La normalizzazione dei rapporti tra gli Stati Uniti e Bashar al-Assad sembra essere ancora un’ipotesi estremamente inverosimile, ma l’evolversi degli scenari nel paese in guerra e nel resto del Medio Oriente sta mettendo di fronte all’amministrazione Biden l’imperativo di riformulare il proprio approccio alla crisi siriana, con la possibilità non del tutto remota di prendere in considerazione iniziative all’insegna del pragmatismo nei confronti del governo di Damasco.

Le indagini del Congresso americano sull’assalto dei seguaci di Trump a Capitol Hill il 6 gennaio scorso stanno provocando le prime scintille tra i membri della speciale commissione incaricata dei lavori e lo stesso ex presidente repubblicano e i suoi collaboratori. Nei giorni scorsi sono stati emessi alcuni ordini di comparizione nei confronti di personalità di spicco dell’ex amministrazione repubblicana, chiamati a testimoniare davanti alla commissione della Camera dei Rappresentanti, assieme a richieste di consegna di documenti utili all’indagine.

Alla morte per complicazioni da COVID-19 dell’ex segretario di Stato americano, Colin Powell, è seguita sui media ufficiali e tra la classe politica di Washington una prevedibile ondata di cordoglio infarcito di elogi indiscutibilmente fuori luogo per una delle personalità più compromesse con i crimini dell’imperialismo USA degli ultimi decenni. Dalla guerra del Vietnam all’Iraq, l’ex generale ha infatti collaborato attivamente all’esecuzione e alla pianificazione di sanguinosi massacri e alla distruzione di interi paesi.

Il suo contributo al sistema di potere di cui ha fatto parte è stato però inestimabile, soprattutto per via del presunto esempio che avrebbe offerto alla comunità afro-americana e, ancora di più, per avere puntualmente proposto una finta immagine di moderazione e di dedizione ai principi democratici nonostante l’impegno instancabile nel perseguire gli interessi predatori del capitalismo a stelle e strisce.

Il comportamento della Turchia sul fronte siriano appare sempre più intrecciato alle dinamiche dei rapporti con le due potenze attorno alle quali stanno evolvendo le priorità strategiche di Ankara, ovvero Russia e Stati Uniti. Le decisioni di Erdogan continuano ad alternare messaggi indirizzati di volta in volta a Mosca e a Washington che, in ultima analisi, rivelano un conflitto di fondo sugli indirizzi fondamentali di una politica estera tutt’altro che risolta, ostaggio delle contraddizioni e delle ambizioni in larga misura sfumate dello stesso presidente turco.

Considerando la popolazione dell'area, stimata in circa 7 milioni di persone, la guerra nel Tigray presenta dati terribili:150.000 morti; 2 milioni e 200 mila sfollati; 60.000 rifugiati in Sudan (un terzo dei quali sono bambini); 5 milioni e 200 mila persone che necessitano di assistenza alimentare; 350.000 lottano contro la fame.

Questo genocidio viene portato avanti dall'Etiopia da quasi un anno con uccisioni di massa, distruzione delle strutture sanitarie, devastazioni di campi e magazzini di cibo, stupri.


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