Per la prima volta da quando è stato eletto presidente, Volodymyr Zelensky ha partecipato quest’anno di persona all’annuale appuntamento del World Economic Forum (WEF) di Davos, nelle alpi svizzere. La necessità di incontrare leader politici e “CEO” da parte dell’ex attore comico deriva dalla situazione drammatica delle forze armate del suo paese sul campo di battaglia e, di conseguenza, dal progressivo raffreddamento della classe dirigente occidentale per la causa ucraina. Zelensky ha comunque voluto rilanciare il suo utopistico “piano di pace”, ben sapendo che le possibilità che venga anche solo discusso seriamente sono pari a zero.

A Davos, Zelensky si è rallegrato del fatto che decine di paesi avrebbero manifestato interesse in quella che viene propagandata come una sorta di sua personale “Formula di Pace”. Il sostegno nominale degli Stati Uniti e di altri paesi occidentali incide tuttavia poco o nulla sulla sostanziale inutilità del progetto stilato da Kiev. Una serie di condizioni assurde e completamente sganciate dalla realtà sul campo, assieme all’assenza della Russia dall’eventuale tavolo delle trattative, rendono vano e illusorio qualsiasi sforzo per trovare una soluzione pacifica al conflitto tramite questo percorso.

 

Proprio il governo svizzero dovrebbe organizzare una conferenza di pace per l’Ucraina, come hanno confermato a Davos sia Zelensky sia la presidente della Confederazione, Viola Amherd. Ma, a parte le formule diplomatiche di facciata, anche tra gli interlocutori di Zelensky c’è ormai la presa d’atto che nessuna via d’uscita sia possibile senza una trattativa con Mosca. Anzi, molto più probabilmente, saranno alla fine le condizioni imposte dal Cremlino a stabilire l’eventuale “formula” della pace in Ucraina.

Una valutazione più realistica della situazione l’ha proposta tra gli altri il ministro degli Esteri svizzero, Ignazio Cassis, il quale settimana scorsa aveva fatto notare come la Russia dovrà per forza di cose essere invitata ai negoziati. Se così non fosse, tutta la propaganda sulla “Formula Zelensky” risulterebbe tempo sprecato. È tuttavia “illusorio”, ha aggiunto Cassis, credere che Mosca partecipi ai colloqui di pace se i termini da discutere saranno quelli contenuti nel piano di Zelensky.

Le condizioni principali previste da Kiev sembrano uscite da un libro delle fiabe e non tengono in considerazione quanto accaduto in quasi due anni di guerra, né tantomeno negli otto anni precedenti seguiti al colpo di stato del 2014. La Russia, secondo Zelensky, dovrebbe ritirare tutte proprie forze dal territorio ucraino, definito secondo i confini del 1991, ovvero inclusa la Crimea. Oltre a quest’ultima, anche i quattro “oblast” a maggioranza russofona, che Mosca ha annesso dopo i referendum del settembre 2022, sono considerati parte indissolubile della Federazione Russa e, alla luce degli equilibri militari sul campo, non saranno in nessun modo abbandonati dal Cremlino.

La Russia dovrebbe poi risarcire l’Ucraina per i danni provocati dal conflitto e un tribunale per processare i crimini di guerra commessi verrebbe istituito appena possibile. Che tutto ciò sia illusorio lo ha ammesso, tra gli altri, anche un recente commento del New York Times, dove si spiega chiaramente che “gli analisti e addirittura i politici che appoggiano il piano [di pace] considerano irrealizzabili tutte le richieste” ucraine.

La commedia di Zelensky a Davos serve in definitiva a convincere i suoi sponsor occidentali a tenere aperte le linee di fornitura di armi e denaro nonostante la situazione critica sul terreno, fondamentalmente per salvaguardare la posizione – se non la sopravvivenza stessa – del presidente e del suo entourage. Nei piani di salvataggio di Zelensky figura ai primi posti anche la svendita letterale del suo paese ai grandi interessi occidentali, come hanno confermato i numerosi incontri del presidente a Davos con gli “investitori” coinvolti in Ucraina.

Stop ai missili tedeschi

Cattive notizie per il regime di Zelensky sono arrivate intanto anche dalla Germania. Mercoledì il parlamento federale di Berlino ha bocciato a larga maggioranza l’invio di missili da crociera “Taurus” all’Ucraina. Solo due deputati della maggioranza hanno votato a favore assieme a quelli di opposizione dei partiti gemelli CDU/CSU. La maggioranza ha spiegato il fallimento col fatto che i cristiano-democratici avevano collegato al provvedimento sui missili un dibattito circa lo stato delle forze armate tedesche.

La votazione in aula sarebbe quindi diventata un gioco politico a cui la maggioranza non ha voluto piegarsi. Se questa ricostruzione è plausibile, resta comunque il fatto che l’invio di missili a lungo raggio a un regime sempre più disperato inizia a preoccupare seriamente i governi occidentali. Questi ultimi, in particolare quello americano, stanno d’altra parte facendo pressioni su Kiev per passare al più presto a una “difesa attiva” e abbandonare le velleità offensive sul campo di battaglia.

I missili “Taurus” tedeschi hanno una gittata di oltre 500 chilometri e possono trasportare testate fino a quasi 500 chili. Francia e Gran Bretagna hanno già approvato il trasferimento di armi simili all’Ucraina, aumentando le pressioni su Berlino per fare lo stesso. I recenti bombardamenti contro città russe da parte di Kiev, con obiettivi quasi sempre civili, hanno però scatenato la massiccia risposta di Mosca. In definitiva, anche un via libera da parte tedesca ai “Taurus” non farebbe che peggiorare la situazione ucraina, senza portare benefici strategici al regime di Zelensky.

Fuoco sui mercenari

Da collegare direttamente alla crisi militare ucraina è la necessità da parte di Kiev, oltre che di attuare un’improbabile nuova coscrizione di massa, di accogliere altri mercenari stranieri. Ciò espone però i “volontari” provenienti dall’estero al rischio di finire sotto i colpi dell’artiglieria russa e di mettere in imbarazzo i loro governi, che continuano ufficialmente a negare un coinvolgimento diretto nel conflitto.

L’ultimo caso di questo genere si è verificato questa settimana con la notizia del bombardamento di un edificio a Kharkov, dove il ministero degli Esteri russo ha affermato erano ammassati mercenari stranieri. Nel blitz sarebbero stati uccisi più di sessanta uomini, la maggior parte di nazionalità francese. I feriti ammonterebbero invece a un centinaio, di cui più di venti ricoverati in condizioni più o meno gravi.

Le autorità locali avevano invece inizialmente sostenuto che a essere stato colpito è un ospedale dismesso. Il bilancio sarebbe stato solo di una ventina di feriti. In seguito è emersa un’altra versione. Si tratterebbe cioè di un edificio residenziale e tra i feriti non ci sarebbero militari, ma solo civili.

Se le informazioni russe sono corrette, l’operazione di Kharkov suggerisce che Mosca intende aumentare i bombardamenti contro il personale occidentale che combatte a fianco delle forze ucraine. Questa escalation minaccia di provocare un esodo di mercenari dall’ex repubblica sovietica e di complicare ancora di più la situazione per i militari ucraini.

L’altissimo numero di perdite dall’inizio del conflitto e la necessità di basare la campagna militare sempre più su equipaggiamenti occidentali hanno reso infatti indispensabile il contributo di specialisti stranieri. Da parte russa, la pazienza sembra essere arrivata però al termine e le operazioni mirate potrebbero intensificarsi a breve contro i circa duemila mercenari che Mosca stima essere ancora con varie mansioni sul fronte di guerra in Ucraina.

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