Con l'Ucraina sconfitta, sembra prendere corpo la nuova gigantesca manipolazione politico-mediatica contro la Russia. In un comunicato stampa congiunto, Estonia, Lettonia e Lituania informano di aver concordato di dotare i loro confini con la Russia e la Bielorussia di «strutture di difesa» per contrastare eventuali minacce militari russe. I ministri della Difesa dei tre Paesi Baltici hanno firmato un accordo in base al quale «Estonia, Lettonia e Lituania nei prossimi anni costruiranno strutture difensive anti-mobilità per scoraggiare e, se necessario, difendersi da minacce militari».

I Baltici, che senza l’ordine USA non scavano nemmeno una trincea, sono difendibili o sacrificabili, sostenibili o smentibili senza che nessuna di questa scelta comporti automaticamente un impegno concreto del vertice dell’Alleanza.

 

Nell’occasione vengono supportati da Berlino, per fornire un timbro di credibilità per la tesi di una Russia aggressiva: «Sentiamo minacce quasi ogni giorno dal Cremlino contro i nostri amici degli Stati baltici e dobbiamo quindi tenere conto del fatto che Putin potrebbe un giorno attaccare perfino un Paese Nato». Parole del ministro tedesco della Difesa, Boris Pistorius, in un'intervista a Tagesspiegel riportata da DPA. «I nostri esperti prevedono un periodo di cinque-otto anni, prima che questo potrebbe essere possibile», spiega Pistorius, secondo cui un attacco russo non è invece probabile oggi. Il ministro tedesco ribadisce inoltre la necessità che le Forze Armate tedesche diventino «adatte alla guerra» e spiega di voler «svegliare» la società tedesca in merito.

Quanto espresso più che un giustificato timore sembra avere i connotati classici della costruzione di una campagna politico-mediatica: il tentativo della NATO sembra quello di occultare con una nuova campagna terroristica e russofobica l’onta della sconfitta militare ed economica patita sul terreno in Ucraina.

Le due dichiarazioni, entrambe a cura di membri della NATO, vengono diffuse con il preciso intento di provocare Mosca e di convincere l’opinione pubblica mondiale che l’avventura atlantista, miseramente persa in Ucraina, aveva la sua giustificazione sia nella difesa di uno “stato sovrano” attaccato che nella più ampia considerazione di un ipotetico “espansionismo russo” che non si limiterebbe a Kiev ma ambirebbe alla conquista dell’intera Europa.

Sebbene siano figlie della stessa regia, le due dichiarazioni evidenziano però esigenze parzialmente diverse. Estonia, Lituania e Lettonia si propongono dal 2022 come la punta di lancia dell’aggressività e dell’espansionismo della NATO nell’area euroasiatica ed in effetti vi sono ipotesi di ristrutturazione operativa dell’Alleanza Atlantica. Non a caso la riorganizzazione militare del Patto Atlantico prevede una adesione al disegno strategico di Washington che prescinde dagli interessi europei in generale e da quelli dell’Est Europa in particolare. In questo senso, fornire una vetrina politica ai Baltici conferma un ruolo di sempre maggior peso decisionale assegnato a Polonia, Repubblica Ceka e paesi Baltici, con la supervisione tedesca.

Nel merito, a ben vedere, quanto affermato nel comunicato congiunto dei Baltici sembra confermare la candidatura ad agente provocatore da parte dei Baltici, essendovi contenuta una vera e propria sfida militare alla Russia, che sebbene nutra scarse preoccupazioni circa le strutture di difesa dei staterelli, difficilmente permetterà senza reagire l’eventuale installazione di batterie missilistiche a 700 km distanza dalla sua capitale nelle mani di paesi dichiaratamente ostili. Se dunque i paesi Baltici, che hanno nella russofobia la loro identità culturale e nella nostalgia del nazismo il loro imprinting politico, decideranno di poter minacciare direttamente il territorio russo, con la scusa di difendersi da possibili aggressioni, non va certo esclusa la possibilità che la Russia replichi quanto fatto in Ucraina ed in forme ancor più dure.

E’ vero che sul piano del Diritto internazionale ogni Stato ha la libertà di scegliere il tipo di armamento del quale dotarsi, ma ipotizzare un testo senza il contesto è sempre un errore metodologico da non commettere. In buona parte dell’area un tempo appartenente al Patto di Varsavia si presenta una questione di garanzie reciproche dentro a un quadro di sicurezza collettiva regionale. La questione, quindi, degli assetti militari, andrebbe analizzata in un contesto di moderazione politica, elemento assente nei progetti NATO di indebolimento militare e politico della Russia inaugurati due anni fa a Madrid e confermati un due anni di guerra in Ucraina.

