La conferma della validità dell’accusa di genocidio presentata dal Sudafrica contro Israele alla Corte Internazionale di Giustizia (ICJ) si sta avendo in questi giorni, oltre che dai massacri senza sosta nella striscia di Gaza, dalla vicenda dei finanziamenti all’Agenzia delle Nazioni Unite per i rifugiati palestinesi (UNRWA). Le responsabilità in questo senso non sono solo dello stato ebraico, ma anche dei paesi occidentali – Italia compresa – che hanno vergognosamente assecondato le macchinazioni del criminale di guerra Netanyahu, tagliando una parte vitale dei fondi da destinare a una popolazione letteralmente allo stremo.

Lo stesso giorno in cui i giudici della ICJ hanno deliberato preliminarmente contro Israele, il governo di Tel Aviv ha avanzato l’accusa contro 12 dipendenti della UNRWA di avere partecipato con vari compiti all’operazione “Diluvio di al-Aqsa” del 7 ottobre scorso, portata clamorosamente a termine da Hamas e Jihad Islamica. Le accuse non sono in nessun modo dimostrate e si basano esclusivamente su confessioni estorte tramite tortura. Se anche i fatti sostenuti da Israele corrispondessero alla realtà, sarebbe comunque semplicemente assurdo boicottare un’agenzia che svolge un compito cruciale per i civili palestinesi, in particolare negli ultimi tre mesi, sulla base delle azioni di una dozzina di funzionari sui 12 mila circa impiegati complessivamente a Gaza.

 

I vertici della UNRWA hanno oltretutto già licenziato gli accusati ancora in vita – due sarebbero deceduti nel conflitto – e avviato un’indagine ufficiale per fare luce sulle vicende ipotizzate da Israele. Il regime di Netanyahu avrebbe inoltre informato gli Stati Uniti in un rapporto di intelligence che 1.200 dipendenti dell’agenzia ONU avrebbero legami con Hamas e Jihad Islamica, mentre circa la metà del totale sarebbe imparentata con affiliati alle stesse organizzazioni della “Resistenza” palestinese. Fermo restando che Hamas è il legittimo governo di Gaza, avendo vinto le elezioni legislative del 2006, il movimento di liberazione islamista è fortemente radicato nella striscia e ciò rende inevitabile la presenza di “affiliati” o individui con altro genere di legami a esso all’interno di un’agenzia che opera su questo territorio.

Nonostante la fragilità delle prove presentate da Israele, il governo americano ha immediatamente denunciato il presunto scandalo e ordinato la sospensione degli stanziamenti alla UNRWA. Partito l’ordine dal dipartimento di Stato, altri paesi-vassalli hanno a loro volta annunciato lo stop ai contributi all’agenzia ONU, tra cui: Australia, Austria, Canada, Finlandia, Francia, Giappone, Gran Bretagna, Italia, Olanda, Romania e Svizzera. L’Unione Europea, singolo maggior finanziatore della UNRWA, ha invece per ora deciso che i futuri impegni verso l’agenzia saranno sottoposti a “revisione”, in attesa che quest’ultima chiarisca la situazione e punisca i presunti colpevoli. Complessivamente, i fiancheggiatori di Israele nell’offensiva contro la UNRWA potrebbero togliere circa 363 milioni di dollari di stanziamenti su 1,6 miliardi totali previsti a bilancio per l’anno 2024.

A un occhio distratto potrebbe apparire sospetto lo zelo dell’Occidente nell’intervenire in un caso così debole, mentre la strage quotidiana di civili a Gaza, che registra finora oltre 26 mila vittime, la distruzione sistematica di edifici e infrastrutture, la privazione forzata di cibo e assistenza sanitaria ha suscitato solo timidi richiami al regime di Netanyahu.

Il fatto poi che l’apocalisse scatenata nella striscia sia stata in larga misura condannata e identificata come potenziale genocidio anche dal più alto tribunale internazionale non ha fatto alcuna differenza per gli USA e il resto dell’Occidente. Infatti, come accennato all’inizio, la mossa di Tel Aviv e Washington appare coordinata proprio per cercare di ridurre l’impatto della sentenza preliminare dei giudici del ICJ. Solo questo la dice lunga sulla natura degli appelli di USA ed Europa al rispetto del diritto internazionale e dei principi democratici.

