Il presidente ucraino Zelensky ha annunciato questa settimana la sospensione del numero uno del servizio segreto domestico (SBU), Ivan Bakanov, e del procuratore generale dello Stato, Irina Venediktova, con una mossa che testimonia sia della crisi del suo regime sia dell’influenza esercitata su di esso dalle potenze occidentali, primi fra tutti gli Stati Uniti. Dietro al provvedimento ci sarebbe la massiccia infiltrazione di “spie” russe, tanto che, secondo lo stesso ex comico televisivo, sono già 651 i procedimenti d’indagine aperti per “tradimento e collaborazionismo”.

Il giorno successivo alla strage di giovanissimi studenti in una scuola elementare della cittadina di Uvalde, nel Texas, le autorità locali e dello stato avevano celebrato il tempestivo intervento degli agenti di polizia, grazie ai quali molte vite erano state sottratte alla furia omicida del 18enne Salvador Ramos. A quasi due mesi dai fatti, questa versione è stata definitivamente smentita con la pubblicazione di due filmati registrati dalle telecamere di sorveglianza all’interno della scuola e dai risultati di un’indagine condotta dal parlamento statale del Texas. Le forze di polizia di vari dipartimenti erano in effetti giunte sul luogo della sparatoria in una manciata di minuti, ma l’intervento che avrebbe potuto realmente ridurre il numero delle vittime è stato rinviato senza apparente motivo per oltre un’ora, nonostante vi fossero tutte le condizioni per cercare di fermare l’assalitore.

A circa 150 giorni dall’inizio delle operazioni militari russe in Ucraina, la reazione occidentale, che secondo Biden avrebbe cancellato la Russia dal consesso internazionale, si rivela come un flop politico ed economico, il più vasto e profondo nella storia dell’arroganza statunitense ed europea. L’effetto boomerang delle sanzioni ha anzi accelerato la crisi che già colpiva l’intero Occidente, che ha un’origine politica, frutto di una ipervalutazione della forza di USA e UE sui mercati internazionali e del grado di influenza politica sulla comunità internazionale.

La guerra in Ucraina sembra da tempo ormai essere entrata in una fase di apparente stallo. Da un lato continua, a ritmo rallentato, la conquista russa di territori del Donbass, ormai quasi completamente controllato dal governo di Mosca e dalle Repubbliche indipendenti di Lugansk e Donetsk. Dall’altra si affastellano propositi di rivincita sempre più confusi e velleitari da parte ucraina. L’idea di Zelensky di dar vita a un esercito di un milione di uomini riecheggia vagamente i nove milioni di baionette di mussoliniana memoria. E si sa come andò a finire…

Nel nulla quotidiano, fatto di crimini di guerra veri e presunti dall’una e dall’altra parte, di spacconate e inquietanti allarmi sulla concreta possibilità di una guerra mondiale, emergono tuttavia alcuni elementi concreti sui quali dovrebbero attentamente riflettere governanti che fossero autenticamente responsabili, specie da tempo tuttavia in via di estinzione in Italia e nel resto d’Europa.

Il primo è costituito dalla crescente disaffezione dell’opinione pubblica europea nei confronti della guerra.  Se è vero che nei primi momenti successivi all’invasione dello scorso 24 febbraio settori non trascurabili, seppure mai maggioritari, di tale opinione pubblica, avevano reagito con sdegno a quella che veniva presentata una guerra d’aggressione motivata esclusivamente dal militarismo incorreggibile di un potere autoritario, oggi, a quasi cinque mesi di distanza, i ranghi di coloro che sono favorevoli a una partecipazione al conflitto mediante invio di armi all’Ucraina, si sono ulteriormente assottigliati.

Ciò non è certamente casuale. Le indecorose scuse a carattere ideologico che qualcuno continua ad invocare senza vergogna fanno sempre meno presa tra gli Europei, che si rendono conto con sempre maggior chiarezza che i costi della crisi e della spaccatura con Mosca graveranno direttamente su di loro, anche in Paesi che, come la Germania, hanno adottato, al contrario del nostro, misure serie ed efficaci di contenimento del  danno.

