Un timidissimo spiraglio è sembrato essersi aperto nei giorni scorsi per una possibile ripresa del processo diplomatico nella penisola di Corea. Dopo mesi di gelo, Seoul e Pyongyang hanno concordato la riattivazione di una linea di comunicazione diretta che era stata soppressa enfaticamente lo scorso anno dal regime di Kim Jong-un. Qualche segnale di un ritorno al dialogo era in realtà emerso già nelle settimane precedenti, ma l’iniziativa congiunta di martedì rappresenta il primo passo concreto in questa direzione e offre la possibilità all’amministrazione Biden di riprendere le fila del negoziato dopo il crollo delle speranze alimentate dagli storici incontri tra Kim e Donald Trump.

 

I governi delle due Coree hanno scelto simbolicamente il giorno del 68esimo anniversario dell’armistizio che pose fine alla guerra del 1950-53 per annunciare il ristabilimento della “hotline” attraverso il confine. La decisione è stata anche accompagnata da un comunicato congiunto per spiegare che sono stati fatti “importanti progressi nel ripristinare il clima di fiducia reciproca”.

Dopo quasi 14 mesi, i militari dei due paesi hanno così ripreso le telefonate giornaliere di routine per scambiarsi informazioni di carattere generale, mentre il governo di Seoul ha fatto sapere giovedì che intende utilizzare la linea diretta per organizzare colloqui virtuali o di persona con Pyongyang attorno a questioni più specifiche. La linea, creata nel 2018 dopo una serie di summit tra Kim e il presidente sudcoreano Moon Jae-in, era stata interrotta dalla Nordcorea come ritorsione per il continuo lancio dal Sud nel proprio territorio di palloni aerostatici con volantini di propaganda.

La rottura quasi totale era dovuta più in generale allo stallo del processo di pace con Washington, arenatosi bruscamente dopo il fallimentare incontro a Hanoi, in Vietnam, tra Kim e Trump nel febbraio 2019. In quell’occasione, l’amministrazione americana aveva insistito nel chiedere alla Corea del Nord una rinuncia preventiva al proprio arsenale nucleare in cambio della normalizzazione dei rapporti bilaterali. Essendo questi ordigni di fatto l’unica merce di scambio nelle mani del regime nordcoreano nella conduzione di una trattativa diplomatica e per evitare un’aggressione militare, le aspettative suscitate dalla Casa Bianca erano finite in un vicolo cieco.

Come ricordato all’inizio, nei mesi scorsi le diplomazie si erano già attivate per preparare una base dalla quale riprendere le discussioni bilaterali nella penisola, con l’obiettivo ulteriore di coinvolgere gli Stati Uniti. Il governo sudcoreano ha rivelato ad esempio che i due leader si erano scambiati varie lettere a partire dal mese di aprile. A giugno, poi, in un discorso al Comitato Centrale del Partito dei Lavoratori, Kim aveva affrontato per la prima volta dall’insediamento di Biden la questione dei rapporti con gli USA, invitando la classe dirigente nordcoreana a “prepararsi sia per il dialogo sia per lo scontro”.

Da parte di Seoul è chiaro il tentativo di spingere per una ripresa del processo diplomatico per rilanciare le azioni del presidente Moon nella fase finale del suo mandato. Come un segnale a Pyongyang deve essere inteso probabilmente anche l’annuncio di giovedì all’insegna della prudenza del ministero della Difesa sudcoreano. Nell’affrontare una questione che ha tradizionalmente irritato Kim, il portavoce di questo ministero ha fatto sapere che ancora non sono state prese decisioni in merito alle consuete esercitazioni militari tra Corea del Sud e Stati Uniti. Questi “giochi di guerra” si tengono solitamente alla metà di agosto e vengono puntualmente denunciati da Pyongyang, dove sono visti come una prova di invasione. Seoul, inoltre, per limitare le tensioni ha tutt’al più ipotizzato un’esercitazione soltanto virtuale, senza il dispiegamento di forze sul campo.

Se la situazione nella penisola di Corea non è mai stata sul punto di precipitare nell’ultimo anno, senza progressi di rilievo erano parecchie le preoccupazioni per il verificarsi di un possibile evento in grado di riportare la situazione al periodo della prima fase della presidenza Trump. Il ristabilimento della linea di comunicazione diretta dovrebbe ora limitare ulteriormente i rischi e contribuire a creare un clima decisamente più stabile.

La questione cruciale resta comunque l’inserimento dell’amministrazione Biden in questo spazio appena ricreato da Kim e Moon. La disponibilità americana in questo senso appare del tutto plausibile, come aveva ammesso l’inviato speciale di Biden per la Corea del Nord, Sung Kim, durante una visita a Seoul lo scorso mese di giugno. Il diplomatico americano aveva affermato che il suo governo “auspica un riscontro positivo da parte di Pyongyang alle nostre offerte di organizzare un incontro ovunque, in qualsiasi momento e senza precondizioni”.

In quell’occasione, la risposta nordcoreana era stata tutt’altro che incoraggiante. Il ministro degli Esteri, Ri Son-gwon, aveva assicurato di “non voler nemmeno considerare la possibilità di avere un contatto con gli Stati Uniti”, dal momento che un incontro “non ci condurrebbe da nessuna parte e servirebbe solo a sprecare tempo prezioso”. Il regime di Kim è invece evidentemente pronto a tornare al tavolo del negoziato con Washington, al di là delle prese di posizione ufficiali ad uso e consumo domestico, ma resta il fatto che qualsiasi ipotesi di dialogo deve fare i conti con l’esperienza degli ultimi due decenni, segnati da un atteggiamento intransigente da parte americana.

Anche se l’amministrazione Biden dovesse decidere alla fine di riaprire un dialogo diretto con la Corea del Nord, fortissimi dubbi resterebbero sulla propria attitudine. Fino ad ora non ci sono infatti segnali dell’intenzione di trattare in maniera equa con Pyongyang, impostando un negoziato serio basato su concessioni graduali e reciproche. Nell’equazione coreana entrerà infine anche il fattore cinese, assolutamente primario per i calcoli di Washington nell’approccio al nodo nordcoreano.

Solo ulteriori progressi tra Seoul e Pyongyang confermeranno dunque la possibilità di passare alla fase successiva con l’eventuale coinvolgimento degli USA nel processo diplomatico. A quel punto, toccherà a Biden scoprire le carte e dimostrare se ci saranno speranze per la risoluzione della crisi lungo il 38esimo parallelo o se le modeste scintille di questi giorni saranno destinate ancora una volta ad avere una vita brevissima.

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