Dietro alla retorica di molti governi europei impegnati ad appoggiare l’Ucraina non c’è, come si vorrebbe far credere, la volontà di difendere un governo democratico attaccato senza ragione dalla Russia, ma piuttosto una serie di calcoli strategici che, oltre al contenimento di Mosca, puntano a dare un impulso fortissimo al militarismo sul fronte domestico. Questi piani sono più che evidenti soprattutto in Germania, dove la guerra in corso ha fornito alla sua classe dirigente un’occasione unica per liquidare definitivamente il pacifismo e l’immagine di paese pragmatico dedito agli affari per accelerare un processo di riamo in preparazione da tempo.

 

La rapidità e l’entusiasmo con cui praticamente tutto lo spettro politico tedesco ha abbracciato la crociata ucraina e, ancor più, l’enorme aumento delle spese militari annunciate dal governo confermano come Berlino avesse già studiato la strada da percorrere e attendesse soltanto un evento di importanza tale da giustificare l’abbandono anche formale del senso di colpa per i crimini nazisti prima e durante la Seconda Guerra Mondiale.

Questa evoluzione avvenuta all’interno delle élites della Germania affonda le radici almeno nell’aggressione contro la Serbia del 1999 e aveva fatto segnare un cambio di marcia attorno alla metà dello scorso decennio. Lo shock della presidenza Trump, con l’esplosione di conflitti virtualmente senza precedenti tra gli alleati sulle due sponde dell’Atlantico, e appunto la guerra in Ucraina hanno alla fine permesso alla classe dirigente tedesca di liberarsi da qualsiasi vincolo e promuovere un’offensiva anche propagandistica per superare le resistenze tra la popolazione al ritorno di un militarismo spinto.

Subito dopo l’avvio delle operazioni russe in Ucraina, il giorno 27 febbraio il cancelliere socialdemocratico Olaf Scholz è stato protagonista di un intervento in parlamento dedicato al lancio ufficiale delle politiche da grande potenza della Germania. Con il pretesto dell’aggressione russa, il successore della Merkel ha annunciato un imponente aumento delle spese militari, cominciando dallo stanziamento una tantum di un “fondo speciale” da 100 miliardi di euro che andrà ad aggiungersi ai 50 miliardi già a bilancio per l’anno 2022.

Il triplicarsi improvviso del budget per la difesa sarà solo l’anticipo di un’impennata dell’esborso pubblico in questo ambito. Scholz ha garantito che in futuro la Germania si allineerà alle richieste americane, fatte in particolare negli anni scorsi dall’amministrazione Trump, arrivando a “investire” più del 2% del PIL in spese militari. In base agli ultimi dati dell’economia tedesca, l’aumento dovrebbe essere pari a 24 miliardi di euro per raggiungere una cifra totale ben superiore ai 70 miliardi. In questo modo, la Germania diventerebbe la principale potenza militare europea, quanto meno per stanziamenti, superando Gran Bretagna (59 miliardi di dollari spesi nel 2021), Russia (62) e Francia (53).

Le dichiarazioni del cancelliere socialdemocratico sono state accolte positivamente da tutte le forze politiche rappresentate al “Bundestag”, inclusi i deputati del partito della Sinistra (“Die Linke”). Ancora più euforica è stata la risposta della stampa ufficiale tedesca. Dai commenti e dagli editoriali seguiti al dibattito parlamentare si è percepito chiaramente il senso di liberazione che attraversa la classe dirigente tedesca dopo lo scoppio del conflitto ucraino. Tra i più espliciti è stato il condirettore del Frankfurter Allgemeine Zeitung (FAZ), Berthold Kohler, il quale ha quasi ringraziato Putin per l’assist servito ai rinati impulsi militaristi tedeschi

“Se non suonasse come cinismo”, scrive Kohler, “si sarebbe quasi tentati di essere riconoscenti al presidente russo per avere portato la politica estera e della sicurezza tedesca dal mondo delle fiabe alla realtà”. Kohler abbandona qualsiasi scrupolo nel promuovere il rilancio totale delle ambizioni della Germania, arrivando a ipotizzare l’opzione delle armi nucleari, sia pure nominalmente in un quadro europeo e come “deterrente” reso indispensabile dalle nuove minacce globali e dal venir meno delle sicurezze garantite dagli Stati Uniti.

La finzione della necessità di spingere per un nuovo programma di riarmo a causa dell’aggressione russa contro l’Ucraina deve essere considerata come tale. L’intera classe dirigente tedesca ha infatti sposato da tempo questa causa e la più recente testimonianza di questa attitudine tutt’altro che nuova è arrivata da un articolo della rivista Der Spiegel che ha rivelato come il programma di riarmo presentato da Scholz alla fine di febbraio fosse stato già definito nel corso dei negoziati per la formazione del primo governo post-Merkel lo scorso autunno.

