Le dottrine militari sono diverse, così come le strategie per il loro impiego. Quelle studiate nelle accademie delle grandi potenze si basano su concetti di guerra convenzionale e strategie per l'uso del nucleare, mentre i piccoli Paesi sviluppano dottrine e modelli militari adeguati alle loro dimensioni e al loro territorio, alla loro storia e cultura, persino alle loro idiosincrasie. Ma ciò che accomuna tutte le dottrine militari, senza eccezioni, è l'uso del termine "controffensiva". Con esso si intende un contrattacco finalizzato alla riconquista delle posizioni perdute e alla successiva parziale ritirata del nemico, al fine di liberare il territorio e rilanciare l'azione strategica.

L'Ucraina rappresenta un'eccezione, sia in termini di terminologia che di significato. La controffensiva ucraina è infatti diventata una nuova offensiva russa. Secondo il New York Times, "la Russia si è impadronita di ulteriore territorio, soprattutto nel nord-est, e ora controlla quasi 320 chilometri quadrati in più di territorio ucraino rispetto all'inizio dell'anno".

Non consideratela una frase ad effetto, quando il presidente iraniano Ebrahim Raisi avverte che, i «crimini sionisti a Gaza» avranno «conseguenze extraregionali». Lo ha ribadito l’altro giorno nel corso di un colloquio con il primo ministro indiano Narendra Modi. Gli ha fatto eco sua moglie, la scrittrice  Jamileh Alamolhoda che - informa il Tehran Times - ha inviato una lettera alle consorti di quaranta leader europei, chiedendo loro di condannare Israele perché ha ucciso donne e bambini palestinesi, facendo leva su «una politica di paura e di odio per raggiungere i suoi sinistri obiettivi nei territori occupati». 

Il drastico peggioramento della situazione nella guerra con la Russia sta alimentando un feroce conflitto interno al regime ucraino, con il presidente Zelensky in rotta di collisione sempre più aperta coi vertici militari e, in particolare, il comandante delle forze armate, generale Valery Zaluzhny. Lo scontro non promette nulla di buono per l’ex attore comico, né per le prospettive a breve e medio termine del suo paese. Un’ulteriore escalation è inoltre facilmente prevedibile, soprattutto dopo il recente probabile assassinio di uno stretto collaboratore di Zaluzhny e l’annuncio della cancellazione delle elezioni della prossima primavera da parte dello stesso Zelensky.

La decisione di ripresentare Joe Biden come candidato alle presidenziali del prossimo anno potrebbe costare molto cara al Partito Democratico americano. Anche se il probabile sfidante per la Casa Bianca sarà un Donald Trump che, denunce di brogli a parte, era risultato uno dei più impopolari presidenti uscenti alla fine del suo mandato, le prospettive per l’ultra-ottuagenario Biden e il suo partito tra dodici mesi appaiono decisamente cupe. I segnali d’allarme tra i vertici democratici si stanno moltiplicando, soprattutto alla luce della disastrosa gestione delle crisi in Ucraina e in Medio Oriente. Due recentissimi autorevoli sondaggi di opinione hanno poi aggravato la situazione per il presidente, dato in affanno in quasi tutti gli stati americani tradizionalmente decisivi per gli equilibri elettorali.

Nessun cessate il fuoco e nemmeno una pausa momentanea. Il genocidio palestinese va avanti e oltre al tritolo a Gaza gli tocca anche la propaganda. Sì perché la visita di Blinken a Sharon è stata una messinscena studiata per rafforzare il reciproco gioco delle parti, tra gli USA alleati fedeli ma ragionevolmente preoccupati del contesto internazionale e Israele, ansiosa solo di chiudere la partita con Hamas. Una recita pensata per placare la comunità internazionale, mandare messaggi alle capitali mediorientali e a fini interni, a Washington come a Tel Aviv.

Negli USA la comunità arabo-statunitense è furiosa con Biden: un sondaggio dell’Arab American Institute rivela che solo il 17% è pronto a rieleggere Biden (nel 2020 il 59% era con lui): è una comunità piccola ma importante in stati in bilico come Michigan e Pennsylvania. In Israele, invece, l’odio per Netanyahu è trasversale a società civile e militari e un minuto dopo il cessate il fuoco Netanyahu dovrà dimettersi; cerca di risalire la corrente dandosi la fama di sterminatore di palestinesi, ma comunque vada la sua carriera politica è finita.


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