In definitiva, all’ingiunzione della Corte, Israele ha risposto con l’accelerazione del massacro a Gaza e un attacco frontale alle Nazioni Unite, di cui è emanazione sia il ICJ sia la UNRWA. La Corte aveva basato infatti le proprie conclusioni preliminari rese note venerdì scorso anche sui dati e le testimonianze della UNRWA, così che la campagna lanciata contro di essa da USA e Israele punta a screditare l’agenzia e indebolire l’istanza presentata dal Sudafrica.

Un atteggiamento evidentemente prevedibile da parte israeliana che, come sempre, è reso possibile dalla copertura politica assicurata in primo luogo dagli Stati Uniti e, in seconda battuta, dall’Europa. Le implicazioni sono tuttavia ancora più inquietanti. Non si tratta cioè semplicemente di screditare un’istituzione internazionale, ma di favorirne lo smantellamento ai fini degli obiettivi sionisti, ovvero la liquidazione dei palestinesi dalla striscia, così come dalla Cisgiordania, e l’occupazione integrale dei loro territori.

In questo senso, gli USA e gli altri paesi che hanno bloccato gli stanziamenti alla UNRWA – compresa l’Italia – sono a tutti gli effetti complici della riduzione alla fame, del massacro e dell’espulsione dei palestinesi da Gaza; in un parola: del genocidio. In quanto tali, anche i leader dei rispettivi governi sono teoricamente imputabili davanti alla Corte Internazionale di Giustizia.

L’Agenzia delle Nazioni Unite per i rifugiati palestinesi gestisce gli aiuti umanitari per i circa due milioni di palestinesi sfollati dalle operazioni militari israeliane nella striscia e si dedica all’assistenza in ogni ambito dei profughi palestinesi sparsi in Medio Oriente. Ostacolarne o impedirne totalmente le operazioni significa aggravare ancora di più la situazione dei palestinesi di Gaza, mettendo letteralmente a rischio la loro sopravvivenza.

Le forze sioniste hanno preso di mira funzionari e strutture della UNRWA fin dall’inizio della guerra, col preciso obiettivo appunto di limitare gli aiuti alla popolazione. Secondo alcune stime, oltre 150 dipendenti dell’agenzia ONU sono già stati uccisi dalle bombe israeliane, assieme a centinaia di palestinesi che cercavano rifugio nelle sue strutture. La guerra alla UNRWA da parte dello stato ebraico non è d’altronde un evento recente, ma rappresenta un obiettivo di lunga data di Israele e va di pari passo con le mire genocide contro la popolazione palestinese. Già nel 2018, ad esempio, Tel Aviv aveva convinto l’amministrazione Trump a tagliare i fondi da destinare all’agenzia, anche se poi ripristinati da Biden nella primavera del 2021.

L’eliminazione fisica dei palestinesi e l’allontanamento forzato dalle loro terre, di cui la guerra alla UNRWA fa parte, è per così dire il primo stadio del progetto “finale” sionista. Tra resistenze, pressioni esterne e contraddizioni, Netanyahu e i suoi fanatici alleati ultra-fondamentalisti puntano poi a creare le basi per occupare la striscia con nuovi insediamenti. Uno studio del governo su questo argomento era circolato pubblicamente qualche settimana fa e nel fine settimana i piani in preparazione hanno trovato spazio in una conferenza dominata dai coloni ebrei.

Durante l’evento sono state presentate varie mappe di insediamenti previsti nel territorio della striscia di Gaza una volta “ripulita” dalla presenza palestinese. La celebrazione di fatto della strage dei palestinesi si è accompagnata a riferimenti biblici al limite del patologico per giustificare il genocidio in corso. A partecipare non è stata però solo una frangia estrema della società israeliana, ma anche ben undici ministri del gabinetto Netanyahu, inclusi i leader ultra-radicali Bezalel Smotrich e Itamar Ben-Gvir, nonché 15 deputati del parlamento di quella che in molte cancellerie occidentali continua a essere spacciata come l’unica democrazia del Medio Oriente.

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