Per la prima volta dopo quasi un anno, i governi di Russia e Stati Uniti sono tornati a incontrarsi con rappresentanti di altissimo livello in un contesto che sembrava aprire qualche scenario utile a intavolare un negoziato di pace sull’Ucraina. Anche dal punto di vista più ottimista possibile, l’incontro di lunedì ad Ankara tra il numero uno dell’intelligence estera russa (SVR), Sergey Naryshkin, e il direttore della CIA, William Burns, rappresenta però solo un primissimo passo verso un futuro cessate il fuoco. Solo per arrivare a questo risultato, dovranno essere superati ostacoli che le condizioni odierne del conflitto rendono a dir poco enormi, a cominciare dalla doppiezza e dall’incapacità organica del governo americano a trattare in buona fede e a rispettare gli impegni presi.

Anche i nostri media, che ogni giorno cercano di convincerci della democraticità del governo ucraino, del suo leader e della loro appartenenza al “mondo libero”, non hanno potuto tralasciare la notizia secondo la quale, riappropriatosi di alcuni territori prima occupati dai russi (Kharkov e ora Kherson), il governo ucraino ha dato avvio a una spietata caccia ai collaborazionisti pro-russi, considerati traditori della patria, anche se si sono limitati ad accettare cibo e aiuto dagli invasori, con i quali evidentemente debbono avere spesso strette relazioni per la comune lingua e cultura d’origine.

Il gravissimo attentato terroristico che ha sconvolto il centro di Istanbul nella giornata di domenica si inserisce per la Turchia in un quadro domestico e internazionale sufficientemente caldo da sollevare seri interrogativi sui mandanti e le ragioni dell’esplosione. Il governo di Ankara ha fatto sapere di avere già individuato i responsabili, prevedibilmente collegati alle formazioni curde PKK e YPG, mentre già poche ore dopo gli eventi è stata arrestata una donna di nazionalità siriana. Il bilancio più recente parla intanto di sei vittime e 81 feriti, di cui molti in condizioni critiche.

Secondo le autorità turche, la 23enne siriana, la cui immagine è stata tempestivamente resa pubblica, sarebbe entrata nel paese dalla regione di Afrin, nella parte nord-occidentale della Siria. Le immagini riprese dalle telecamere di sorveglianza sulla trafficatissima via Istiklal avrebbero permesso di individuare la donna, accusata di avere lasciato uno zaino con l’esplosivo nell’area pedonale vicina a piazza Taksim. Oltre alla donna curdo-siriana, agli arresti sono finiti anche una ventina di altri sospettati, secondo il ministero dell’Interno anch’essi legati a “gruppi terroristi” curdi.

La notizia del ritiro delle forze armate russe dalla città di Kherson e sulla riva sinistra del fiume Dnepr è arrivata questa settimana come una doccia fredda per molti osservatori che simpatizzano con le posizioni del Cremlino. La decisione presa dal ministro della Difesa, Sergey Shoigu, dietro raccomandazione del nuovo comandante delle forze russe in Ucraina, generale Sergey Surovikin, crea senza dubbio un nuovo grave problema di immagine per Mosca. Dal punto di vista operativo, la questione è invece più complicata. Ci saranno quasi certamente contraccolpi sia di natura tattica che strategica per la Russia, ma il quadro generale del conflitto potrebbe riservare sviluppi inaspettati e, forse, decisivi nelle prossime settimane.

Il presidente americano Biden e il Partito Democratico sembrano avere evitato l’ondata repubblicana che in molti prevedevano alla vigilia delle elezioni di “metà mandato” concluse nella serata di martedì. Parecchie competizioni a livello locale e nazionale sono ancora in bilico e i risultati finali potrebbero in alcuni casi non essere disponibili ancora per parecchi giorni. Il Partito Repubblicano dovrebbe però riuscire a tornare maggioranza almeno alla Camera dei Rappresentanti, scardinando così gli equilibri usciti dal voto del 2020, con tutte le possibili conseguenze del caso su alcune questioni esplosive come la guerra in Ucraina o il potenziale impeachment di Joe Biden.

Ancora molto incerta è invece la situazione al Senato. Nella camera alta del Congresso di Washington erano in palio 34 seggi su 100 e a decidere quale dei due partiti deterrà la maggioranza saranno una manciata di sfide al fotofinish. Non è da escludere che alla fine gli equilibri rimarranno quelli attuali, con 50 seggi ciascuno e il voto della vice-presidente, Kamala Harris, nuovamente decisivo per garantire una risicatissima maggioranza democratica.


Altrenotizie.org - testata giornalistica registrata presso il Tribunale civile di Roma. Autorizzazione n.476 del 13/12/2006.
Direttore responsabile: Fabrizio Casari - f.casari@altrenotizie.org
Web Master Alessandro Iacuelli
Progetto e realizzazione testata Sergio Carravetta - chef@lagrille.net
Tutti gli articoli sono sotto licenza Creative Commons, pertanto posso essere riportati a condizione di citare l'autore e la fonte.
Privacy Policy | Cookie Policy