Il massiccio invio di armi al regime di Kiev, per cercare di resistere alle operazioni militari russe, sta sollevando con estrema urgenza, anche se non per governi e media occidentali, il problema dei destinatari di questi equipaggiamenti, visto che lo stato e le forze di sicurezza ucraine sono pervasi da elementi apertamente neo-nazisti e di estrema destra in genere. Lo stesso presidente,Volodymyr Zelensky, nonostante le origini ebraiche e una carriera politica decollata grazie alle promesse di pacificazione con Mosca, ha da tempo accettato l’influenza neo-nazista sul suo governo, tanto da rendere insignificanti le rassicurazioni occidentali circa la natura democratica delle forze su cui si baserebbe la “resistenza” anti-russa.
Un’analisi recente pubblicata dal sito di informazione alternativa The Grayzone Project ha riepilogato le tappe dell’evoluzione dell’atteggiamento di Zelensky dopo la sua elezione nel 2019. Il suo nettissimo successo alle urne contro il presidente uscente, Petro Poroshenko, era dovuto in primo luogo a un’agenda basata sulla “de-scalation delle ostilità con la Russia”, visto il pesante fardello che il conflitto alimentato dall’Occidente nelle regioni orientali ucraine rappresentava per la popolazione di questo paese. Nel concreto, Zelensky intendeva dare un impulso alla cosiddetta “formula Steinmeier”, dal nome dell’ex ministro degli Esteri e attuale presidente tedesco, ovvero un’implementazione limitata degli accordi di Minsk e che prevedeva innanzitutto elezioni nelle regioni filo-russe di Donestsk e Lugansk.
Il tentativo del presidente ucraino di riavviare in questo modo il processo diplomatico aveva però subito incontrato una feroce resistenza in molti ambienti di potere del suo paese, per non parlare dell’opposizione di USA e, in parte, Europa, dove c’era tutto l’interesse a tenere impantanata la Russia in un conflitto senza soluzione. Sul fronte domestico, in ogni caso, i piani di Zelensky avevano dovuto fare i conti con una vera e propria campagna ostruzionistica, i cui principali ispiratori erano appunto i gruppi paramilitari neo-nazisti in prima linea nella guerra contro la minoranza filo-russa fin dal golpe del 2014.
Gli autori dell’articolo di The Grayzone citano in particolare un incontro del 2019 ripreso dalle telecamere tra Zelensky e i rappresentanti di organizzazioni come il famigerato battaglione Azov, durante il quale il presidente aveva sbottato per via dell’ostinazione con cui i suoi interlocutori mostravano di voler resistere all’ordine di ritirarsi dalle loro posizioni lungo la linea di conflitto con le province del “Donbass”. Un certo allentamento delle tensioni era in effetti seguito, ma i neo-nazisti ucraini e i loro referenti politici a Kiev avevano raddoppiato gli sforzi per far desistere Zelensky dal suo intento, prospettando ad esempio l’invio di ulteriori uomini a combattere e, in più di un’occasione, con aperte minacce di morte contro il presidente.
Quel che ne seguì furono ripetute violazioni degli accordi di Minsk e il progressivo abbandono da parte di Zelensky dei modesti propositi di pace che gli avevano garantito il trionfo elettorale. The Grayzone spiega come il battaglione Azov e altre formazioni paramilitari di ultra-destra erano a quel punto ormai già ben integrate nelle forze armate regolari, come confermano, tra l’altro, le collaborazioni tra queste ultime e le forze di polizia in operazioni teoricamente dirette a garantire l’ordine pubblico in varie parti del paese.
