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L’attesa controffensiva delle forze armate ucraine continua a rimanere avvolta nel mistero e molti indizi che trapelano sulla stampa ufficiale sembrano prospettare sia una débacle da parte del regime di Kiev sia il venir meno dell’appoggio occidentale nel prossimo futuro. La pubblicazione quasi certamente coordinata nei giorni scorsi di due articoli, rispettivamente sul New York Times e sulla testata on-line Politico, lascia intendere che a Washington ci si stia in qualche modo preparando all’inevitabile sconfitta ucraina. Come questo scenario sarà presentato alla comunità internazionale e in che modo verrà gestita la prossima fase del conflitto Russia-NATO resta però ancora tutto da verificare.
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Sospetti molto pesanti sulle possibili collusioni tra la CIA e alcuni responsabili degli attentati terroristici dell’11 settembre 2001 sono emersi da tempo tra le pieghe delle indagini ufficiali. Alcuni documenti processuali diventati recentemente di dominio pubblico fanno però luce su un aspetto dalle implicazioni esplosive, ovvero che due dei dirottatori erano stati forse reclutati dalla stessa agenzia di Langley nel quadro di un’operazione ultra-segreta condotta assieme ai servizi segreti sauditi. Il collegamento era arrivato all’attenzione degli investigatori dell’FBI dopo i fatti del 2001, ma l’indagine era stata insabbiata dall’intervento di alti funzionari della CIA e dello stesso “Bureau”.
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Dal giorno dell’arresto del 21enne Jack Teixeira, con l’accusa di avere sottratto e pubblicato un numero imprecisato di documenti riservati del Pentagono, la stampa ufficiale negli Stati Uniti e nel resto dell’Occidente ha dato per certo che il giovane membro dell’aeronautica della Guardia Nazionale del Massachusetts sia l’unico responsabile dell’accaduto. Qualche commentatore al di fuori del circuito dei media “mainstream”, in particolare tra quelli con una carriera alle spalle nella comunità dell’intelligence americana, ha però sollevato parecchi dubbi sulla versione offerta all’opinione pubblica. Molti elementi della vicenda sembrano infatti non quadrare e gli aspetti poco chiari della ricostruzione ufficiale alimentano oltretutto i sospetti sulle ragioni reali della pubblicazione non autorizzata di documenti che, in ogni caso, appaiono in larga misura autentici.
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Gli scontri a fuoco tra le due principali fazioni delle forze armate del Sudan sono proseguiti nella giornata di lunedì causando un numero di vittime civili che, secondo alcune stime, sfiora ormai quota duecento. Il conflitto mette di fronte l’esercito regolare e le Forze di Supporto Rapido (RSF), ai cui vertici siedono rispettivamente il numero uno e il numero due del regime militare uscito dal doppio colpo di stato del 2019 e del 2021. A loro volta, nonostante le ragioni di ordine interno alla base della disputa armata, le due parti sono appoggiate da diverse potenze straniere che da tempo competono per esercitare il maggior controllo possibile sul paese strategicamente posizionato sulle sponde del Mar Rosso.
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L’eroe dell’Occidente Zelensky sarebbe coinvolto in prima persona in uno schema corruttivo per appropriarsi di una parte dei fondi inviati a Kiev dal governo di Washington, teoricamente destinati a sostenere lo sforzo nel conflitto contro la Russia. Questo dettaglio sul presidente ucraino e la sua cerchia di potere è stato rivelato mercoledì da una nuova esclusiva del veterano giornalista investigativo americano, Seymour Hersh. L’altro elemento che emerge dall’articolo pubblicato sul suo account ospitato dalla piattaforma Substack è lo scontro in atto nelle stanze del potere a Washington, risultato in primo luogo delle scelte sull’Ucraina di Biden e che mette una contro l’altra la Casa Bianca e la “comunità dell’intelligence” a stelle e strisce.
