Al consumatore medio di notizie di politica estera il nome del presidente del Ciad, Idriss Déby, dice probabilmente poco o nulla. Lo stesso paese del Sahel africano trova di rado un qualche spazio sui principali media in Occidente. La morte improvvisa e inaspettata dell’uomo forte di N’Djamena nella giornata di martedì rappresenta però un evento di estremo rilievo. Un decesso potenzialmente in grado di destabilizzare ancora di più una regione già messa in crisi dall’intervento militare delle potenze straniere che avevano orchestrato il caos in Libia, a cominciare dalla Francia, dei cui interessi strategici Déby è stato per tre decenni il fidatissimo protettore.

Gli eventi di queste settimane sull’asse Mosca-Washington hanno evidenziato un atteggiamento a tratti contraddittorio dell’amministrazione Biden che, se pure si inserisce in un’inclinazione ancora decisamente aggressiva nei confronti della Russia, lascia intravedere quanto meno l’esistenza di un certo grado di conflitto sugli orientamenti strategici all’interno dell’apparato di governo americano. I segnali di un possibile ripensamento delle politiche ferocemente anti-russe restano in ogni caso sullo sfondo, mentre sembrano moltiplicarsi i fronti di attacco contro Putin e il Cremlino, a dimostrazione dell’influenza che continuano a esercitare i “falchi” dell’establishment a stelle e strisce sul presidente democratico.

Come annunciato 10 anni fa, quando assunse il ruolo che fu di Fidel, il Generale Raul Castro ha presentato all’ottavo Congresso del Partito Comunista di Cuba le sue dimissioni da ogni incarico dirigente. Le dimissioni di Raul arrivano in una data simbolicamente importante, giacché coincidono con la proclamazione del carattere socialista della Rivoluzione e con la vittoria contro l’invasione mercenaria ordita dalla CIA alla Baia dei Porci di 60 anni fa.

Ricorrenze che ben si attagliano alla storia politica di Raul e persino al tratto personale di un dirigente che è sempre apparso come poco incline all’istrionismo ma dotato di grande convinzione ideologica, notevole equilibrio e assoluta determinazione nel portare a compimento le missioni assegnategli.

La decisione della Cina di infliggere una pesante multa alla società Alibaba segna un notevole salto di qualità nell’approccio perseguito dal governo di Pechino nei confronti delle proprie potentissime imprese private o semipubbliche. La multa è stata di 3,7 miliardi di dollari, pari al 4% dei ricavi annuali dell’impresa nel 2019, ed è stata applicata per comportamento contrario alla libera concorrenza. La sanzione fa seguito ad altre analoghe, seppure di minore entità, decise nei confronti di altri attori privati e all’emanazione di direttive contro i monopoli adottate a Febbraio, nonché alla sospensione dalla borsa valori della stessa Alibaba (Chinese government fines Alibaba $3.7 billion for anti-competitive behaviour - ABC News).

La questione dello status di Taiwan sta diventando rapidamente l’elemento più infuocato nella rivalità tra Cina e Stati Uniti in questi primi mesi dell’amministrazione Biden. Stampa e commentatori americani insistono per lo più nel denunciare l’escalation di iniziative intimidatorie da parte di Pechino nei confronti del governo di Taipei, anche se è in realtà proprio Washington a mettere pericolosamente in discussione i fragili equilibri che hanno assicurato pace e stabilità nello stretto di Taiwan in questi ultimi quattro decenni.


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