A sentire i media tradizionali, sembra che i talebani abbiano recuperato buona parte dell’Afghanistan - compresa Kabul - con l’uso della forza. Leggiamo e ascoltiamo termini come “riconquista”, “città caduta”, “avanzata”, ma sono fuorvianti. E anche i paragoni con il Vietnam convincono poco, perché se la ritirata Usa da Saigon fu una tragedia, quella dall’Afghanistan è molto più simile a una farsa. In realtà, la guerra di cui parliamo da giorni non esiste: i talebani si sono ripresi una sfilza di città in una manciata giorni senza combattere, semplicemente perché di fronte a loro non hanno incontrato alcuna resistenza.

Un timidissimo spiraglio è sembrato essersi aperto nei giorni scorsi per una possibile ripresa del processo diplomatico nella penisola di Corea. Dopo mesi di gelo, Seoul e Pyongyang hanno concordato la riattivazione di una linea di comunicazione diretta che era stata soppressa enfaticamente lo scorso anno dal regime di Kim Jong-un. Qualche segnale di un ritorno al dialogo era in realtà emerso già nelle settimane precedenti, ma l’iniziativa congiunta di martedì rappresenta il primo passo concreto in questa direzione e offre la possibilità all’amministrazione Biden di riprendere le fila del negoziato dopo il crollo delle speranze alimentate dagli storici incontri tra Kim e Donald Trump.

L’incontro di questa settimana alla Casa Bianca tra il presidente americano Biden e il primo ministro iracheno, Mustafa al-Kadhimi, avrebbe dovuto segnare un punto di svolta nell’impegno degli Stati Uniti nel paese mediorientale. I due leader hanno infatti annunciato la fine della “missione di combattimento” USA entro il prossimo dicembre. Il numero di soldati e “contractor” sul campo resterà tuttavia quasi certamente invariato. L’utilità del faccia a faccia e della decisione presa in apparenza di comune accordo sembra essere perciò trascurabile, ma risponde alle esigenze strategiche di Washington e Baghdad, nonché ai calcoli politici immediati delle rispettive amministrazioni.

Nel fine settimana, la Tunisia è precipitata nella più grave crisi politica dai tempi della “Primavera Araba” e del movimento popolare che provocò il rovesciamento del regime di Ben Ali nel 2011. Le tensioni che attraversavano da mesi il paese nordafricano sono esplose dopo l’intervento nella serata di domenica del presidente, Kais Saied, che ha di fatto assunto i pieni poteri, sospendendo il parlamento e liquidando il primo ministro, Hicham Mechichi.

Dopo anni di polemiche, sanzioni e tentativi di boicottaggio, il gasdotto Nord Stream 2 dovrebbe finalmente essere completato e diventare operativo entro la fine di quest’anno. I governi di Stati Uniti e Germania hanno annunciato questa settimana un accordo che permetterà la fine dei lavori, lasciando cadere le minacce delle ultime due amministrazioni americane. Più che un vero e proprio accordo, in realtà, si tratta di una resa da parte di Washington che, in cambio di una serie di promesse e iniziative di facciata, ha preso atto dell’impossibilità di fermare il progetto da 11 miliardi di dollari senza mettere in grave pericolo i rapporti con Berlino.


Altrenotizie.org - testata giornalistica registrata presso il Tribunale civile di Roma. Autorizzazione n.476 del 13/12/2006.
Direttore responsabile: Fabrizio Casari - f.casari@altrenotizie.org
Web Master Alessandro Iacuelli
Progetto e realizzazione testata Sergio Carravetta - chef@lagrille.net
Tutti gli articoli sono sotto licenza Creative Commons, pertanto posso essere riportati a condizione di citare l'autore e la fonte.
Privacy Policy | Cookie Policy