Quella che si prospetta come la settimana più complicata dell’ancora breve mandato alla guida del governo britannico di Liz Truss è iniziata lunedì con il primo intervento alla Camera dei Comuni del nuovo Cancelliere dello Schacchiere – o ministro delle Finanze – Jeremy Hunt, che ha segnato la fine precoce dei piani di politica economica che solo ai primi di settembre avevano contribuito all’elezione dell’attuale primo ministro a nuovo leader del Partito Conservatore. Il flop della Truss era ampiamente annunciato, ma la rapidità con cui il nodo sembra stringersi attorno al collo dell’ex ministro degli Esteri di Londra era prevista da pochi. La gravità della crisi che sta attraversando la Gran Bretagna, in primo luogo a causa della guerra in Ucraina e delle (auto-)sanzioni dirette in teoria contro la Russia, minaccia ora un nuovo avvicendamento ai vertici del governo se non una clamorosa elezione anticipata.

L’Europa sta arrivando in condizioni davvero deplorevoli alla sfida più importante, che non riguarda solo la sua sopravvivenza in quanto istituzione, ma quella fisica dei suoi cittadini, direttamente minacciati dalla decisione da tempo adottata da Stati Uniti e NATO di combattere sul suo territorio, fino all’ultimo ucraino e fino all’ultimo europeo, la battaglia per l’egemonia mondiale, scegliendo l’Eurasia come terreno di confronto.
La complessità della situazione è evidente se solo si guarda al ruolo dello Stato-guida dell’Unione Europea, la Germania, al cui interno si intrecciano sacrosante pulsioni pacifiste, ben esemplificate dal voto del Bundestag sull’Ucraina, e altrettanto comprensibili spinte all’autonomia nazionale, rappresentate dal mega-piano di sostegno di 200 miliardi di euro e dal rifiuto di attribuire all’Unione un ruolo sostanziale in questo campo.

L’Unione Europea ha raggiunto un fragile accordo questa settimana per spingere ulteriormente verso l’alto i costi energetici e i livelli di inflazione grazie all’ottavo pacchetto di (auto-)sanzioni destinate teoricamente a punire la Russia per la guerra in Ucraina. L’intesa tra i paesi membri non sembra ancora del tutto assicurata, viste le prevedibili resistenze di quei governi che conservano una qualche volontà di difendere i propri interessi nazionali. Nel nuovo pacchetto è comunque previsto lo stop alle importazioni di svariati prodotti provenienti dalla Russia, ma l’oggetto più controverso e dalle maggiori implicazioni politiche ed economiche è il famigerato tetto (“cap”) al prezzo del petrolio esportato da Mosca.

Al miliardario americano Elon Musk è bastato pubblicare un sondaggio improvvisato sul suo account Twitter, con argomento la pace in Ucraina, per tirarsi addosso la collera degli scatenati sostenitori del regime di Zelensky ed essere marchiato come una sorta di burattino di Putin. Gli eventi virtuali che lunedì hanno più o meno sconvolto il popolare sito di “microblogging” non hanno di certo un peso specifico avvicinabile a quanto accaduto tra il Donbass e Mosca nei giorni scorsi, ma sono utilissimi per lo meno a comprendere sia l’attitudine mentale della maggior parte di coloro che auspicano una vittoria di Kiev nella guerra con la Russia sia soprattutto alcune delle ragioni per cui la pace resta a tutt’oggi un lontano miraggio.

Ormai non sembrano più esservi dubbi sugli autori del sabotaggio ai due gasdotti North Stream, così come non vi sono mai stati sugli obiettivi che perseguivano: colpire la Germania e la Russia. Chi aveva interesse a interrompere il flusso di gas verso la Germania e il resto dell’Europa? Gli Stati Uniti, la cui pressione sulla Germania non è nuova. Già con Obama venne alla luce il programma di spionaggio USA verso la Cancelliera Merkel e l’intero governo tedesco, fino ai capi del BND, destinato a ricattare l’intera classe politica tedesca se avesse dato il via, come previsto, al North Stream 2.


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