D’altra parte uno dei diversi motivi che hanno prodotto l’Operazione Militare Speciale in Ucraina era proprio quello di non consentire alla NATO, tramite i nazisti di Kiev, di minacciare con dispositivi d’arma la regione di Mosca. Dalla formazione del governo ai finanziamenti internazionali, dall’addestramento militare alle forniture, dai laboratori per la guerra biologica al possesso delle ricchezze agricole e minerarie ucraine, si era creato un totale dominio militare, politico, economico e strategico degli USA sull’Ucraina, divenuta uno stato USA nel cuore dell’Europa. La sua leadership nazista, sentitasi con le spalle coperte, si lanciò nelle azioni criminali di Kiev verso il Donbass con l’intento di provocare una separazione tra Mosca e la popolazione russofona del Donbass, specificatamente Donetsk e Lugansk e l’intera Crimea.

Ma se non è stata concessa all’Ucraina la possibilità di riuscire a concretizzare le sue minacce verso la Russia, ancor meno possibile che venga permessa ai tre paesi impregnati di nazismo fin dagli anni ’30, mai rinnegato e sempre rimpianto. Dunque se la NATO dovesse permettere ai tre baltici di costruire una simile provocazione contro la sicurezza nazionale russa, è possibile che la lezione ucraina verrà ripetuta con ancor più durezza.

 

Elezioni russe e statunitensi

E’ ovvio che le prese di posizione dell’oltranzismo anti-russo in Europa hanno come fine l’incidenza nel processo elettorale russo (in minima parte) e statunitense (in maggior parte). L’indirizzo al quale s’intende recapitare il messaggio sembrano essere il voto russo, nel tentativo di influirvi attraverso la minaccia di un’ulteriore aumento della tensione militare tra Occidente e Russia ove Putin fosse rieletto. Ma l’obiettivo primario del rinnovato ardore bellicista europeo sono le elezioni statunitensi. Il timore europeo è che una vittoria di Trump, più che causare la fine definitiva dell’avventura ucraina, possa spingere la Casa Bianca ad una profonda revisione dell’operatività della NATO, se non della sua stessa necessità. Il magnate di estrema destra ha già fatto capire come i costi della NATO in Europa non possono essere sostenuti dagli USA e che dunque, se gli europei continuano a insistere per avere l’ombrello protettivo dell’Alleanza, dovranno pagarne i costi.

Questo spinge gli europei più inclini a disputare un ruolo antagonista a Mosca a tentare di convincere Washington di come abbandonare o anche solo ridurre il contributo USA alla NATO sarebbe oltremodo pericoloso vista la presunta aggressività russa.

Si tenta quindi di premere sull’establishment USA affinché - indipendentemente persino da chi sieda alla Casa Bianca - continui a sostenere lo sforzo bellico al fianco dell’Ucraina. Proprio sul timore di questo innesco alzano il tiro su altri scenari completamente inventati per fiaccare Mosca in una guerra estesa e a lungo termine. Trasformare il territorio dall’Adriatico agli Urali sembra essere il nuovo risiko occidentale.

Intanto la situazione sul campo in Ucraina non cambia e colpire gli obiettivi civili russi a Kiev serve più per sostenere la questua internazionale che per impensierire Mosca. Il presidente francese, che non può negare la massiccia presenza di mercenari suoi concittadini (molti dei quali eliminati dai russi), preferisce lanciare proclami elettorali: «Il nostro dovere è rendere impossibile la vittoria russa». «Una vittoria russa - ha aggiunto Macron - significa la fine della sicurezza europea. Continueremo ad aiutare gli ucraini in maniera pragmatica e completa», precisando che Parigi continuerà a curare «la formazione», disponendo in particolare equipaggiamenti «in tutti i settori essenziali: artiglieria, difesa terra-aria e attacchi a lunga distanza».

Se qualcuno avesse bisogno di maggiore chiarezza, ecco che il suo Ministro della Difesa decodifica: l’industria militare francese - ha dichiarato il Ministro Lecomu- ha avuto una impennata negli affari in questi ultimi due anni. Et voilà. Gli affari sono affari e, persa una guerra, si cerca d’innescarne subito un’altra.

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