L’avvicinarsi dell’epilogo della crisi russo-ucraina, quanto meno per quanto riguarda la fase militare iniziata a febbraio 2022, continua a produrre scosse e dinamiche apparentemente confuse all’interno del regime di Zelensky e i suoi sostenitori in Occidente. Il vertice NATO di settimana scorsa ha permesso all’Alleanza di ricalibrare la propria strategia comunicativa in vista della possibile “exit strategy” da un’avventura bellica a dir poco disastrosa. In un mix di messaggi ambigui, indirizzati soprattutto a Mosca, e di iniziative in larga misura di facciata, è probabile che Washington e Bruxelles stiano esplorando la soluzione meno umiliante per liberarsi in fretta dal pantano ucraino.

A impedire il lancio di un tavolo diplomatico senza condizioni è sempre il vicolo cieco in cui l’Occidente si è infilato con le provocazioni che avevano di fatto costretto la Russia a intervenire in Ucraina e, in seconda battuta, il veto posto sull’accordo tra Mosca e Kiev trovato precocemente ad aprile 2022 per mettere fine alle ostilità. L’impossibilità di fermare semplicemente l’invio di armi e denaro all’Ucraina e accogliere le richieste del paese vincitore, pena una serie di contraccolpi di natura politica e militare che potrebbero mettere a rischio la tenuta stessa della NATO, rende necessario costruire un meccanismo che, a livello di pubbliche relazioni, faccia sembrare la sconfitta una sorta di vittoria.

 

In questo quadro, la disponibilità russa a concentrarsi sugli aspetti concreti di un eventuale cessate il fuoco o accordo di pace, lasciando a USA e NATO la retorica del successo in una guerra sanguinosa per l’Ucraina, risulta fondamentale. Anche in questa prospettiva vanno lette le recenti dichiarazioni del segretario generale del Patto Atlantico, Jens Stoltenberg, dopo il recente vertice NATO di Bruxelles.

Il cambiamento dei toni è in definitiva cambiato anche rispetto a qualche settimana fa. Stoltenberg ha ad esempio ammesso nei giorni scorsi che i progressi ucraini nel corso della “controffensiva” sono stati praticamente inesistenti, mentre ha invitato a “non sottovalutare” la forza militare di Mosca. Al di là del fatto che dichiarare l’ovvio non dovrebbe fare notizia, ogni sfumatura delle parole pronunciate dai vertici NATO può fare intravedere una almeno parziale modifica alla rotta seguita finora. Nel fine settimana, infatti sempre Stoltenberg ha avvertito durante un’intervista alla rete tedesca ARD che l’Alleanza deve essere pronta alle “cattive notizie” dall’Ucraina.

Per alcuni osservatori, il relativo realismo che contraddistingue simili recenti dichiarazioni servirebbe a preparare l’opinione pubblica occidentale, ma anche gli stessi leader ucraini, al passo indietro anche ufficiale che dovrà prima o poi essere annunciato sulla neutralità di fatto dell’Ucraina. La rinuncia di Kiev all’ingresso nella NATO e ai territori annessi dalla Russia sono fattori imprescindibili per Mosca e, di conseguenza, qualsiasi serio approccio diplomatico dovrà tenere conto delle richieste del Cremlino.

L’accettazione di ciò da parte occidentale implica evidentemente un mortificante ripiego rispetto ai proclami trionfali sull’accoglienza dell’Ucraina tra le braccia dell’Alleanza. Già nel summit di Vilnius del luglio scorso era peraltro apparsa chiara la presa d’atto della realtà sul campo, quanto meno tra una parte dei paesi membri. Nel comunicato finale era stata inserita una formula che spostava in un futuro indefinito l’ingresso di Kiev nella NATO, fino a quando cioè il paese dell’ex URSS avesse implementato tutte le condizioni richieste e concordate. Zelensky non aveva preso bene l’accoglienza degli alleati, visto che il meccanismo studiato chiudeva in sostanza le porte dell’Alleanza al suo paese.

Se l’ex attore comico aveva giudicato quella soluzione come uno schiaffo, un effetto ancora peggiore deve avere fatto il nuovo annuncio sulla questione fatto dalla NATO nei giorni scorsi. Dopo il vertice di Bruxelles alla presenza del ministro degli Esteri del regime di Kiev, Dmitry Kuleba, è emersa la nuova promessa di predisporre un percorso per arrivare alla “piena interoperabilità” tra le forze armate ucraine e quelle della NATO. Con questo concetto si fa riferimento all’utilizzo comune di armi, equipaggiamenti, tattiche e dottrine belliche, così come di lessico militare e standard di comunicazione, in modo che tutti i paesi che li condividono, anche se non membri formali della NATO, siano in grado di operare armonicamente sul campo di battaglia.

In teoria, questo livello di coordinazione dovrebbe fare dell’Ucraina un membro de facto del Patto Atlantico. Nel concreto, invece, la tattica di Bruxelles rimuove dal tavolo la questione più esplosiva per Mosca, ovvero l’ingresso di Kiev nella NATO, lasciando a Zelensky l’illusione di ricevere comunque tutti i benefici dell’appartenenza all’Alleanza.

