomissione a loro con la forza. La cleptocrazia del proprio establishment viaggia in coppia con il furore ideologico degli latinoamericani che risiedono in Florida; sono malati terminali di un finto anticomunismo che occulta la vena predatrice. Hanno serie difficoltà ad analizzare gli scenari che ospitano mentalità diverse dalla loro; una seria incapacità nella gestione di ragionamenti complessi e l’immediato bisogno di semplificazione: tutti elementi che determinano gli errori a catena.

C’è poi una incognita forte sullo scenario caraibico ed è rappresentata dalla risposta possibile di Russia e Cina alla provocazione statunitense. La Cina, che è significativamente esposta dal punto di vista finanziario con Caracas, ha inviato già da tempo apparecchiature ed esperti di guerra elettronica. La Russia, in virtù di un nuovo accordo di cooperazione tecnico-militare, ha fornito a Caracas missili Bation e Iskander, caccia Sukoy SU-30 e il sistema di difesa antiaerea S-400, che ha già mostrato la sua efficacia in Siria proteggendo Damasco dagli attacchi terroristici di Israele. Oltre alla difesa antiaerea il Venezuela è dotato di caccia F-16 statunitensi e dispone di una abbondante dotazione di batterie missilistiche terra-aria mobili e mezzi blindati.

Si tratta di capire quanto Mosca e Pechino intendano puntare sullo scacchiere latinoamericano, considerando che sebbene nessuna delle due capitali abbia voglia di un confronto militare diretto o per procura, i rischi maggiori sono proprio per gli Stati Uniti in una operazione militare che potrebbe ritorcersi contro. Sarà dunque la fermezza euroasiatica che misurerà gli spazi di mediazione con la Casa Bianca. Senza voler minimamente sottovalutare il livello tecnologico e distruttivo del dispositivo militare statunitense nei Caraibi, un attacco non sarebbe una operazione-lampo.

Per citare i due unici successi militari dal 1945 ad oggi degli USA, non vi riuscirono nemmeno con l’isoletta di Grenada nel 1983, dove 600 operai edili cubani bloccarono rangers e marines per diversi giorni. Né vi riuscirono a Panama, nel 1989, dove 23.000 uomini ebbero bisogno di diversi giorni per aver ragione di un minuscola guardia nazionale messa su alla meno peggio da Noriega. Figurarsi in Venezuela oggi. Quale che sia l’esito delle consultazioni, risulta difficile dunque, in questo quadro, pensare ad una passeggiata statunitense, magari da immortalare sul modello di un video-gioco come quelli trasmessi con il bombardamento dell’Irak.

Anche sotto il profilo del consenso interno, Trump farebbe bene a considerare che il Corona virus porterà negli USA tra 250.000 e 350.000 morti. Oltre al dramma umano, la cui responsabilità ricade su un Presidente ignorante ed un Gabinetto di esaltati a tinte criminali, questo produrrà un rischio di collasso persino per le strutture funerarie, oltre al logico diffondersi di una disperazione sociale. Pensare di poterci allegare anche i morti di una guerra che interessa solo ai petrolieri sarebbe follia umana ed elettorale.

Il tempo per le elezioni di novembre è stretto e votare con una guerra in corso sarebbe esiziale per Trump che aveva vinto promettendo il ritiro dei militari da mezzo mondo e di concentrarsi sull’economia.

Potrebbe dunque profilarsi un accordo sul modello di quello sottoscritto nel 1962 per i missili a Cuba tra Krusciov e Kennedy (che prevedeva la rinuncia di missili russi sull’isola in cambio dell’impegno USA di non attaccarla ndr). Ma Trump non è Kennedy: il presidente democratico venne assassinato a Dallas da un complotto di CIA e terroristi cubano americani, mentre quello attuale ha appaltato proprio alla criminale lobby cubano-americana la politica nella regione. Qualcuno, forse Putin, dovrà quindi spiegargli che il decollo del primo caccia e il lancio del primo missile sarebbero l’inizio di un pantano da dove uscirebbe sconfitto. E sebbene nessun presidente USA abbia mai finito il mandato senza almeno una guerra, nessuno ha mai vinto le elezioni con una guerra persa.

Nel pieno dell’emergenza Coronavirus, il ministero della Giustizia britannico ha deciso il rilascio temporaneo di circa 4 mila detenuti dalle carceri di Inghilterra e Galles per contenere la diffusione dell’epidemia in strutture che sono diventate di fatto ad altissimo rischio. Tra coloro che hanno beneficiato del provvedimento non figura però il detenuto politico più famoso del pianeta, il fondatore di WikiLeaks Julian Assange, per il quale il contagio potrebbe risultare letale e rappresenterebbe con ogni probabilità un esito gradito al governo di Londra.

