Le scene della guardia di frontiera statunitense che a cavallo frusta i migranti haitiani rimanda all’Alabama degli anni ’50, quando un nero era solo un “negro”, il cui valore era inferiore a quello di un animale. L’essenza più profonda del fascismo americano ha così avuto eco sui media anche in questa occasione, esibendo concretamente la autentica concezione dei diritti umani che gli uSA sbandierano strumentalmente contro i loro avversari politici.

Biden si era dichiarato apertamente amico del popolo haitiano “senza se e senza ma”. E lo aveva fatto con parole toccanti dicendosi rattristato dal devastante terremoto che aveva colpito Haiti ad agosto. Ma buona parte dei suoi elettori ha perso fiducia nel presidente e nella sua vice dopo essersi accorti che hanno detto bugie da far impallidire persino Donald Trump.

È possibile che gli Stati Uniti siano andati vicini a lanciare un attacco militare contro la Cina nelle ultime settimane trascorse da Donald Trump alla Casa Bianca? L’ipotesi potrebbe sembrare inverosimile, ma le anticipazioni di un nuovo libro in uscita in America hanno rivelato che almeno due soggetti, con una prospettiva a dir poco privilegiata sugli eventi di Washington, ritenevano questa eventualità tutt’altro che fantasiosa nei frenetici giorni delle elezioni presidenziali e della transizione alla guida del paese.

Nel volume “Peril” (“Pericolo”), i giornalisti del Washington Post Bob Woodward, noto per l’indagine sullo scandalo del Watergate negli anni Settanta del secolo scorso, e Robert Costa hanno raccontato come i timori per un’azione disperata di Trump, con l’obiettivo di rimanere alla Casa Bianca, fossero nutriti seriamente sia dal governo di Pechino sia dal capo dello Stato Maggiore militare americano, generale Mark Milley.

Venerdì 10 settembre 2021, alla vigilia del 48° anniversario del colpo di Stato militare che rovesciò il governo socialista di Salvador Allende in Cile l'11 settembre 1973, l'Archivio della Sicurezza Nazionale degli Stati Uniti (NSA) ha pubblicato documenti declassificati che rivelavano come la CIA usò altri Paesi nella preparazione dell'intervento di Washington contro il presidente cileno democraticamente eletto. Questo è avvenuto in seguito alla scelta di un tribunale amministrativo di ordinare la consegna di centinaia di documenti datati 1970-1973, relativi all'apertura, amministrazione e chiusura della stazione di Santiago. 

La pubblicazione da parte dell’amministrazione Biden del primo di una serie di documenti riservati sul possibile coinvolgimento dell’Arabia Saudita negli attentati dell’11 settembre 2001 è stata accolta in generale come un non evento che confermerebbe l’estraneità di Riyadh dai fatti che due decenni fa hanno inaugurato la “guerra al terrore”. In realtà, il quadro che ne esce, anche se per ora molto parziale, appare più sfumato e, in ogni caso, dell’iniziativa della Casa Bianca devono essere valutate anche le implicazioni geo-politiche, soprattutto per quel che riguarda l’evoluzione dei rapporti tra Washington e il regno wahhabita.

L’atto finale dell’occupazione americana dell’Afghanistan non poteva che essere segnato da un episodio di brutale violenza nel nome della “guerra al terrore”. Ciò è precisamente quanto accaduto alla fine di agosto con l’attacco mirato, condotto da un drone, contro quello che i vertici militari USA avevano assicurato essere un militante dello Stato Islamico-Khorasan (ISIS-K), l’organizzazione ritenuta responsabile dell’attentato di qualche giorno prima all’aeroporto di Kabul. L’operazione era stata in realtà una strage di civili, come si era subito sospettato, e a confermarlo è stata anche un’indagine giornalistica non di una testata alternativa, ma dello stesso New York Times, cioè uno dei media ufficiali più determinati nell’appoggiare la “guerra giusta” in questi due decenni.


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