Ogni storia di guerra, ogni sopravvivenza, ha bisogno di eroi. In particolare quando questi sono al servizio degli umili e non dei potenti. Perché di eroi vi sono due tipologie: i primi lo sono loro malgrado, per impossibilità a sottrarsi all’incombenza del dovere. I secondi lo sono per obbedienza ai vertici, per ingaggio o per furore, sul loro cuore batte la bandiera della convenienza.

L'insediamento di Luiz Inacio "Lula" da Silva alla presidenza del Brasile è una grande notizia per l'America Latina e i Caraibi. Si presume che il gigante sudamericano recupererà il rilievo internazionale che aveva in passato e contribuirà a ravvivare o a dare energia ai vari processi di integrazione in corso nella regione, il che è più importante che mai nel bicentenario della sfortunata Dottrina Monroe.

L'agenda spazia dalla rivitalizzazione del Mercosur alla Celac (Comunità degli Stati dell'America Latina e dei Caraibi) e all'Unasur, per citare solo i più significativi. Un segno del riorientamento della politica estera brasiliana è l'impegno del nuovo presidente non solo a partecipare al prossimo vertice Celac - che si terrà a Buenos Aires il 24 gennaio - ma anche a reinserire il Brasile in tale organizzazione, da cui era uscito in seguito a una decisione del governo di Jair Bolsonaro.

A pochi giorni dal ritorno ufficiale alla guida del governo di Israele, il primo ministro Benjamin Netanyahu ha già lasciato intendere che sulla questione della guerra in Ucraina potrebbe adottare un approccio molto diverso da quello dei suoi due predecessori. Una posizione più favorevole alla Russia sarebbe nell’ordine delle cose alla luce dei tradizionali ottimi rapporti tra il leader del Likud e il presidente russo Putin. Il possibile aggiustamento della strategia russo-ucraina dipende però anche dalle implicazioni che hanno per lo stato ebraico le relazioni con Mosca, intrecciandosi alle questioni relative a Iran, Siria e Palestina, ma anche allo stato dell’alleanza con Washington.

Il bombardamento ucraino pochi minuti dopo la mezzanotte del primo giorno dell’anno contro una caserma che ospitava militari russi nella Repubblica Popolare di Donetsk è stato un chiarissimo messaggio dell’intenzione americana di provocare un’escalation del conflitto nel corso del 2023. Il raid ha causato, secondo la versione di Mosca, più di 60 vittime tra i soldati mobilitati dall’ordine di Putin dello scorso settembre ed è stato portato a termine dai missili HIMARS forniti e, forse, manovrati dagli Stati Uniti. Il bilancio è per la Russia il più grave sofferto in un singolo attacco dall’inizio delle operazioni in Ucraina, ma, nonostante l’aperto entusiasmo con cui è stato accolto a Kiev e in Occidente, sembra avere più un valore simbolico che un reale impatto sull’andamento della guerra.

Il ristabilimento dei rapporti diplomatici tra Siria e Turchia potrebbe segnare una tappa decisiva nella soluzione del conflitto che sta lacerando il paese mediorientale. Per questo motivo, il primo incontro ad altissimo livello dal 2011 tra esponenti del governo turco e di quello del presidente Bashar al-Assad qualche giorno fa a Mosca rappresenta un punto di svolta non solo per Damasco e Ankara, ma anche per la Russia e gli Stati Uniti, sia pure per ragioni diametralmente opposte.


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