I carcerati per i quali sono state per il momento decise pene alternative sono quelli considerati a “basso rischio” e verranno controllati con dispositivi come braccialetti elettronici. Per quanto riguarda Assange, i suoi legali avevano già presentato un’istanza di scarcerazione il 16 marzo scorso per via del rischio che costituivano le sue condizioni di salute, aggravatesi sensibilmente da anni di persecuzioni e torture subite in Gran Bretagna. Il ricorso era stato ovviamente respinto dal giudice Vanessa Baraitser, incaricata del caso relativo all’estradizione di Assange negli USA nonostante un colossale conflitto di interessi dovuto ai legami del marito con ambienti del “Foreign Office” britannico.

Quito. Immagini dolorose e scioccanti diffuse in tutto il mondo sugli effetti della pandemia  Covid-19 nella provincia di Guayas e in particolare nella città di Guayaquil, il principale porto del nostro paese. Il 29 febbraio 2020, l'allora Ministro della Salute riferì che il primo caso di coronavirus era già stato rilevato nel paese. Quel giorno, quando la terribile entità del disastro poteva essere evitata, la nostra storia è cambiata per sempre.
Nonostante l'urgenza e l’attenzione con le quali doveva essere gestita questa pericolosa pandemia, l'irresponsabilità delle autorità ha consentito una partita di calcio con uno stadio quasi pieno, proprio in quei giorni, così come è stato permesso celebrare una festa di nozze in uno dei quartieri più ricchi di Guayaquil, con ospiti europei. Due eventi che hanno aumentato significativamente la diffusione del virus in città.

Un altro contribuito fondamentale alla rapida diffusione della pandemia, oltre alla mancanza di attenzione da parte del governo del governo Lenin Moreno, è stato senza dubbio l'estremo modello finanziario di riduzione considerevole del budget dei servizi pubblici che h prosciugato il sistema sanitario e privilegiato altri tipi di investimenti, come la consegna di 355 milioni di Dollari negli ultimi 2 anni alle forze armate ecuadoriane.

Da parte sua, Víctor Álvarez, presidente del Collegio dei medici di Pichincha, ha spiegato che, nonostante la dichiarazione del governo in merito a un presunto aumento del sistema sanitario, in realtà ciò che esiste è piuttosto un deficit che colpisce il diritto della popolazione a ricevere cure di qualità, perché diminuendo il budget, anche la voce relativa a medicinali, attrezzature, forniture diminuisce e causerebbe persino tagli al personale sanitario.

Allo stesso modo, in un'intervista recentemente rilasciata alla rete della CNN, il ministro della salute ecuadoriano, Juan Carlos Zevallos, ha riconosciuto che i morti di Covid-19 in Ecuador sono 1500, numeri che contraddicono i dati forniti dalle autorità ecuadoriane che parlano di 145 persone. Nell’intervista il ministro afferma che “i cadaveri e il numero dei morti non possono essere nascosti poiché questo è completamente indegno ed è un segno di totale mancanza di trasparenza”, sottolineando che “c'è stato un aumento senza precedenti del numero di defunti in città (Guayaquil) che vanno da 700 a 1500 morti in un periodo di tempo molto breve, e che questo è qualcosa che è diventato ingestibile”.

In Ecuador, gli ospedali non hanno la capacità di assistere i pazienti infetti da Covid-19, poiché non dispongono degli strumenti e del personale necessari, come denunciato da medici e infermieri. Come conseguenza, soprattutto nelle famiglie più povere di Guayaquil ci sono stati casi strazianti come, ad esempio, quello di un uomo che morto da sette giorni nella sua casa situata in un quartiere periferico e il cui corpo inerte si stava decomponendo davanti agli occhi e al dolore di suo fratello. E soprattutto casi multipli di corpi abbandonati per le strade senza il minimo supporto da parte delle istituzioni pubbliche. Questa schifosa verità è ancora ripetuta in modo angosciante, mentre le morti e l'oblio del governo stanno minando tutti.

