Sulla stampa americana circola con insistenza negli ultimi giorni la notizia di un possibile imminente “mini-accordo” tra Iran e Stati Uniti per riportare un minimo di stabilità nei rapporti tra i due paesi nemici ed evitare l’esplosione di un nuovo conflitto in Medio Oriente. Questi sviluppi sarebbero il risultato di colloqui segreti diretti iniziati a partire dallo scorso mese di maggio a Muscat, la capitale del sultanato dell’Oman. I contenuti della possibile intesa non sono del tutto chiari, ma, se i negoziati dovessero andare a buon fine, è probabile che possa avere luogo uno scambio di detenuti. In seguito Teheran potrebbe impegnarsi a non superare una certa soglia nel processo di arricchimento dell’uranio in cambio della sospensione di almeno una parte delle sanzioni economiche imposte da Washington.

La gigantesca macchina della propaganda creata da governi e media occidentali in concomitanza con l’esplosione del conflitto in Ucraina sta accelerando sensibilmente il processo di (auto)censura in atto da tempo sulla stampa “mainstream”. L’invasione russa ha trasformato giornali, siti e canali radio-televisivi in veri e propri organi di diffusione della versione ufficiale, imposta dal regime di Kiev e dai suoi sostenitori, dei fatti relativi alla guerra. Ogni minimo scostamento da questa linea è perciò oggetto di una feroce azione repressiva che riconduce qualsiasi frammento di verità a una presunta campagna di disinformazione orchestrata dal Cremlino. Questo è in sostanza il contesto della vicenda che riguarda il giornalista di Radio New Zealand (RNZ), Michael Hall, la cui unica colpa è stata di offrire al pubblico del suo paese un’informazione più equilibrata e oggettiva degli eventi ucraini.

Nel 2011, di nuovo in concomitanza con un nuovo strategic concept della NATO, che apre alla guerra ibrida e agli interventi globali - e di nuovo abusando del significato del tema dei diritti umani, alcuni Stati utilizzano il principio della R2P per portare avanti azioni di aggressione unilaterale, e non solo militari in senso stretto, le cui conseguenze ancora destabilizzano il nostro presente. Lo hanno fatto sempre in nome della Human Security, masticata e assorbita però, da un’alleanza militare di difesa collettiva che serve gli interessi di una parte e non del tutto. Anche a causa di questo, la locuzione HS non rappresentava quell’idea di sicurezza cooperativa, del raggiungimento di una pace rispettosa e duratura ottenuta attraverso lo sviluppo, ma l’ennesimo tentativo di riprodurre pratiche di dominio di pochi che pretendono di mascherarle da norme universali.

Il dato più importante emerso dall’appena conclusosi Foro di San Pietroburgo, è che l’annunciata crisi economica e finanziaria russa, pronosticata dall’Occidente tramite i suoi organismi finanziari e le sue agenzie di rating, si è rivelata una speranza e non una previsione economicamente fondata. Lo stesso nei confronti della Cina, per la quale si prevedeva una forte contrazione dell’economia mentre Pechino vanta un PIL con il segno positivo del 4,5%. Si rinnova la confusione concettuale dell’Occidente Collettivo, che scambia l’isolamento da sé con l’isolamento tout-court.

Il concetto di Human Security ha permeato di se gran parte del dibattito internazionale su pace e sicurezza globale nel periodo immediatamente successivo alla Guerra Fredda, grazie anche al ruolo svolto dalle Nazioni Unite e dall’elaborazione generata dal dibattito sul diritto allo sviluppo, in cui i Paesi in Via di Sviluppo (PVS) hanno svolto un ruolo centrale, veri e propri incubatori dell’ idea innovativa del legame concausale tra pace e sviluppo.

A partire dalla Conferenza di Bandung, i PVS hanno imposto una virata culturale rivoluzionaria al concetto di sviluppo, che attraverso la loro elaborazione si emancipa dalla sua dimensione meramente economica, legata al prodotto interno lordo di un Paese o di reddito pro-capite degli individui tipica della dottrina degli “aiuti allo sviluppo” egemone fino agli anni 70 - ed inizia ad esprimere pienamente il suo senso di contenitore e connettore di più diritti.


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