Secondo la CIA, la cifra su cui Zelensky e il suo entourage hanno finora messo le mani ammonterebbe almeno a 400 milioni di dollari. Il denaro intercettato viene appunto dagli Stati Uniti e, secondo le fonti di Hesh, è utilizzato per acquistare carburante nientemeno che dalla Russia. Un funzionario dei servizi segreti USA ha spiegato che “Zelensky compra diesel a basso costo dai russi” e “a pagare siamo noi”, così che “Putin e i suoi oligarchi guadagnano [anch’essi] milioni” da questo traffico.
Il persistere di rapporti commerciali con la Russia, da cui vengono incassati profitti grazie agli “aiuti” occidentali, testimonia a sufficienza del cinismo e della doppiezza dell’ex comico diventato presidente. Di questo commercio più o meno clandestino c’era già stata peraltro notizia relativamente a uno dei paesi NATO più ferocemente anti-russi, quanto meno a livello ufficiale, ovvero la Lettonia. Uno scandalo era infatti esploso proprio nei giorni scorsi nel mini-stato baltico dopo che una TV locale aveva raccontato dell’approdo nel porto di Riga di tre petroliere provenienti da San Pietroburgo a partire dall’inizio dell’anno. Secondo i giornalisti che ne avevano parlato, il carico valeva complessivamente oltre 100 milioni di euro e viaggiava con falsi documenti rilasciati in Kazakistan.
È probabile quindi che le due rivelazioni siano da ricondurre alle stesse fonti americane, evidentemente a corto di pazienza per la piega che ha ormai preso l’intera vicenda ucraina. Sempre Hersh afferma inoltre che “svariati ministeri a Kiev fanno letteralmente a gara per creare società di facciata”, attraverso le quali vengono sottoscritti contratti con mercanti privati di armi in tutto il mondo. In questo modo, una parte degli equipaggiamenti militari inviati all’Ucraina dai paesi NATO viene rivenduta all’estero e sulle transazioni i funzionari ucraini incassano cospicue tangenti.
Molte di queste società hanno sede in Polonia e in Repubblica Ceca, ma alcune sono state create anche in Israele e nei paesi del Golfo Persico. Un esperto americano di commercio internazionale ha confidato a Hersh di ritenere probabile l’esistenza di ulteriori società di questo genere alle Isole Cayman e a Panama e che numerosi americani sono probabilmente coinvolti nel traffico.
I livelli di corruzione a Kiev avrebbero ormai raggiunto quelli clamorosi dell’Afghanistan nel periodo dell’occupazione americana. Per il governo di Washington si tratta d’altra parte del prezzo da pagare per tenere sotto il proprio controllo un governo fantoccio in un paese dove ha provocato una guerra per procura, vale a dire coltivando una classe politica indigena ai propri ordini acconsentendo in cambio che si arricchisca con affari illegali favoriti dagli stessi Stati Uniti.
Visto però il rischio che il comportamento di questa vera e propria cleptocrazia diventi di dominio pubblico e finisca per screditare un regime promosso come un baluardo di democrazia e libertà contro l’aggressione russa “non provocata”, i padroni di Washington ritengono di dovere talvolta intervenire. Così, lo scorso gennaio il direttore della CIA, William Burns, era volato a Kiev per riferire a Zelensky dei malumori che circolavano tra i funzionari del suo governo e, soprattutto, tra i generali ucraini. Questi ultimi, raccontano le fonti di Hersh, erano furiosi perché il presidente si stava prendendo una fetta del denaro proveniente dall’Occidente maggiore di quella che essi tenevano per sé.
Burns aveva poi presentato una lista di 35 generali ed alti ufficiali corrotti che gli Stati Uniti volevano fossero messi da parte. Alcuni giorni più tardi, Zelensky avrebbe licenziato dieci ufficiali tra quelli più noti sulla lista americana, assieme a vari membri degli staff di alcuni ministeri, nel quadro di una finta “operazione anti-corruzione”. Per il resto, le cose sono rimaste uguali. Anche il ministro della Difesa, Aleksey Reznikov, avrebbe conservato il suo incarico, forse per intercessione americana, nonostante fosse inizialmente circolata la notizia di un suo imminente licenziamento per avere fatto la cresta sulle forniture di cibo destinato alle truppe impegnate al fronte.