Di fronte a questa travolgente situazione, in cui ci stanno lasciando intenzionalmente morire, prendendo in considerazione quanto previsto dallo "Statuto di Roma", all’Art. 7 - "Crimini contro l'umanità" - dove lo sterminio è definito come "l'imposizione intenzionale, da parte di un gruppo di potere, di condizioni di vita che impediscono a un grande conglomerato umano di accedere a cibo, cibo, medicine e servizi sanitari, che finisce per mettere a rischio vita delle persone ", la Federazione nazionale degli avvocati dell'Ecuador ha deciso di sporgere denuncia presso il procuratore della Corte penale internazionale contro il Presidente dell'Ecuador, Lenin Moreno Garcés, così come contro Richard Martínez (ministro delle finanze) e María Paula Romo per il crimine di sterminio.

Va ricordato che quando il governo Lenin Moreno dovette decidere tra LIFE e DEBT, decise di pagare il DEBT. Ha preferito pagare 325 milioni di Dollari al FMI e non indirizzarli all'emergenza. Eppure quei soldi avrebbero potuto essere usati per acquistare almeno attrezzature di protezione professionale per medici, barellieri, infermieri, cioè per il personale di prima linea. Avremmo avuto bisogno di quei soldi per poter portare materie prime e preparare qui, nel nostro paese, nei laboratori ecuadoriani, i farmaci le cui dosi sono urgentemente richieste per alleviare la pandemia, la produzione di maschere e, fondamentalmente, respiratori artificiali che avrebbero impedito la morte di molte persone. Invece siamo in uno scenario agghiacciante, con morti e morenti nelle case, nelle strade; con le porte chiuse degli ospedali dove, per mancanza di test di Covid-19 o per nascondere la verità e difendere il regime, vengono stilati certificati di morte per "Polmonite virale non specificata".

L'inefficacia e la crudeltà dell'attuale governo sono state evidenziate in innumerevoli video che documentano una realtà dove coloro che sono costretti a vivere con dolore e morte e che cercano aiuto sono trattati dal governo come bugiardi dalla stampa di regime. Una verità negata con un cinismo enorme, che parla di 700 morti mentre chi vi lavora conta già tra i 2.500 e 3.500 morti. Il silenzio del governo è finito quando alcuni media internazionali hanno puntano lo sguardo su questo piccolo paese colpito dalla pandemia, dall'indolenza e dall'abbandono, e solo allora la verità ha messo il governo Moreno con le spalle al muro e il mondo ha iniziato a conoscere la verità.

Ciò ha motivato diversi presidenti a prendere il governo dell'Ecuador come un cattivo esempio, quello di un governo che nasconde la verità per cercare di appiattire la terrificante curva di morti e infezioni. Moreno però non aveva scelta: non ha rassegnato le dimissioni ma ha riconosciuto pubblicamente di aver mentito, che i dati ufficiali non erano veritieri e ha ordinato che siano resi trasparenti. Ma si è dimenticato di dire che chi aveva nascosto la verità sono funzionari di un governo disumano ai suoi ordini.

I prezzi folli dei medicinali, delle forniture necessarie per la prevenzione del contagio, dei test per verificare l'esistenza del coronavirus, dell'accesso ai servizi sanitari pubblici, colpiscono duramente gli strati più umili. A questo, simbolicamente, si aggiunge la decisione di chiudere i mercati popolari e le vendite di strada, lasciando solo a grandi supermercati e imprese private la possibilità di vendere. Così un altro giro di vite a beneficio degli imprenditori e dei poteri economici che il governo ha palesemente deciso di proteggere a scapito del settore popolare.

Moreno e i suoi soci avevano negoziato apertamente con uomini d'affari e banchieri l’impegno aperto a favorire i loro profitti futuri. La successiva firma di una lettera di intenti con il Fondo monetario fu la conseguenza di ciò. Insieme si sono sbarazzati del vicepresidente Jorge Glas con false accuse. Dopo il fallimento dell'amministrazione di María Alejandra Vicuña, Otto Sonnenholzner, un eminente radiofonico Guayaquil upstart, è stato nominato come suo sostituto, che cercano di istituire come unico candidato per le elezioni presidenziali del 2021.

Sulla base di questa politica concentrata, hanno smantellato lo stato di diritto e l'istituzionalità, hanno ridotto il budget per l'istruzione, la salute e gli investimenti sociali. La scusa è stata la lotta contro la corruzione.