Del resto che senso ha, come continua a fare ad esempio il pessimamente informato Gad Lerner, affermare che il grande problema di Putin è dover convivere con un’Ucraina democratica, quando tale carattere di democraticità è smentito, a partire dal fatidico febbraio 2014? Non lo si è visto dalla natura profonda e reale di un regime egemonizzato da forze neonaziste dedite allo sterminio e alla tortura degli oppositori e dei “secessionisti” e non solo nel Donbass dove il conflitto è cominciato appunto più di otto anni fa? Dal fatto che eroe nazionale è quel tale Bandera autore del più vasto genocidio di ebrei (e di altri) mai verificatosi nel corso della storia mondiale? Dalla messa fuori legge progressiva di ogni partito avente anche solo un sentore di sinistra e dei sindacati e dei diritti di lavoratori e lavoratrici tout-court? Dell’applicazione fanatica dell’ortodossia neoliberale nella sua peggiore versione? Della penetrazione di autorità e funzionari statunitensi e NATO ad ogni livello del governo civile e militare del Paese?

E quale credibilità possono avere i cosiddetti valori occidentali di fronte a crimini come quelli commessi contro Assange, che rischia 173 anni di carcere ed è assoggettato da tempo a un regime di vera e propria tortura che lo sta uccidendo per aver rivelato altri crimini commessi dagli Stati Uniti e da altri? O contro i Kurdi abbandonati al loro destino e alle mire genocide di Erdogan in cambio dell’autorizzazione di quest’ultimo all’entrata di Svezia e Finlandia nella NATO?

Fatto sta che, come rivelato con preoccupazione da un sondaggio dell’European Council for Foreign Relations (European Council on Foreign Relations (ecfr.eu)) , i cittadini europei appaiono divisi tra coloro che attribuiscono importanza prevalente alla pace e coloro che invece l’attribuiscono alla “giustizia” (ovvero alle ragioni dell’Ucraina presentate sotto tale veste) e che i primi appaiono nettamente maggioritari : 35% contro 22%). E tutto lascia intendere che coloro che preferiscono la pace alla “giustizia” sono destinati ad aumentare.

Il secondo elemento deriva invece da una ancora più recente presa di posizione del New York Times, secondo il quale le continue richieste ucraine di armi sempre più massicce e sofisticate non potranno essere consegnate per il semplice fatto che non ce ne sono abbastanza (Ukraine’s Demands for More Weapons Clash With U.S. Concerns - The New York Times (nytimes.com).

Tutto lascia insomma intendere che ci avviamo verso l’ennesimo fallimento dell’Occidente. Ma, in assenza di una qualsiasi iniziativa per la pace da parte degli Stati europei o di altri, tale situazione induce a forti preoccupazioni, nella direzione di una cronicizzazione “afghana” del conflitto seguendo gli auspici di Hillary Clinton o di un suo precipitare in conflitto nucleare, magari da principio solo tattico con campo di battaglia in Europa (Gen. Fabio Mini: "Il rischio nucleare “tattico” esiste. E l’unica a pagare sarà l’Europa" - (ambienteweb.org).

In entrambi i casi i pecoroni ucraini ed europei, che corrono verso l’abisso dietro ai loro leader pavidi e incapaci, saranno le principali vittime della situazione.  Si può sperare che gli uni e gli altri prendano coscienza rendendo possibile una soluzione pacifica?

Una recentissima indagine della BBC ha fatto emergere nuove prove della condotta da criminali di guerra dei componenti delle forze speciali britanniche (SAS) durante gli anni dell’occupazione dell’Afghanistan. I documenti esaminati si riferiscono a un solo squadrone e a un periodo di appena sei mesi, ma certificano un comportamento e un numero di casi “sospetti” tali da far pensare a un bilancio complessivo a dir poco scioccante in termini di omicidi di presunti “insorti”, di torture e di molti altri abusi commessi dai militari di Sua Maestà.

La BBC ha avuto la possibilità di mettere le mani su nuove carte nell’ambito di un procedimento legale in corso e scaturito da un’indagine del 2019 della stessa rete pubblica e del Sunday Times su un singolo “raid notturno” delle SAS in Afghanistan. Questa circostanza ha fatto emergere le prove di un sistema di assassinii deliberati di uomini afgani dopo l’esecuzione di arresti nelle abitazioni di questi ultimi, quando cioè non vi erano rischi o minacce contro i soldati britannici.


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