Il bombardamento ucraino pochi minuti dopo la mezzanotte del primo giorno dell’anno contro una caserma che ospitava militari russi nella Repubblica Popolare di Donetsk è stato un chiarissimo messaggio dell’intenzione americana di provocare un’escalation del conflitto nel corso del 2023. Il raid ha causato, secondo la versione di Mosca, più di 60 vittime tra i soldati mobilitati dall’ordine di Putin dello scorso settembre ed è stato portato a termine dai missili HIMARS forniti e, forse, manovrati dagli Stati Uniti. Il bilancio è per la Russia il più grave sofferto in un singolo attacco dall’inizio delle operazioni in Ucraina, ma, nonostante l’aperto entusiasmo con cui è stato accolto a Kiev e in Occidente, sembra avere più un valore simbolico che un reale impatto sull’andamento della guerra.

 

Ci sono pochi dubbi sul fatto che l’operazione ucraina sia stata efficace anche per via di errori commessi dagli ufficiali russi, a cominciare dalla decisione di raggruppare centinaia di uomini in un singolo edificio con annesso un deposito di munizioni ed entro il raggio d’azione dei missili HIMARS. In Russia, infatti, non sono mancate polemiche e accuse contro i vertici russi, già oggetto di feroci critiche per gli svariati attacchi condotti dalle forze ucraine in territorio russo nelle scorse settimane.

Tornando invece alla reazione di governi e media occidentali all’operazione di Capodanno, le celebrazioni più o meno esplicite che sono seguite danno la misura degli equilibri del conflitto in corso. L’ampia copertura data all’operazioni ucraina contraddice la versione propagandata dalla stampa ufficiale e, cioè, che le forze armate russe sarebbero sull’orlo del tracollo. In altri termini, se le perdite di Mosca sarebbero realmente delle dimensioni che vengono raccontate da giornali e televisioni “mainstream”, non si capisce la ragione per cui un singolo bombardamento ucraino debba essere trattato come una sorta di trionfo, anche dando per buone le stime delle vittime proposte dal regime di Zelensky e dai suoi sostenitori, ovvero tra i 200 e i 600 soldati russi liquidati grazie agli HIMARS.

Che si tratti in larga misura di propaganda è testimoniato anche dal fatto che l’Ucraina perde in media almeno 200 uomini al giorno sotto i colpi dell’artiglieria russa. Un solo raid russo nella giornata di martedì avrebbe ad esempio eliminato 120 militari ucraini, oltre a due sistemi di lancio HIMARS e altri equipaggiamenti forniti dall’Occidente, nella località di Druzhkovka, situata sempre nella Repubblica Popolare di Donetsk.

L’iniziativa ucraina della notte di lunedì segue comunque il modello delle ultime e relativamente efficaci operazioni contro le forze russe, spesso dentro i confini della Federazione. Il primo dato da considerare è il ruolo decisivo svolto dalla NATO, sia in termini di intelligence sia per la probabile partecipazione diretta di militari occidentali alle operazioni di lancio. Questo aspetto conferma in pieno come quella in atto sia una guerra non tanto tra Russia e Ucraina, quanto tra Russia e l’intera NATO, con tutte le implicazioni che ne conseguono.

Un altro elemento cruciale è la natura provocatoria delle azioni del regime di Kiev e dei suoi sponsor, anche se la ragione di questo comportamento non è così scontata come potrebbe sembrare. Un’analisi dei fatti di inizio anno pubblicata dal blog The Saker osserva in maniera apparentemente ovvia come le provocazioni NATO non servano “soltanto a stimolare una qualche reazione russa”, con l’obiettivo di scatenare l’indignazione dell’opinione pubblica occidentale o di legittimare nuove forniture di armi da destinare a Kiev. Mosca, d’altronde, conduce già da settimane una campagna di massicci bombardamenti quotidiani che hanno messo fuori uso buona parte delle infrastrutture ucraine.

Quello che la NATO e Zelensky intendono provocare è piuttosto “l’unica cosa che i russi non hanno ancora fatto”, cioè, secondo The Saker e altri commentatori indipendenti, “l’operazione su larga scala che i vertici militari russi stanno evidentemente preparando”. La questione fondamentale riguarderebbe i tempi dell’operazione decisa al momento della mobilitazione di circa 300 mila soldati russi lo scorso settembre. Gli USA e la NATO sanno che l’offensiva russa è ormai inevitabile e, “non avendo modo di ritardarla” o impedirla, hanno come “unica possibile opzione quella di anticiparla il prima possibile”.

L’apparente paradosso è spiegato dalla logica militare di una strategia che punta a coinvolgere ancora di più la Russia nel conflitto prima che i piani dell’operazione siano completati e la mobilitazione di uomini e mezzi ultimata. La NATO starebbe in definitiva cercando di forzare la mano al Cremlino per ordinare un attacco “affrettato” sull’onda delle pressioni derivanti dalle operazioni ucraine come quella di lunedì, in modo da costringerlo a ritrovarsi impantanato in una situazione tutt’altro che ottimale.

Che lo scopo di USA e NATO venga soddisfatto è però improbabile. La Russia non sembra avere particolare urgenza di passare alla prossima fase dell’offensiva e la realtà di un esercito ucraino lanciato verso la vittoria è tale solo nell’immaginario creato dalla propaganda occidentale. Mosca dispone di un robusto sistema industriale-militare che è in grado di sostenere uno sforzo bellico imponente come quello in corso. Il fronte si è infatti stabilizzato dopo le “controffensive” ucraine a Kharkov e Kherson e le forze russe continuano a martellare obiettivi militari e infrastrutture civili, causando all’Ucraina perdite difficili da sostenere malgrado il sostegno occidentale.

In sostanza, per quanto amplificate risultino operazioni come quella dei primi minuti dell’anno, esse non alterano di molto gli equilibri strategici della guerra, né migliorano le prospettive del regime di Zelensky. Da questo punto di vista, i bombardamenti ucraini in territorio russo appaiono più come un gesto disperato privo di effetti concreti, utile tutt’al più ad alimentare la macchina della disinformazione o a illudere l’opinione pubblica che altri sforzi e stanziamenti di armi e denaro determineranno, alla fine, la sconfitta militare di Mosca.

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