Tutto questo caos istituzionale che si vive in Ecuador, così come in altri paesi del mondo, ci porta a concludere che siamo nelle mani di personaggi totalmente senza scrupoli, disonesti e avidi. Governanti che non sono minimamente interessati alla loro gente, ma solo al potere, al denaro e al raggiungimento di determinati dividendi politici, attraverso bugie e inganni per l'intera popolazione.
Per 3 anni, la libertà di pensiero, espressione, partecipazione e diritti sono stati ridotti a una dichiarazione che sostanzialmente serve a condizionare la coscienza dei cittadini. La manipolazione opportunistica, il processo e l'errore del morenoismo furono l'inizio della distribuzione del potere e dell'autoritarismo, dell'arroganza e della qualità camaleontica che caratterizza l'attuale governo e che è ora il suo imperativo pragmatico.

Se c'è un aspetto trascurabile in politica, è proprio quello dell'ambizione, quando è lo standard monetario che segna i disegni dell'essere umano. Perché i politici insaziabili non misurano mai fin dove l'avidità può portarli o chi possono influenzare lungo il cammino: la loro sarà sempre distruzione e disonestà, cinismo senza limiti. In questa sinistra equazione tra potere, capitale e calcolo, c'è una combinazione macabra. È lì che sorgono aberrazioni morali, le atrofie della personalità e l'autorità della coscienza di produrre grandi eventi storici si estingue.
Come dice Noam Chomsky, “la crisi del coronavirus avrebbe potuto essere prevenuta se avesse avuto autentici leader politici”. O, per dirla con Shakespeare, nel suo Re Lear, “il momento della pestilenza è quello in cui uomini pazzi guidano i ciechi.”

Il comandante della portaerei americana Theodore Roosevelt, capitano Brett Crozier, è risultato positivo al Coronavirus un paio di giorni dopo essere stato bruscamente rimosso dal proprio incarico dal segretario della Marina militare USA dell’amministrazione Trump, Thomas Modly. La vicenda ha sollevato un polverone politico a Washington e una valanga di polemiche per la reazione della Casa Bianca alla clamorosa denuncia dello stesso ufficiale per la possibile diffusione incontrollata dell’epidemia tra i soldati sotto il suo comando.

In sostanza, Crozier è stato fatto fuori per avere cercato di portare l’attenzione della politica e dell’opinione pubblica americana sulle condizioni venutesi rapidamente a creare sulla Roosevelt nelle ultime settimane. Il capitano della Marina USA aveva deciso di scrivere un “memorandum” per sollecitare misure volte a garantire la salute dei quasi 5 mila marinai a bordo della portaerei. Il documento era apparso la scorsa settimana sul San Francisco Chronicle, provocando le ire dell’amministrazione Trump.

La situazione, aveva scritto il comandante, “richiede una soluzione politica… Non siamo in guerra e ai marinai non è richiesto di dare la vita”. Nella lettera di quattro pagine venivano anche sottolineate le pericolose condizioni di vita a bordo della nave da guerra, con spazi per forza di cose limitati e quindi senza la possibilità di assicurare il distanziamento necessario a fermare l’epidemia. La Roosevelt è attraccata nell’isola di Guam, nell’Oceano Pacifico, e qui, sempre secondo la richiesta del capitano Crozier, avrebbero dovuto essere predisposte stanze per mettere in quarantena i soldati contagiati.

Ufficialmente, al momento sono circa 155 i marinai della Roosevelt risultati positivi al COVID-19, ma meno della metà dei 4.800 che compongono l’equipaggio sono stati finora sottoposti al test. Un migliaio sarebbero invece quelli già evacuati. Come ha fatto sapere il dipartimento della Marina USA, altrettanti dovranno comunque rimanere a bordo per garantire il mantenimento e la “sicurezza” della nave a propulsione nucleare e degli armamenti che trasporta.

Per i marinai della Roosevelt e buona parte dell’opinione pubblica americana, la condotta del capitano Crozier è stata impeccabile, dal momento che ha messo la sicurezza dei propri uomini davanti alle formalità previste dai vertici militari. Il governo di Washington è stato però di diverso avviso, perché il 50enne capitano originario della California è stato appunto destituito dal suo incarico.

Le motivazioni offerte dal dipartimento della Marina, dal segretario alla Difesa, Mark Esper, e dallo stesso presidente Trump sono apparse contorte, a testimonianza del fatto che il capitano ha in definitiva perso il suo incarico e visto svanire brillanti prospettive di carriera per avere smascherato l’incompetenza dei vertici militari e politici degli Stati Uniti.

