La ratifica dell’ingresso di Svezia e Finlandia nella NATO continua a dipendere dalle decisioni che verranno prese dal parlamento della Turchia e, soprattutto, dal presidente Erdoğan. Se anche l’Ungheria di Orban non ha in effetti ancora approvato la candidatura dei due potenziali nuovi membri, è la difficile trattativa in atto con Ankara a sollevare particolare interesse e ad avere le maggiori implicazioni strategiche per l’Alleanza atlantica e non solo.

Negli ultimi giorni le tensioni tra il governo turco e quello svedese sembrano essere peggiorate, come dimostrerebbero gli avvertimenti arrivati nel fine settimana dallo stesso Erdoğan e dal suo portavoce, Ibrahim Kalin. Com’è noto, l’esplosione della guerra in Ucraina nel febbraio 2022 aveva dato l’occasione alla Finlandia e, ancor più, alla Svezia di mettere fine anche formalmente alla finzione dello status di neutralità, così da ottenere a tutti gli effetti l’ingresso nella NATO.

La notizia del ritrovamento di documenti riservati in un paio di uffici occupati nel recente passato dal presidente americano Biden ha gettato benzina sul fuoco dello scontro politico in corso a Washington. Il materiale classificato risale al periodo in cui l’attuale inquilino della Casa Bianca ricopriva l’incarico di vice-presidente. La vicenda ricorda da vicino quella in cui è invischiato Donald Trump, anche se le circostanze appaiono in parte diverse. Il Partito Repubblicano ha comunque già chiesto e ottenuto la nomina di un procuratore speciale per indagare sui fatti, esattamente come è avvenuto con lo stesso Trump.

Gli eventi di questi ultimi mesi in Europa orientale sembrano rappresentare sempre più una specie di campo di prova di quanto potrebbe accadere a breve in Asia orientale, dove il confronto tra Cina e Stati Uniti rischia di sfociare in un conflitto ancora più caldo e distruttivo di quello in corso tra Washington e Mosca. A tracciare un collegamento tra i due casi è frequentemente lo stesso governo americano, i cui piani in primo luogo di carattere militare per “contenere” la Cina avanzano ormai alla luce del giorno. In un’intervista di questa settimana al Financial Times, un altissimo ufficiale dei Marines ha ammesso in maniera insolitamente esplicita i preparativi degli USA e dei loro alleati regionali per una guerra contro Pechino in un futuro probabilmente non molto lontano.

C’era una volta Limes, autorevole rivista di geopolitica. Il servizio realizzato dalla stessa a proposito dell’assalto bolsonarista alle istituzioni brasiliane (https://www.youtube.com/watch?v=3XbPKWvGfBI&feature=youtu.be) costituisce infatti quanto di peggio ci si potrebbe aspettare in termini di analisi obiettiva della situazione e di contributo scientifico a chiarire cause e prospettive di quanto sta avvenendo in Brasile, confermando il pregiudizio, vivo nei più, che la scienza politica in realtà ha ben poco di scienza e molto di politica, e spesso di politica di bassa lega.

In un’intervista rilasciata nei giorni scorsi alla televisione francese, Emmanuel Macron ha riproposto per l’ennesima volta la favola preferita da politici e media ufficiali in Occidente per spiegare le ragioni dell’invasione russa dell’Ucraina. Per il presidente francese, le operazioni militari inaugurate ormai quasi un anno fa sarebbero l’ovvia conseguenza dei piani di Putin per riconquistare i territori dell’ex Unione Sovietica e, quindi, ricostruire “l’impero”. Questa versione viene imposta in varie gradazioni e sfumature all’opinione pubblica ogniqualvolta si discute del conflitto in Ucraina e serve in sostanza a confondere le idee per far credere che la guerra in corso non è stata in nessun modo provocata, quando la realtà appare invece esattamente opposta.


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