Il governo israeliano di estrema destra del primo ministro Netanyahu ha ordinato l’inizio del ritiro delle forze armate impegnate dalla prime ore di lunedì in un’operazione di vasta portata nella città e nel campo profughi di Jenin, in Cisgiordania. Il bilancio provvisorio nell’offensiva ampiamente annunciata è di una dozzina di palestinesi uccisi, di cui almeno tre bambini. La decisione presa nei giorni scorsi dai vertici di Israele si inserisce in un momento di profonda crisi sia sul fronte interno sia su quello regionale. Davanti alla crescente efficacia della resistenza palestinese, Tel Aviv sta cercando di ristabilire in qualche modo il proprio deterrente militare per perseguire liberamente le politiche di ampliamento degli insediamenti illegali. I rischi appaiono però moltiplicati rispetto al passato e il successo delle operazioni tutt’altro che assicurato. Anzi, il prolungarsi dell’aggressione avrebbe aumentato il pericolo di un allargamento del conflitto con conseguenze imprevedibili e potenzialmente catastrofiche per lo stato ebraico.

Una raffica di sentenze ultra-reazionarie emesse negli ultimi giorni ha riportato l’attenzione della stampa americana sulla funzione e lo status della Corte Suprema federale degli Stati Uniti. L’interpretazione oggettiva e imparziale della Costituzione da parte dei membri di questo tribunale ha infatti lasciato il passo a decisioni di parte con l’obiettivo di implementare un’agenda anti-democratica ben precisa. Alcuni dei giudici conservatori sono stati inoltre coinvolti recentemente in scandali pubblici per avere accettato regali e favori di vario genere da finanziatori miliardari del Partito Repubblicano. Al di là dell’affiliazione più o meno esplicita dei giudici, l’impopolarità del supremo tribunale è legata al ruolo stesso di quest’ultimo, diventato ormai un vero e proprio strumento della classe dirigente americana per smantellare quello che resta della legislazione progressista del secondo dopoguerra e degli anni Sessanta, nonché dei principi democratici fondamentali fissati nella carta costituzionale USA.

Lo scorso 26 Giugno si sono compiuti 37 anni dalla sentenza della Corte Internazionale di Giustizia dell’Aja, che condannò gli Stati Uniti per la guerra terroristica contro il Nicaragua e  impose di risarcire con 13 miliardi di Dollari il paese centroamericano. Washington non ha mai accettato quanto sentenziato dalla massima autorità giuridica internazionale e, 37 anni dopo, continua a non farlo. Dietro le opposizioni giuridiche, c’è una verità politica: accettare la sentenza implicherebbe il riconoscimento degli Stati Uniti come nazione tra le altre, costretta cioè al rispetto del Diritto Internazionale e delle istituzioni chiamate a tutelarlo. Inconciliabile con lo status di “eccezionalità”, che si sono assegnati in Costituzione e poi nell’agire criminale che ha contraddistinto i loro 249 anni di esistenza, fatti di 232 anni di guerre e circa 30 milioni di vittime sacrificate per l’affermazione di un modello folle, darwiniano ed escludente.

Un rapporto pubblicato questa settimana da una commissione del Senato di Washington ha sollevato ancora una volta la questione delle possibili complicità dentro l’apparato della “sicurezza nazionale” americano con il fallito colpo di stato dell’allora presidente Trump nel gennaio del 2021. Gli elementi portati alla luce dai membri della maggioranza del Partito Democratico risultano pesantemente incriminanti, ma il tono complessivo dell’indagine e della presentazione dei risultati fa pensare a un nuovo sforzo per insabbiare le responsabilità di quanto accaduto al Campidoglio ormai quasi trenta mesi fa.

Domenica 25 Giugno si sono svolte le elezioni in Guatemala, il più popoloso e povero tra i Paesi dell'area centroamericana. Una terra che a partire dal crudele colpo di stato contro il Presidente progressista Jacobo Arbenz organizzato nel 1954 dalla CIA e dalla tristemente celebre United Fruit Company,  non ha più conosciuto pace.

Le votazioni sono state precedute da vaste mobilitazioni popolari che hanno denunciato le innumerevoli frodi e irregolarità messe in atto da istituzioni corrotte e prive di ogni credibilità, legate a triplo filo alle passate feroci dittature militari e al Dipartimento di Stato USA.

Il Governo di Washington ha messo in campo tutta la propria influenza terrorizzato dalla possibilità che un altro pezzo di ciò che veniva considerato il proprio "patio trasero", il giardino di casa degli USA, sfuggisse al loro controllo.


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