“Mesi fa”, spiega il magazine tedesco, “i responsabili del bilancio del ministero della Difesa avevano preparato una serie di modelli confidenziali”, fatti avere ai partecipanti ai colloqui per la formazione del gabinetto di coalizione. Questi progetti di spesa in ambito militare erano di difficile implementazione vista l’entità e l’opposizione al militarismo della maggioranza della popolazione tedesca. L’invasione russa dell’Ucraina, nelle parole di Der Spiegel, ha reso però “possibile l’impensabile”.

Il cancelliere Scholz ha così “ha rispolverato i vecchi documenti” risalenti al mese di ottobre che, incidentalmente, prevedevano un “fondo speciale” da 102 miliardi di euro. Le proposte dei militari suddividevano inoltre le varie voci di spesa per definire nel dettaglio “dove il denaro [pubblico] doveva essere investito”. La precisione e la tempestività con cui Berlino ha presentato ufficialmente la sua “road map” per tornare a ricoprire a tutti gli effetti un ruolo da grande potenza non può sorprendere quanti negli ultimi anni hanno seguito le dichiarazioni programmatiche e le prese di posizione degli esponenti di vertice dello stato tedesco.

Al 2013 risale un importante documento strategico dell’Istituto Tedesco per gli Affari Internazionali e di Sicurezza (SWP) che delineava le “nuove responsabilità” della Germania in un mondo in rapido cambiamento. Lo studio affermava in sostanza l’urgenza per la Germania di tornare a svolgere un “ruolo di leadership” a livello globale, sia sul piano politico che militare. La centralità del capitalismo tedesco in questo progetto era chiarito dal richiamo alla natura di paese orientato “al commercio e all’export”, più vincolato di altri “alla domanda di altri mercati”, così come “all’accesso alle rotte commerciali internazionali” e all’approvvigionamento delle materie prime.

Per queste ragioni e in un clima internazionale sempre più competitivo, la Germania doveva avviare quanto prima un programma di riarmo, in definitiva annunciato durante la Conferenza sulla Sicurezza di Monaco di Baviera nel 2014 dall’allora presidente federale Joachim Gauck. Per quest’ultimo si trattava di mettere fine alle “restrizioni militari” che avevano caratterizzato la politica estera tedesca fin dal crollo del nazismo, mentre per il suo futuro successore, il socialdemocratico Frank-Walter Steinmeier, la Germania era diventata “troppo grande per limitarsi a commentare dal di fuori gli eventi politici mondiali”. L’allora ministro degli Esteri invitava il suo paese a prepararsi per “dare un contributo più deciso e concreto alla politica estera e della sicurezza”, in sostanza tornando a essere una grande potenza militare.

Con la crisi ucraina proprio del 2014 si presentò l’occasione per mettere in atto questi propositi e, sette anni più tardi, le ripetute provocazioni nei confronti della Russia hanno innescato un’azione militare da parte di Mosca che ha permesso alla Germania di fare un ulteriore passo avanti nell’implementazione dei piani allo studio da tempo. Le recenti dichiarazioni di Scholz arrivano d’altronde dopo anni durante i quali le spese militari sono costantemente cresciute e le missioni delle forze armate tedesche all’estero moltiplicate, dall’Africa al Medio Oriente, per non parlare del contributo all’espansione della NATO verso est in funzione anti-russa e, ora, degli armamenti forniti al regime di Kiev.

La creazione di una macchina militare pronta a fare la guerra per gli interessi economici e strategici tedeschi ha implicazioni evidentemente inquietanti, come dimostrano le vicende delle due guerre del ventesimo secolo. L’incremento vertiginoso delle spese militari comporta inoltre un nuovo drastico dirottamento delle risorse pubbliche verso questo scopo, dissanguando ancora di più i programmi sociali e di welfare già messi a durissima prova negli ultimi decenni.

Sul fronte militare e strategico, invece, il riapparire sullo scenario globale di una Germania dotata di armamenti in grado di competere con le maggiori potenze rischia di precipitare una conflagrazione rovinosa non solo, come si sta assistendo in questi giorni, con la Russia, ma anche con altri “competitor” reali o potenziali. La storia recente dimostra cioè che il riemergere dell’aggressività tedesca e la ricerca di un ruolo di leadership nello spazio europeo comporta il riesplodere di tensioni anche tra gli stessi paesi occidentali.

Presto o tardi, le ambizioni della Germania finiranno per scontrarsi con quelle della Francia, della Gran Bretagna e degli stessi Stati Uniti. Nella nebbia della propaganda che avvolge il conflitto in corso in Ucraina e dietro l’apparenza di un allineamento perfetto contro il “mostro” Putin, si intravedono probabilmente già alcuni dei contrasti e delle divisioni innescati dal ritorno in auge delle politiche militariste, a cominciare dalla decisione del governo francese di tenere aperto, almeno per il momento, un canale di comunicazione diretta con il Cremlino.

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