Kuleba, da parte sua, ha ostentato soddisfazione alla notizia ricevuta a Bruxelles, ma è probabile che dietro le apparenze a Kiev si stiano traendo le logiche conclusioni dal cambiato approccio NATO alla guerra in corso. Anzi, l’incupirsi delle prospettive e le divisioni dilaganti in Occidente sulla gestione della crisi russo-ucraina stanno alimentando una feroce disputa interna al regime di Zelensky.

L’ultima manifestazione di questo scontro è il fermo dell’ex presidente Poroshenko mentre cercava di recarsi in Ungheria, dove avrebbe dovuto incontrare il primo ministro Orban, notoriamente su posizioni molto più critiche verso l’Ucraina rispetto agli standard UE. Poroshenko è stato accusato di essere al centro di un complotto russo per ridurre ulteriormente gli aiuti occidentali all’Ucraina e assicurare la vittoria di Mosca.

Queste faide sono destinate ad aggravarsi, soprattutto alla luce del prosciugarsi del flusso di armi e denaro dall’Europa e dagli Stati Uniti. A Bruxelles continua infatti a restare congelato l’ultimo stanziamento da 50 miliardi di euro da destinare al buco nero ucraino. Tra le ragioni ufficiale ci sarebbero la recente sentenza della Corte Costituzionale tedesca che ha ristretto i margini di manovra sul bilancio del governo federale e il successo nelle elezioni olandesi dell’ultra-nazionalista Geert Wilders, contrario all’invio di armi a Kiev.

Tornando alla candidatura NATO dell’Ucraina, il veterano giornalista investigativo americano, Seymour Hersh, nella sua ultima “esclusiva” ha invertito i termini della questione. Dal suo account sulla piattaforma Substack, l’86enne reporter ha scritto di una trattativa in corso tra i capi di stato maggiore di Russia e Ucraina, rispettivamente Valery Gerasimov e Valery Zaluzhny, per arrivare a un accordo di pace.

I contenuti del negoziato includerebbero l’accettazione da parte di Mosca dell’ingresso di Kiev nella NATO ma a condizione che l’Alleanza non posizioni proprie truppe né armi offensive sul suolo ucraino. In cambio, la Russia si vedrebbe riconosciuta l’annessione della Crimea, mentre nei quattro “oblast” entrati oltre un anno fa nella Federazione (Donetsk, Lugansk, Kherson, Zaporizhzhia) verrebbe organizzato un nuovo referendum popolare per ratificare lo status quo attuale.

In molti anche tra i commentatori indipendenti hanno accolto con sospetto l’indagine di Hersh e, in effetti, è difficile credere che Putin possa accettare l’ingresso dell’Ucraina nella NATO in qualsiasi forma. Altri dubbi ha sollevato l’ipotesi che i due generali abbiano preso di loro iniziativa la decisione di aprire un negoziato o, per lo meno, che le discussioni non siano influenzate dal Cremlino e soprattutto da Washington o Londra. Per quanto riguarda Zaluzhny, vista la faida interna al regime ucraino è evidente che una mossa simile comporterebbe una pesantissima accusa di tradimento, alla luce anche della direttiva ordinata da Zelensky che vieta qualsiasi trattativa diplomatica con la Russia.

Le ipotesi che si possono avanzare sull’articolo di Hersh sono molteplici. Se le sue fonti nel governo americano intendono veicolare un qualche messaggio pubblico, è possibile che uno degli obiettivi sia quello di colpire Zaluzhny, nel pieno di uno scontro politico con Zelensky. Al contrario, se quest’ultimo avesse invece la protezione della Casa Bianca, una rivelazione come quella di Hersh potrebbe contribuire a promuovere la sua immagine di uomo di pace agli occhi di una popolazione ucraina sfinita dalla guerra.

Al di là delle congetture, Hersh offre un’altra variazione al tema della necessità di trovare una via d’uscita diplomatica alla crisi per evitare il tracollo definitivo dell’Ucraina. Di ciò ne stanno parlando da parecchie settimane anche i media “mainstream” e il dibattito che trapela a livello pubblico sull’argomento serve a comunicare alla Russia la disponibilità occidentale e a preparare il terreno a concessioni anche molto pesanti che la NATO e il regime ucraino dovranno accettare in vista di un accordo di pace.

Nel frattempo sembrano moltiplicarsi i segnali contraddittori da entrambe le parti. Il segretario NATO Stoltenberg continua ad esempio a promettere tutto il sostegno del caso all’Ucraina, affermando, in un ribaltamento totale della realtà, che solo la fornitura di altre armi a Kiev garantirà la pace e la salvaguardia del paese. Uno spiraglio di ottimismo ha rappresentato al contrario la visita del ministro degli Esteri russo Lavrov in Macedonia del Nord, per un summit OSCE. Se il capo della diplomazia di Mosca non ha rilevato alcun progresso sul fronte diplomatico, la sola presenza nell’ex repubblica iugoslava sembra offrire qualche esile speranza, visto che si tratta della sua prima trasferta in un paese NATO dall’inizio della guerra ormai quasi due anni fa.

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