Il gruppo neo-nazista “C14”, nato come ala giovanile del partito ultra-nazionalista Svoboda, già nella primavera del 2018 aveva sottoscritto un’intesa con la municipalità di Kiev per partecipare a un programma di pattugliamento delle strade della capitale in collaborazione con la polizia locale. Il leader di “C14”, Yehven Karas, si era incontrato più volte con Zelensky e, in parallelo all’aumentare dell’influenza della sua organizzazione, aveva moltiplicato le sue apparizioni pubbliche. In una dichiarazione citata da Grayzone, Karas spiegava come i servizi di sicurezza ucraini fossero soliti passare a “C14”, ma anche ad altri gruppi simili come il battaglione Azov o “Settore Destro”, informazioni sugli incontri a cui partecipavano i “separatisti” filo-russi, evidentemente con lo scopo di farne un bersaglio della violenza neo-nazista. Karas riassumeva questa sorta di simbiosi tra organi dello stato e milizie di estrema destra affermando che “in sostanza, i deputati di qualsiasi fazione, la Guardia Nazionale, i servizi di sicurezza e il ministero degli Affari Interni lavorano per noi”.
Già a partire dal 2019, dunque, l’amministrazione Zelensky non solo aveva fatto marcia indietro sulla diplomazia, ma si era adoperata per rafforzare i legami con l’estrema destra in Ucraina. Il presidente avrebbe inaugurato una politica di apertura nei confronti di queste forze, con il chiaro obiettivo di sdoganarli e consolidarne l’integrazione nelle strutture dello stato nonostante la loro impopolarità tra la popolazione ucraina. Sul finire dello scorso anno, poi, questo processo ha avuto un’ulteriore accelerazione in concomitanza con l’intensificarsi delle provocazioni contro le province filo-russe e i preparativi per trascinare la Russia in un conflitto sul territorio ucraino.
Significativi furono due provvedimenti presi da Zelensky rispettivamente a novembre e a dicembre 2021. Il primo fu la nomina di uno dei più noti miliziani di estrema destra, Dmytro Yarosh, a consigliere del comandante delle forze armate ucraine e l’altro la consegna del riconoscimento di “Eroe dell’Ucraina” a uno dei capi di “Settore Destro”, Dmytro Kotsyubaylo. Con l’inizio delle manovre russe questa tendenza ad assegnare incarichi di rilievo a elementi ultra-compromessi si è intensificata. Il primo giorno di marzo, ad esempio, il presidente ucraino ha nominato alla guida dell’amministrazione regionale di Odessa, cioè uno degli obiettivi primari della campagna di Mosca, Maksym Marchenko, ex comandante del battaglione Aidar di estrema destra e accusato di svariati crimini di guerra nel Donbass.
L’attitudine di Zelensky nei confronti della galassia neo-nazista ucraina non sorprende se si considera che il suo punto di riferimento tra gli oligarchi che controllano il potere e le risorse economiche del paese è Igor Kolomoisky. Malgrado sia anch’egli di origine ebraica, Kolomoisky risulta fin dalla fondazione nel 2014 uno dei più importanti finanziatori del battaglione Azov. Secondo Grayzone, l’oligarca ucraino ha elargito somme di denaro anche ad altre milizie neo-naziste, quasi sempre pronte a mettere a disposizione i loro servizi per proteggere interessi e proprietà dei super-ricchi ucraini.
In uno scenario simile, l’impegno di Putin per la “denazificazione” dell’Ucraina ha decisamente una logica, mentre è pura propaganda lo sforzo dei media ufficiali in Occidente per minimizzare l’influenza neo-nazista, spesso agitando le origini ebraiche di Zelensky. Nella realtà dei fatti, il presidente ucraino, al di là dei propositi all’inizio del suo mandato, ha finito di fatto per consegnare alle milizie neo-naziste il compito di condurre la guerra prima contro la minoranza filo-russa nelle province orientali e ora la resistenza contro l’avanzata delle forze di Mosca.
