Sospetti molto pesanti sulle possibili collusioni tra la CIA e alcuni responsabili degli attentati terroristici dell’11 settembre 2001 sono emersi da tempo tra le pieghe delle indagini ufficiali. Alcuni documenti processuali diventati recentemente di dominio pubblico fanno però luce su un aspetto dalle implicazioni esplosive, ovvero che due dei dirottatori erano stati forse reclutati dalla stessa agenzia di Langley nel quadro di un’operazione ultra-segreta condotta assieme ai servizi segreti sauditi. Il collegamento era arrivato all’attenzione degli investigatori dell’FBI dopo i fatti del 2001, ma l’indagine era stata insabbiata dall’intervento di alti funzionari della CIA e dello stesso “Bureau”.

 

I nuovi elementi sono contenuti nel verbale di deposizione da Don Canestraro, investigatore dell’Ufficio delle Commissioni Militari, cioè l’organo legale che presiede ai casi degli accusati dei fatti dell’11 settembre. Nella dichiarazione di una ventina di pagine vengono riassunti gli interrogatori condotti da Canestraro con anonimi agenti dell’FBI e della CIA nel quadro dell’indagine, nonché citati documenti governativi segreti relativi all’operazione “Encore” dell’FBI, avviata per scoprire l’eventuale coinvolgimento dell’Arabia Saudita negli attentati e interrotta nel 2016.

Le ultime rivelazioni sono state largamente ignorate dalla stampa ufficiale, ma hanno trovato spazio sulle pubblicazioni indipendenti. A dare un resoconto esaustivo dei nuovi scottanti elementi è stato ad esempio il sito The Grayzone Project, che riassume brevemente la storia dell’unità della CIA denominata “Alec Station” coinvolta nella presunta operazione di reclutamento dei cittadini sauditi Nawaf al-Hazmi e Khalid al-Mihdhar. Questa sezione dell’agenzia era stata creata nel 1996 con il preciso incarico di tracciare i movimenti di Osama bin Laden e dei suoi uomini più fidati all’interno di al-Qaeda. Il tutto in stretta collaborazione con l’FBI, anche se gli agenti della polizia federale USA si erano ritrovati da subito a fare i conti con pesanti restrizioni, soprattutto per quanto riguarda il passaggio di informazioni ai loro superiori.

Un’allerta per un possibile attentato terroristico su vasta scala in territorio americano era scattata sul finire del 1999, quando la CIA e la NSA (Agenzia per la Sicurezza Nazionale) stavano monitorando una cella di al-Qaeda che includeva Hazmi e Mihdhar, un paio di anni più tardi ai comandi del volo American Airlines 77 che si sarebbe schiantato sul Pentagono. Entrambi avevano preso parte a una riunione di al-Qaeda a inizio gennaio 2000 a Kuala Lumpur, in Malesia. Il summit era stato registrato segretamente dalle autorità locali su richiesta dell’unità della CIA Alec Station.

Agenti americani avevano in seguito fotografato i passaporti dei due sauditi in una camera d’albergo di Dubai, dove stavano pernottando durante uno scalo del volo per gli Stati Uniti. Hazmi e Mihdhar disponevano di visti d’ingresso per l’America. Questa informazione non fu tuttavia passata all’FBI, al di fuori della Alec Station, ma ai membri di questa sezione venne fatto divieto di dare la notizia ai loro superiori. La motivazione ufficiale, racconta un agente dell’FBI coinvolto nelle operazioni, era che il caso esulava dalla giurisdizione del “Bureau”. Gli uomini della CIA avevano minacciato ripercussioni sulla carriera degli agenti dell’FBI se avessero contravvenuto alla direttiva.

