Sono stati necessari dieci anni ad alcuni dei principali giornali “ufficiali” europei e americani per prendere una posizione pubblica netta a favore di Julian Assange nel procedimento di estradizione verso gli Stati Uniti a carico del fondatore di WikiLeaks. Con un ritardo ingiustificabile, il New York Times, il britannico Guardian, il francese Le Monde, il tedesco Der Spiegel e lo spagnolo El País hanno indirizzato lunedì una lettera aperta all’amministrazione Biden per invitare il presidente democratico a lasciar cadere tutte le accuse contro il giornalista australiano, riconoscendo finalmente le implicazioni democratiche e per la libertà di informazione del caso all’attenzione della giustizia del Regno Unito.

I malumori europei per l’andamento del conflitto in Ucraina e le sue conseguenze economiche stanno venendo a galla in modo sempre più esplicito, mettendo in mostra tensioni e divisioni che attraversano un fronte NATO in rapido sfaldamento. Il tentativo americano di accorciare il guinzaglio degli alleati europei per mezzo della guerra e della demonizzazione della Russia sembrava poter dare all’inizio i frutti sperati da Washington, ma il protrarsi delle operazioni militari, la resistenza di Mosca e il tracollo imminente del regime di Zelensky hanno fatto esplodere le contraddizioni di un piano destabilizzante da cui l’Europa non ha semplicemente nulla da guadagnare.

Anche sulla stampa ufficiale circolano commenti e citazioni di fonti governative europee che ruotano attorno alla questione dei vantaggi derivanti dalla crisi russo-ucraina. Per l’Europa sembrano cioè essercene pochi o nessuno al netto della propaganda sull’impegno per la difesa della democrazia in Ucraina contro l’aggressione russa. Al contrario, se vantaggi ci sono in relazione alla guerra in corso, è chiaro a chiunque che a raccoglierli è soltanto Washington, quanto meno sul piano strategico o dei profitti dell’industria militare.

Con 494 voti favorevoli, 58 contrari e 44 astensioni, il Parlamento Europeo ha approvato una risoluzione con la quale indica la Russia come “Stato sponsor del terrorismo per le atrocità commesse dal regime di Vladimir Putin contro il popolo ucraino". Lo ha fatto nelle stesse ore in cui Ankara bombardava i curdi, Tel Aviv i palestinesi e Ryad gli yemeniti, ovvero quelli colpiti dalle “bombe democratiche”. La risoluzione, che celebra Zelensky, veniva votata mentre a Mosca, in compagnia del presidente cubano Diaz Canel, Putin omaggiava la nuova statua di Fidel Castro, gigantesco statista del XX secolo. Ognuno ha i suoi riferimenti.

La risoluzione è solo un segnale politico, non comporta nessuna conseguenza, non é vincolante per la UE in quanto istituzione come per nessuno dei singoli paesi membri. Formalmente, infatti, "l'Ue non può attualmente dichiarare gli Stati come sponsor del terrorismo in modo ufficiale", spiega in una nota lo stesso Parlamento europeo.

La nuova operazione militare inaugurata dalla Turchia contro le milizie curde in Siria e in Iraq ha messo nuovamente in luce il precario stato delle relazioni all’interno della NATO e, in particolare, tra il governo di Ankara e gli Stati Uniti. Da Washington è arrivata comunque una mezza approvazione dei bombardamenti ordinati da Erdogan, mentre la Russia ha invitato quest’ultimo alla moderazione, sia pure concedendo alla Turchia l’uso dello spazio aereo nel nord della Siria, che Mosca controlla di fatto. Dietro all’atteggiamento cauto dell’amministrazione Biden si nascondono appunto tensioni che durano ormai da anni e sono strettamente collegate alla crisi interna al Patto Atlantico, sempre più visibile anche negli sviluppi della crisi ucraina.

Durante la campagna per le presidenziali del 2020, l’allora candidato Joe Biden aveva promesso agli americani di fare dell’Arabia Saudita e del suo leader di fatto, il principe ereditario Mohammed bin Salman (MBS), dei veri e propri “paria” sulla scena internazionale. La minaccia, virtualmente senza precedenti contro un esponente di massimo livello della casa regnante a Riyadh, derivava dall’assassinio del giornalista-dissidente, Jamal Khashoggi, fatto a pezzi nel consolato saudita di Istanbul nell’ottobre 2018. A quattro anni di distanza, l’amministrazione Biden ha ora assicurato l’immunità formale a MBS, il quale non avrà quindi nulla da temere per la causa legale in corso nei suoi confronti in un tribunale degli Stati Uniti.


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