Venezuela, Cuba, Nicaragua, Messico. I paesi progressisti o socialisti dell’America Latina, sono vittime di una guerra ibrida decisa dagli Stati Uniti, condotta con sanzioni, minacce, aggressioni mediatiche e politiche, blocchi economici e colpi di Stato con il sostegno aperto degli organismi multilaterali. Le motivazioni sono ideologiche, economiche, politiche. Affermare che "gli Stati Uniti non possono tollerare che in America Latina vi siano sistemi politici incompatibili con i suoi standard di libertà” è una dichiarazione di guerra ideologica, che conferma quella economica e indica la possibilità di passaggio a quella militare. Dichiarare il Nicaragua “inusuale e grave minaccia alla sicurezza nazionale USA”, oltre che una affermazione ridicola da ogni punto di vista, è un artificio politico per aggredire il governo sandinista. E’ la sicurezza nazionale del Nicaragua ad essere minacciata dagli USA, non viceversa.

Con le audizioni alla commissione Giustizia della Camera dei Rappresentanti di Washington, nella giornata di mercoledì si è aperto un nuovo capitolo nel procedimento di impeachment contro il presidente Trump che dovrebbe portare entro la fine dell’anno a un primo voto in aula. Le responsabilità politiche e, probabilmente, anche legali accumulate in quasi tre anni dall’inquilino della Casa Bianca sono in effetti pesanti, ma la strada scelta dal Partito Democratico per tentarne la destituzione continua ad avere poco o nulla a che fare con la difesa della democrazia e dei principi costituzionali degli Stati Uniti.

Quello che avrebbe dovuto essere un evento all’insegna dell’unità tra i paesi membri della NATO a 70 anni esatti dalla sua fondazione, si è subito trasformato questa settimana in una nuova dimostrazione delle profonde divisioni che stanno attraversando il Patto Atlantico. Da un lato, la militarizzazione dell’Alleanza appare sempre più intensa, sotto la spinta di spese esorbitanti, mentre dall’altro continuano a emergere contrasti sulle priorità strategiche e sul ruolo degli Stati Uniti di Donald Trump.

Il vertice vero e proprio tra i 29 capi di stato e di governo riuniti nella capitale britannica è andato in scena mercoledì, con una serie di questioni all’ordine del giorno che, anch’esse, vedono i paesi NATO su posizioni spesso contrapposte. Tra di esse c’è la situazione in Siria dove sono in corso le operazioni della Turchia, condannate da svariati governi e al centro di polemiche alla vigilia del vertice. Erdogan aveva chiesto di designare le milizie curde siriane come organizzazione terroristica in cambio del via libera a un piano NATO di “difesa” rivolto ai paesi Baltici in funzione anti-russa.

Domenica primo dicembre oltre 250.000 persone si sono date convegno nello Zócalo di Città del Messico per festeggiare il primo anno di governo di Andrés Manuel López Obrador (Amlo). Un anno che ha visto l’avvio di quella Quarta Trasformazione promessa dal capo dello Stato (dopo la lotta per l'indipendenza, le riforme laiche e modernizzatrici di Benito Juárez, la Rivoluzione del 1910), all’atto del suo insediamento nel 2018. Tra gli obiettivi della Quarta Trasformazione, la cancellazione del modello neoliberista degli ultimi decenni, il recupero del controllo delle risorse nazionali, in particolare del settore energetico, e la destinazione di maggiori investimenti alla costruzione di opere pubbliche e a interventi a favore degli strati più svantaggiati. Per reperire i fondi necessari López Obrador ha intrapreso fin da subito una ferma battaglia contro la corruzione e ha introdotto misure per il contenimento delle spese governative, dalla vendita dell’aereo presidenziale al taglio degli stipendi dei funzionari, appannaggio presidenziale compreso.

Il carattere illegale e persecutorio del procedimento in atto a Londra contro Julian Assange è stato nuovamente dimostrato nelle ultime settimane con l’emergere di rivelazioni riguardanti un ordine di sorveglianza di tutte le attività del fondatore di WikiLeaks durante la sua permanenza forzata all’interno dell’ambasciata ecuadoriana nel Regno Unito. La notizia, diffusa dal quotidiano spagnolo El País, smonta o dovrebbe smontare definitivamente l’incriminazione di Assange, i cui basilari diritti democratici sono stati ancora una volta fatti a pezzi in maniera deliberata.


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