Hazmi e Mihdhar poterono così entrare indisturbati negli Stati Uniti, atterrando il 15 gennaio 2000 all’aeroporto internazionale di Los Angeles. In un ristorante dell’aeroporto i due vennero accolti dal “funzionario fantasma” del governo saudita, Omar al-Bayoumi, il quale si offrì subito di trovare un appartamento a San Diego ai due connazionali, nonché di aprire per loro un conto in banca e di donare 1.500 dollari come anticipo sull’affitto. I tre sarebbero rimasti in contatto anche in seguito. Interrogato nell’ambito dell’indagine sull’11 settembre, Bayoumi avrebbe sostenuto che l’incontro con i due futuri dirottatori era stato casuale e che il suo gesto era dettato solo da un senso di solidarietà nei confronti di connazionali quasi del tutto incapaci di parlare inglese e poco pratici della cultura occidentale.

Secondo l’FBI, questa versione non risultava credibile. Bayoumi era verosimilmente una spia saudita che si era occupato di vari uomini di al-Qaeda in territorio USA. C’era quindi un 50% di probabilità che Bayoumi e, quindi, il governo di Riyadh, fossero a conoscenza in anticipo degli attacchi terroristici dell’11 settembre.

I contatti del funzionario/agente segreto saudita con i due attentatori erano già diventati di pubblico dominio alcuni anni dopo gli attacchi, ma la testimonianza di Don Canestraro aggiunge un tassello critico e potenzialmente clamoroso. Quest’ultimo cita infatti un agente speciale dell’FBI (nome in codice “CS-3”) secondo il quale Bayoumi avrebbe preso contatto con Hazmi e Mihdhar su richiesta della CIA. L’obiettivo era di reclutare i due membri di al-Qaeda per mezzo di un’operazione congiunta con l’intelligence saudita, dal momento che la CIA non è autorizzata a operare entro i confini statunitensi.

Il lungo articolo di Grayzone fa notare come Alec Station dovesse appunto lavorare su bin Laden e la sua organizzazione ed era quindi normale che gli agenti che ne facevano parte cercassero di reclutare informatori dentro al-Qaeda. Questa speciale sezione della CIA era però composta da analisti non addestrati a gestire “risorse umane”, oltretutto negli Stati Uniti. I fatti erano perciò estremamente insoliti o, quanto meno, gli agenti interrogati da Don Canestraro li definiscono in questo modo. Una delle fonti del suo rapporto sosteneva chiaramente che gli addetti di Alec Station agivano in violazione delle procedure della CIA, dal momento che agli analisti non è permesso dirigere agenti sul campo.

Un altro episodio sospetto venne registrato nel giugno del 2001, ovvero tre mesi prima degli attentati. In una riunione tra analisti dell’FBI e della CIA, questi ultimi mostrarono ai primi le fotografie di tre membri di al-Qaeda che avevano partecipato alla già citata riunione di Kuala Lumpur, tra cui Hazmi e Mihdhar. Informazioni relative all’identità dei tre uomini e alla data del vertice dell’organizzazione di bin Laden non erano state rivelate all’FBI, né vennero date risposte alle domande rivolte dagli agenti del “Bureau”. In definitiva, l’episodio sembrava essere un espediente della CIA per verificare se i colleghi della polizia federale fossero a conoscenza dell’identità dei due attentatori forse reclutati in precedenza.

In ogni caso, il quartier generale dell’FBI a Washington e l’ufficio di San Diego scoprirono che Bayoumi era un agente saudita e che esisteva un’operazione per reclutare Hazmi e Mihdhar. Alti funzionari dello stesso “Bureau” si mossero però subito per fermare qualsiasi indagine sulla questione. Una fonte di Don Canestrato rivelava inoltre come agli agenti dell’FBI chiamati a deporre per l’indagine sull’11 settembre fosse stata data indicazione di non rivelare il coinvolgimento dell’Arabia Saudita con gli uomini di al-Qaeda. In ballo non c’era solo la protezione di un alleato, ma la stessa complicità dell’FBI con gli agenti della CIA appartenenti all’unità Alec Station nell’operazione per reclutare due degli attentatori.