La ragione ufficiale della rimozione del comandante della portaerei Roosevelt è che quest’ultimo ha mostrato una “scarsa capacità di giudizio” nell’esprimere le lamentele per la situazione provocata a bordo dal Coronavirus. Con una dichiarazione a tratti confusa, il segretario della Marina Modly ha spiegato che Crozier non ha seguito la “catena di comando”, dal momento che ha indirizzato la sua lettera, oltre che ai suoi superiori, a “20 o 30 altre persone”, provocando un “putiferio”.

Modly e la Casa Bianca hanno escluso che Crozier sia stato punito a causa della pubblicazione sulla stampa della sua denuncia, anche se è estremamente probabile che sia stata proprio l’apparizione del “memorandum” di protesta sul San Francisco Chronicle a provocare l’ira dei suoi superiori e di un’amministrazione Trump già oggetto di durissime critiche per la gestione complessiva della crisi provocata dal Coronavirus negli Stati Uniti.

Lo stesso presidente ha condannato pubblicamente il comportamento del capitano Crozier, mentre allo stesso tempo ha negato qualsiasi responsabilità per il licenziamento, a suo dire deciso in maniera autonoma dal segretario della Marina. Per Trump, il comandante della Roosevelt avrebbe anche commesso un errore imperdonabile quando nel mese di febbraio decise di fare attraccare la portaerei nel porto di Da Nang, in Vietnam, nel pieno di una pandemia. In quel momento nel paese del sud-est asiatico risultavano tuttavia pochissimi casi di COVID-19 e gli stessi vertici del Pentagono hanno definito del tutto giustificata la scelta di Crozier.

Il danno di immagine per cui l’amministrazione Trump intendeva punire il comandante della Roosevelt rischia prevedibilmente di ritorcersi contro la Casa Bianca. La stampa americana ha dato ampio spazio alla storia, rilanciata nel fine settimana dalla già accennata positività al Coronavirus di Crozier. Il San Francisco Chronicle ha ad esempio pubblicato un lungo profilo dell’ormai ex comandante, citando anche alcuni marinai della portaerei che hanno elogiato senza riserve il suo comportamento tenuto dopo che erano stati accertati i primi casi di COVID-19.

Anche sul fronte politico, la situazione potrebbe trasformarsi in un’altra grana per la Casa Bianca. Deputati e senatori del Partito Democratico hanno criticato la decisione del segretario della Marina, anche se in molti si sono detti concordi nel definire inappropriato il tentativo di bypassare i propri superiori da parte di Crozier. Al Congresso, i democratici hanno chiesto al Pentagono di istituire una speciale commissione d’inchiesta sia sulle modalità della rimozione del capitano sia sulla gestione dell’epidemia sulla nave da guerra di stanza a Guam.

Il caso della “USS Roosevelt” rischia di non essere l’unico che minaccia l’amministrazione Trump nell’emergenza Coronavirus. Il diffondersi dell’epidemia sulle navi da guerra USA è infatti favorito dalle condizioni di convivenza forzata in spazi angusti a cui devono sottostare i marinai a bordo. Altre situazioni critiche potrebbero già essere state segnalate, anche se l’esempio della punizione somministrata al capitano Crozier potrebbe scoraggiare la pubblicazione di ulteriori notizie imbarazzanti.

Secondo quanto riportato dalla stampa, in ogni caso, almeno un altro caso potenzialmente esplosivo sta interessando la Marina militare americana. Sulla “USS Ronald Reagan”, all’ancora nella base navale di Yokosuka, in Giappone, già una settimana fa erano stati registrati due casi di marinai positivi al Coronavirus. Come la situazione si sia evoluta da allora è però difficile stabilirlo, non essendo apparsa nessun’altra notizia in proposito sui media d’oltreoceano.

Invece di dedicare energia e attenzione alla micidiale pandemia da coronavirus che, al pari di altri irresponsabili leader dell’Occidente ha sottovalutato e che ora minaccia di devastare gli Stati Uniti, Donald Trump torna a riproporre piani di invasione e di ingerenza negli affari interni venezolani.

Si tratta evidentemente di un pretesto per deviare l’attenzione della propria opinione pubblica sempre più avvilita e preoccupata per gli effetti della pandemia, e di quella internazionale, che assiste incredula al dilagare del virus nelle metropoli statunitensi.

Il sistema sanitario degli Stati Uniti, debilitato al pari di altri del mondo occidentale dalle politiche neoliberiste e dove ancora non esiste un’assicurazione sanitaria degna di questo nome per l’insieme della popolazione, non è evidentemente in grado di proteggere i cittadini statunitensi dalla pandemia.


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