Il comportamento di Zelensky e del suo regime, assieme alla condiscendenza dell’amministrazione Biden, sono il sintomo, secondo quanto scrive Seymour Hersh, di una “mancanza di leadership” che avrebbe portato a una “rottura completa” del rapporto di fiducia tra la Casa Bianca e alcune sezioni della comunità dell’intelligence americana. Un altro fattore che ha causato frizioni tra le due parti è l’attitudine e la rigidezza mentale delle due personalità più importanti nella formulazione della politica estera dell’attuale governo: il segretario di Stato, Anthony Blinken, e il consigliere per la Sicurezza Nazionale, Jake Sullivan.
Gli anonimi confidenti di Hersh sostengono che il presidente, Blinken e Sullivan “vivono in un modo diverso” da quello dei diplomatici, militari e agenti di intelligence di carriera assegnati alla Casa Bianca. Blinken e Sullivan, si legge nell’articolo di Hersh, “non hanno esperienza, né giudizio né integrità morale”. Tutto ciò che sanno fare, in fin dei conti, è “mentire”. La spaccatura descritta dentro l’apparato di potere degli Stati Uniti è diventata insanabile dopo la pubblicazione a febbraio sempre da parte di Hersh della rivelazione sul gasdotto Nord Stream, la cui distruzione sarebbe stata decisa dal presidente Biden senza consultare la comunità dell’intelligence.
Gli oppositori interni della Casa Bianca lamentano anche una carenza di programmazione strategica in merito al conflitto in Ucraina. Un esempio di ciò è la decisione di Biden di impiegare due brigate rispettivamente in Polonia e in Romania, entrambe a pochi chilometri dal confine ucraino, ufficialmente in risposta alle operazioni militari russe. In totale, le due divisioni americane sono composte da oltre 20 mila uomini, ma, secondo le fonti di Hersh, “non ci sono prove che anche un solo esponente di rilievo dell’amministrazione [Biden]” sappia realmente quale sia lo scopo di questa forza.
A Washington rimangono quindi molti dubbi sul fatto che le divisioni si stiano ad esempio esercitando assieme ad altri contingenti NATO nell’ottica di un possibile impiego in territorio ucraino nel caso l’Occidente dovesse decidere di affrontare direttamente la Russia. In questo caso, però, la Casa Bianca dovrebbe fare chiarezza, dal momento che le regole d’ingaggio attualmente in vigore prevedono il divieto di attaccare le forze russe, a meno che i militari americani non siano essi stessi attaccati dalla Russia.
Un’altra rivelazione di Hersh sembra confermare la natura pericolosamente illusoria delle aspettative americane dalla guerra in Ucraina. Il capo di Stato Maggiore, generale Mark Milley, un paio di mesi fa avrebbe commissionato ai membri del suo staff una bozza di trattato di pace da proporre al Cremlino una volta che la Russia sia stata sconfitta sul campo. Le prospettive per Kiev continuano però a non essere incoraggianti ed è anzi probabile che Mosca sarà in grado di dettare le condizioni di un’eventuale cessazione delle ostilità.
Questo particolare può essere ricondotto a un articolo pubblicato mercoledì dal Washington Post, che, basandosi su documenti di analisi inediti del servizio di intelligence militare USA (DIA), ha riportato un’opinione circolante a Washington sull’improbabilità di una fine della guerra nell’anno in corso. I combattimenti potrebbero quindi continuare almeno fino al 2024, anche nell’improbabile ipotesi che Kiev riesca a riconquistare “una parte consistente di territorio” attualmente occupato dalla Russia.