Questi gruppi estremisti sono i beneficiari degli “aiuti” sotto forma di armi che, secondo la versione ufficiale e virtualmente indiscutibile in Occidente, dovrebbero proteggere dalla barbarie russa la fantomatica democrazia ucraina. Il governo di Washington e quelli da questa parte dell’Atlantico hanno cercato fin dal colpo di stato del 2014 di fare dell’Ucraina un avamposto delle manovre di accerchiamento della Russia in previsione di un futuro conflitto. Nel favorire la militarizzazione del paese dell’ex Unione Sovietica, l’Occidente ha consapevolmente rafforzato le milizie di estrema destra e il peso che oggi hanno queste ultime è tale da aver costretto i media ufficiali e i governi che appoggiano Kiev a mettere in piedi una gigantesca campagna di disinformazione e ad adottare vergognosi provvedimenti di censura per nascondere la verità agli occhi dell’opinione pubblica.
Oltre alle armi, ad arrivare in Ucraina sono un numero imprecisato di “volontari” intenzionati a combattere contro l’invasione russa. Questo afflusso di uomini è ugualmente favorito dai governi occidentali e rischia di avere effetti imprevisti nel prossimo futuro, come la creazione di reti di militanti di ultra-destra in grado, come i fondamentalisti islamici forgiati dalla guerriglia in Afghanistan o in Siria, di portare la violenza al di fuori dei confini ucraini. Non è un caso a questo proposito che in questi giorni si stiano moltiplicando le segnalazioni dell’arrivo in Ucraina di elementi legati alle formazioni jihadiste attive in Siria, dove hanno a loro volta servito gli interessi americani, e di attività di reclutamento di mercenari in svariati paesi arabi da parte dei servizi segreti di Kiev.
Gli effetti indesiderati dello strapotere neo-nazista in Ucraina si stanno peraltro già facendo sentire anche sul regime di Zelensky. Nei giorni scorsi è circolata la notizia dell’assassinio, da parte dei servizi di sicurezza, di Denis Kireev, uno dei membri della delegazione ucraina che aveva partecipato al primo round di negoziati in Bielorussia con gli inviati del Cremlino. Il decesso sarebbe avvenuto durante il tentativo di metterlo agli arresti perché accusato di “tradimento”. Lo stesso presidente sarebbe sopravvissuto a tre attentati alla sua vita nell’ultima settimana, conseguenza probabilmente della decisione di autorizzare l’apertura di negoziati con Mosca.
Il ruolo di primissimo piano della destra estrema nei piani per l’Ucraina degli Stati Uniti e dell’Europa non è in definitiva casuale né un effetto collaterale irrilevante né tantomeno uno sbaglio involontario derivante dalle manovre occidentali ufficialmente dirette alla difesa della democrazia. Storicamente l’intromissione dell’Occidente in Ucraina si è sempre basata su forze neo-naziste, a partire dagli ambienti collaborazionisti dopo la Seconda Guerra Mondiale in funzione anti-sovietica. Queste formazioni sono state perciò il riferimento obbligato nella preparazione del colpo di stato contro il presidente Yanukovich nel 2014 e negli anni successivi per tenere in vita il conflitto nelle province orientali filo-russe.
A Washington, così come a Berlino o a Bruxelles, il peso crescente dei neo-nazisti ferocemente anti-russi non è mai stato un problema o un ostacolo, anche se la preoccupante realtà sul campo è stata evidenziata da decine di indagini giornalistiche, talvolta condotte dalla stampa “mainstream”. Un esempio di ciò può essere la rivelazione pubblicata a metà gennaio da Yahoo News su un programma segreto di addestramento della CIA in una località sconosciuta in territorio USA. L’intenzione era precisamente quella di organizzare la resistenza armata contro un’invasione russa che il governo di Washington ha provocato in tutti i modi. Al programma, inaugurato nel 2015, hanno partecipato membri dell’intelligence e delle “forze speciali” ucraine, come si è visto pesantemente infiltrate da elementi neo-nazisti, e, come spiegava un anonimo ex agente della CIA, la preparazione nelle tecniche “insurrezionali” serviva sostanzialmente a insegnare agli ucraini a “uccidere i russi”.