Tra i punti più importanti del discorso di martedì di Putin al parlamento russo c’è stato l’annuncio della sospensione da parte di Mosca del Nuovo Trattato per la Riduzione delle Armi Strategiche (nucleari), o “New START”, sottoscritto nel 2010 con gli Stati Uniti. La proposta del presidente russo è già stata approvata dai due rami dell’Assemblea Federale ed è l’inevitabile conseguenza del conflitto in Ucraina, nonché, in un quadro più ampio, del costante smantellamento, per opera di Washington, dei dispositivi bilaterali sulla riduzione delle armi nucleari concordati prima e dopo la dissoluzione dell’Unione Sovietica.

Il “New START” (“START-3”) è di fatto l’ultimo di questi trattati russo-americani rimasto in vita. La decisione del Cremlino si limita per il momento a sospendere l’accordo, lasciandolo formalmente in essere. Le relazioni tra le due potenze nucleari sono però talmente degradate da far pensare a un imminente affondamento in via definitiva. Il “New START” era stato prorogato per altri cinque anni a inizio 2021 su iniziativa di Joe Biden e dopo che Trump aveva più volte minacciato il ritiro da parte degli Stati Uniti.

La visita in Ucraina del presidente americano Biden è alla fine andata in scena per una manciata di ore nella mattinata di lunedì nonostante le ripetute smentite della vigilia da parte della Casa Bianca. L’utilità pratica dell’incontro con Zelensky resta quanto meno dubbia, mentre è certo che l’evento attentamente studiato rappresenta un’altra operazione di pubbliche relazioni per salvare ciò che rimane dell’unità dei membri NATO e, soprattutto, del consenso di un’inquieta opinione pubblica europea e americana attorno alla causa persa dell’Ucraina.

Ufficialmente, Biden era diretto in Polonia per la prima tappa del suo tour europeo, ma la situazione di gravissima crisi che il regime di Kiev sta vivendo sembra avere resa necessaria una “sorpresa”, utile in teoria anche a provare a rilanciare l’interesse nel conflitto. Secondo la versione ufficiale del governo USA, le misure di sicurezza prese per garantire l’arrivo di Biden in Ucraina sarebbero state eccezionali. L’unica misura utile in questo senso è stata in realtà la notizia preventiva del viaggio recapitata a Mosca per evitare incidenti, come ha scritto tra gli altri la Associated Press.

Il leader laburista britannico, Keir Starmer, ha cacciato di fatto dal partito il suo predecessore e, virtualmente il politico più popolare della sinistra d’oltremanica, Jeremy Corbyn. La decisione rappresenta la logica conseguenza di una penosa involuzione del “Labour” dopo che la leadership dello stesso Corbyn aveva fatto intravedere, sia pure per un periodo molto breve, una possibile svolta progressista dello storico partito britannico.

Se le spinte verso il multipolarismo sono l’elemento che caratterizza più di ogni altro l’attuale periodo storico, l’incontro di questa settimana tra i presidenti di Cina e Iran – Xi Jinping e Ebrahim Raisi – non può che essere un evento di assoluto rilievo. I due paesi sono infatti protagonisti dei processi di integrazione economica e infrastrutturale che interessano lo spazio euro-asiatico. La “partnership strategica” che i due leader si sono impegnati a consolidare durante i colloqui è imprescindibile dalla collaborazione per la stabilizzazione dell’area che va dal Medio Oriente all’Asia orientale nel quadro di organismi multilaterali come BRICS o SCO e, soprattutto, in opposizione alla minaccia destabilizzante rappresentata dagli Stati Uniti, dalla NATO e dall’Occidente in generale.

In un insolito intervento pubblico, qualche giorno fa il presidente israeliano, Isaac Herzog, ha avvertito i suoi connazionali che lo Stato ebraico sarebbe “sull’orlo del collasso sociale e costituzionale”. L’allarme si riferisce al durissimo scontro in atto sulla “riforma” della giustizia che il nuovo governo di destra ed estrema destra intende approvare in tempi brevi. Le misure in discussione nel parlamento di Israele (“Knesset”), accolte con manifestazioni oceaniche di protesta nelle ultime settimane, minacciano seriamente il principio di indipendenza della magistratura e rientrano nel disegno ultra-reazionario del gabinetto del premier Netanyahu.


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