Stupisce e nello stesso tempo provoca ribrezzo la caparbietà autolesionista colla quale il gruppo dirigente ucraino creato a tavolino, foraggiato e diretto da NATO e Stati Uniti, si ostina nel rifiuto di prendere atto del fallimento delle sue vaneggiate controffensive, istigando il popolo ucraino a resistere fino all’ultimo, come se il nemico fosse alle porte di Kiev.

Non si tratta invece della conquista di Kiev, prospettiva mai prevista da Putin e dallo stato maggiore russo, ma di negoziare ponendo le basi della giusta pace che eviti ai contendenti, e soprattutto al popolo ucraino, ulteriori inutili sofferenze. In questa ottica risulta decisivo l’esaurimento della carne da cannone da buttare sul piatto della bilancia del massacro, mentre aumenta il numero dei disertori ed obiettori di coscienza, soprattutto sul lato ucraino del macello. A meno che, quindi, la follia guerrafondaia della NATO non giunga al punto da inviare truppe combattenti in gran numero, oltre a quelle da tempo già presenti sul terreno travestite da mercenari, la fine della guerra appare come l’unica opzione praticabile.

Tra minacce e tensioni, è scaduto l'ultimatum che l'ECOWAS aveva offerto al Niger. L'Occidente collettivo grida contro il "golpe" ma sostiene il presidente deposto Bazoum, che vinse le elezioni con una frode. Bazoum è uomo della Francia, poiché nel suo Paese ha sempre avuto a cuore gli interessi di Parigi e non quelli dei nigerini, reprimendo l'opposizione e ospitando persino le truppe francesi espulse dal Mali.

Il contagio ad altri Paesi della regione, Senegal in primis, è il timore più grande dell'Occidente, ed è per questo che l'Ecowas (Comunità economica dell'Africa occidentale), docile strumento africano della devozione occidentale, sembra finora decisa a preparare un intervento militare contro il Niger. Non si può certo far passare per una risposta democratica al rovesciamento di un governo eletto; piuttosto, è chiaro che è l'Occidente a stabilire quali colpi di Stato sono possibili e quali no, quali sostenere e quali combattere. Infatti, in Mali, come in Guinea, Burkina Faso e Niger, l'elemento distintivo delle rivolte militari è solo uno: hanno il sostegno delle rispettive popolazioni, il che rende il "colpo di Stato" un pronunciamento militare che accoglie le richieste popolari, che spazza via le élite a favore degli ultimi.

Secondo informazioni provenienti dalla La Fiscalía General dell’Ecuador, sei persone sono state arrestate come sospette di partecipazione all’omicidio del candidato a la Presidenza dell’Ecuador, Fernando Villavicencio, assassinato subito dopo un suo comizio a Quito. Ritrovato anche un veicolo con armi e granate. Il killer rimasto gravemente ferito, dopo essere stato disarmato e immobilizzato, dopo la sparatoria con la scorta del candidato che aveva fatto seguito all’attentato, ed è morto durante il trasporto all’ospedale.

Villavicencio era uno degli otto candidati alla presidenza dell’Ecuador e non figurava nelle prime posizioni nei sondaggi che attribuiscono invece un notevole vantaggio alla candidata di Revolución ciudadana, Luisa González.

L’omicidio ha suscitato varie reazioni nel Paese. L’ex presidente Rafael Correa, leader storico di Revolución ciudadana, ha parlato dell’Ecuador come “Stato fallito” e la parlamentare dello stesso partito per Asia, Europa ed Oceania, Esther Cuesta, da me interpellata, ha dichiarato che l’episodio dimostra lo stato di degrado della democrazia in Ecuador, aggiungendo, su mia precisa domanda, che non si stupirebbe se dietro l’assassinio di Villavicencio vi fosse un intento destabilizzatore.

Il Sahel agita l’Occidente. In particolare la Francia che, cacciata dal Mali, perde ora anche il Niger, pedina fondamentale nella sua scacchiera africana. L’uranio del Niger che viene a mancare è oggi a maggior ragione strategico dopo la fine dell’import di idrocarburi dalla Russia, conseguenza della rottura dell’Europa con Mosca. Il Niger infatti, fornisce il 40% dell’uranio necessario alla Francia per il funzionamento delle sue centrali nucleari.

Anche la cacciata dal Mali non è stata indolore per l’Eliseo. La Francia non ha nemmeno una miniera d’oro, ma grazie al prelievo di 50 tonnellate di oro all’anno dalle 860 miniere del Mali, si trova al quarto posto del mondo per riserve del prezioso metallo, ben 2436 tonnellate. E l’aumento delle riserve aurifere è oggi strategico proprio di fronte alla crisi monetaria di Dollaro ed Euro e al venir meno del controllo totale sulla produzione di idrocarburi. Dunque uranio e oro garantiti fino a pochi mesi orsono, con l’insediamento di governi a forte identità nazionalista ed anti coloniale, diventano un ricordo e aprono un buco non indifferente nei conti francesi.

Come annunciato qualche giorno fa dallo stesso Donald Trump, martedì è arrivata la conferma ufficiale dell’incriminazione dell’ex presidente americano per i fatti legati all’assalto del Congresso di Washington il 6 gennaio 2021. Sono quattro i capi d’accusa che un “grand jury” federale ha contestato all’ex inquilino della Casa Bianca in un procedimento tardivo che lascia aperte più questioni di quante intenda risolverne. Il caso si aggiunge a una lunga serie di cause legali che stanno interessando Trump alla vigilia dell’inizio della campagna elettorale per le presidenziali del 2024, due delle quali già sfociate in altrettante incriminazioni formali.

Le imputazioni sono il risultato dell’indagine condotta dal procuratore speciale Jack Smith, nominato dal dipartimento di Giustizia dell’amministrazione Biden, basatasi a sua volta sul lavoro della commissione della Camera dei Rappresentanti che aveva cercato di fare luce sulla rivolta fomentata da Trump per fermare il processo di ratifica della vittoria elettorale di Joe Biden nelle elezioni del novembre 2020. I quattro capi d’accusa sono: cospirazione per frodare gli Stati Uniti; cospirazione per ostacolare un procedimento ufficiale; ostacolo e tentativo di ostacolare un procedimento ufficiale; cospirazione contro il diritto di voto.


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