Sulla spinosissima questione del gasdotto russo-tedesco Nord Stream 2, l’amministrazione Biden sembra avere alla fine deciso di privilegiare il consolidamento delle relazioni con Berlino rispetto all’attacco frontale contro gli interessi della Germania e all’escalation del confronto con Mosca. Questo è il senso della decisione del dipartimento di Stato USA di risparmiare dalle sanzioni l’ente che presiede alla costruzione dell’opera (Nord Stream 2 AG) e il suo amministratore delegato, rinunciando con ogni probabilità agli sforzi per impedire il completamento del gasdotto che dovrebbe raddoppiare le forniture di gas naturale dalla Russia alla Germania.

Per il governo americano e i sostenitori di Israele in genere, la strage che si sta compiendo da oltre una settimana nella striscia di Gaza sarebbe giustificata dal “diritto all’autodifesa” dello stato ebraico. Anche solo uno sguardo sommario alla situazione che sta vivendo la popolazione palestinese chiarisce tuttavia come questa giustificazione sia assurda, cinica e criminale. Se si prendono poi in considerazione nel dettaglio le conseguenze di alcune delle operazioni di questi giorni si inizia a comprendere la portata della catastrofe che vene inflitta ai palestinesi, con materiale abbondantemente sufficiente a un’incriminazione per crimini di guerra a carico dei vertici politici e militari israeliani.

I timori per la minaccia che da qualche tempo incombe sul diritto costituzionale all’aborto negli Stati Uniti potrebbero concretizzarsi nei prossimi mesi a causa della decisione presa lunedì dalla Corte Suprema federale americana. Il più alto tribunale del paese ha di fatto ratificato la strategia degli anti-abortisti e ultra-conservatori americani per liquidare il diritto all’interruzione di gravidanza, fissato dalla storica sentenza “Roe contro Wade” del 1973, la cui validità sarà giudicata dalla Corte stessa durante il prossimo anno giudiziario.

La nuova aggressione israeliana contro Gaza, assieme ai drammatici eventi che l’hanno preceduta, ha riportato prepotentemente la questione palestinese al centro del dibattito sia in Medio Oriente sia a livello internazionale. Le vittime civili e la distruzione su larga scala inflitte ancora una volta dallo stato ebraico sembrano infatti segnare la fine delle illusioni, alimentate dall’amministrazione americana dell’ex presidente Trump, di una possibile riconciliazione tra Israele e i regimi arabi sulla pelle della popolazione palestinese. Questa utopia è crollata sotto le contraddizioni del defunto “accordo del secolo” promosso da Washington e, ancor più, da quelle che tormentano il primo ministro israeliano Netanyahu, come sempre senza il minimo scrupolo nel tentare di risolvere i propri guai politici, e in questo caso anche giudiziari, con il sangue dei palestinesi.

Dietro all’ultima brutale aggressione israeliana contro i palestinesi nella striscia di Gaza sembrano esserci, oltre alle consuete ragioni legate all’oppressione di un intero popolo, delicate questioni politiche che riguardano il futuro del primo ministro, Benjamin Netanyahu. Attorno alla guerra potrebbe infatti decidersi anche la sorte del prossimo governo di Tel Aviv, per il quale sono in corso complicatissimi negoziati che appaiono ora appesi a un filo. Sul campo, nel frattempo, le vittime palestinesi sono già svariate decine, in gran parte civili e molti bambini, mentre la prospettiva di un cessate il fuoco appare tutt’altro che a portata di mano.


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