Tornando all’estate del 2001, agenti dell’FBI insistettero nel chiedere ai propri superiori maggiori informazioni sui tre uomini di al-Qaeda che avevano partecipato al vertice di Kuala Lumpur e di cui la CIA aveva mostrato le immagini senza fornire ulteriori notizie. A fine agosto, infine, emerse traccia di una “comunicazione elettronica” riferibile a Hazmi e Mihdhar, assieme alla conferma della loro presenza sul suolo americano. L’FBI contattò subito gli analisti della CIA di Alec Station, ma agli agenti venne intimato di eliminare il materiale in quanto non autorizzati ad analizzarlo.

Evidentemente sotto pressione, il giorno successivo la CIA, nella persona dell’agente Dina Corsi, impose di nuovo all’FBI di desistere e di non interessarsi più di Hazmi e Mihdhar, ma ammise la presenza dei due in America e informò i colleghi del “Bureau” che nei confronti dei due uomini di al-Qaeda era in corso un’indagine volta a raccogliere informazioni di intelligence. Se, al contrario, fosse stata avviata un’indagine “penale”, fa notare Grayzone, gli attentatori, che in quel momento stavano ultimando i preparativi per gli attacchi dell’11 settembre, avrebbero forse potuto essere fermati. La CIA, con la collaborazione dei vertici dell’FBI, optò invece per un’operazione di intelligence, impedendo di fatto una soluzione di questo genere.

Nei giorni successivi agli attentati, agenti newyorchesi dell’FBI tennero una riunione con il quartier generale del “Bureau” e, durante i lavori, venne alla luce la vicenda di Hazmi e Mihdhar, tra cui i loro contatti a San Diego. Maggiori informazioni vennero allora richiesta all’agente della CIA Dina Corsi, che fornì immagini dei due dirottatori in compagnia di Walid bin Attash, sospettato di avere partecipato agli attentati terroristici del 1998 contro le ambasciate USA in Kenya e Tanzania e contro la nave da guerra USS Cole nell’ottobre del 2000 in un porto dello Yemen. L’agente Corsi non fu in grado di spiegare il motivo per cui le fotografie non fossero state fornite subito all’FBI, in modo che il collegamento con bin Attash avrebbe potuto essere stabilito tempestivamente, così da consentire l’individuazione e l’arresto di Hazmi e Mihdhar.

Gli interrogativi che emergono dalle ultime rivelazioni riguardano la ragione dell’impegno della CIA nella protezione dei due uomini di al-Qaeda che presero parte agli attentati a New York e al Pentagono e, in secondo luogo, se alla data dell’11 settembre 2001 i due stavano lavorando per l’agenzia di Langley. Molti aspetti della vicenda restano comunque oscuri, ma è evidente che la CIA ha cercato in tutti i modi impedire agli agenti dell’FBI assegnati all’unità Alec Station di conoscere o interferire nell’operazione che coinvolgeva i tre cittadini sauditi. Grayzone afferma che, “se il reclutamento di Hazmi e Mihdhar aveva come obiettivo solo la raccolta di informazioni, e non era di carattere operativo, non si comprende il motivo per cui l’FBI sia stato tenuto all’oscuro” o addirittura depistato.

I funzionari di vertice della CIA che presiedevano alle operazioni dell’unità Alec Station, in ogni caso, non solo non hanno mai subito provvedimenti puntivi per gli “errori” commessi nel tracciamento dei membri di al-Qaeda, ma sono anzi stati premiati con promozioni. Richard Blee, il numero uno dell’unità al momento degli attentati, e il suo successore, Alfreda Frances Bikowsky, sarebbero stati promossi alla divisione operativa dell’agenzia, ricoprendo ruoli di spicco nella “guerra al terrore”. L’agente Dina Corsi sarebbe passata invece all’FBI, dove ha addirittura raggiunto il grado di vice assistente del direttore del “Bureau” nella divisione “intelligence”.

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