In un’intervista rilasciata nei giorni scorsi alla televisione francese, Emmanuel Macron ha riproposto per l’ennesima volta la favola preferita da politici e media ufficiali in Occidente per spiegare le ragioni dell’invasione russa dell’Ucraina. Per il presidente francese, le operazioni militari inaugurate ormai quasi un anno fa sarebbero l’ovvia conseguenza dei piani di Putin per riconquistare i territori dell’ex Unione Sovietica e, quindi, ricostruire “l’impero”. Questa versione viene imposta in varie gradazioni e sfumature all’opinione pubblica ogniqualvolta si discute del conflitto in Ucraina e serve in sostanza a confondere le idee per far credere che la guerra in corso non è stata in nessun modo provocata, quando la realtà appare invece esattamente opposta.

 

Si tratta di uno schema ricorrente ed evidentemente concordato tra i sostenitori del regime di Kiev. L’obiettivo è appunto di occultare le ragioni del conflitto, da ricondurre alle manovre degli Stati Uniti e dei loro alleati in Europa, che hanno di fatto reso impossibile per Mosca continuare ad astenersi dal coinvolgimento militare diretto in Ucraina.

Parlando agli autori di un recente podcast americano, Noam Chomsky ha osservato che la pervasività della frase “invasione non provocata dell’Ucraina” nei discorsi di politici, commentatori e semplici cronisti è spiegata dal fatto che essa, al contrario, “è stata assolutamente provocata” e coloro che sostengono il contrario sono i primi a esserne consapevoli. Chomsky ricorda inoltre come, ironicamente, questa definizione della guerra in Ucraina non sia mai stata applicata a conflitti precedenti che hanno visto coinvolti gli USA o l’intera NATO, proprio per la ragione che essi erano totalmente “non provocati”. Il pensiero va subito all’Iraq, esempio più macroscopico e sanguinoso delle guerre scatenate dagli Stati Uniti sulla base di menzogne ed esclusivamente per i loro calcoli geo-strategici.

La questione è stata oggetto recentemente di una lunga analisi della giornalista indipendente australiana Caitlin Johnstone, la quale si chiede tra l’altro come sia possibile che la tesi della “guerra non provocata” venga oggi offerta come verità assoluta nonostante anche numerosi “esperti occidentali avessero per anni avvertito che le azioni dei governi di USA ed Europa avrebbero provocato l’invasione dell’Ucraina”. La risposta ha a che fare con il monopolio e il controllo quasi assoluto dell’informazione “mainstream” che fa sembrare vero ogni argomento ripetuto all’infinito, soprattutto in assenza di confronto o di un qualche contesto.

Resta il fatto che, al di là della spazzatura distribuita quotidianamente dai media ufficiali, i fatti stessi degli ultimi nove anni testimoniano dell’esistenza di un piano coordinato da Washington per aumentare progressivamente le pressioni su Mosca e costringere Putin a intervenire in Ucraina. L’aspetto più singolare è forse la presenza di una discussione relativamente onesta, sia pure contenuta entro spazi spesso ristretti, sulle circostanze del conflitto russo-ucraino anche nella galassia “mainstream” occidentale fino all’inizio delle operazioni militari russe o, comunque, fino a pochi mesi prima. Dopo il 24 febbraio scorso, invece, sul dibattito geo-politico in Occidente è calato il sipario, lasciando spazio alla propaganda pura e semplice, di cui lo slogan “guerra non provocata” ne è un elemento chiave.

Putin ha completato così la sua trasformazione in feroce e irrazionale dittatore che ha trascinato un paese e un popolo in una guerra lanciata solo per soddisfare le sue ambizioni imperiali. Per contro, nessuna delle azioni intraprese dagli USA, dai governi europei e dalla NATO in merito alla situazione dell’Ucraina avrebbe invece contribuito a creare le premesse per l’esplosione del conflitto.

Sono molteplici i fattori decisivi nell’avere compromesso irreparabilmente gli equilibri della sicurezza in uno spazio geografico cruciale per la Russia. L’agitare pubblicamente per oltre un decennio l’ipotesi dell’ingresso di Kiev nella NATO è un chiaro esempio delle provocazioni inaccettabili per Mosca. In un vero e proprio esercizio di cinismo e perversione, Washington e la maggior parte degli altri membri dell’Alleanza hanno inoltre sempre considerato pressoché impossibile questa eventualità, ma continuano tuttora a non escluderla esplicitamente, malgrado ciò avrebbe avuto e potrebbe avere effetti positivi sulla risoluzione del conflitto.

Anzi, proprio la discussione pubblica circa l’adesione dell’Ucraina al Patto Atlantico è uno strumento sfruttato ad arte per provocare la risposta aggressiva della Russia, così da giustificare contromisure adeguate. Uno studio della RAND Corporation finanziato dal Pentagono descriveva appunto nel 2019 le modalità con cui la questione dell’ingresso dell’Ucraina nella NATO, sebbene irrealizzabile, andava sfruttata in funzione anti-russa. Secondo il noto think tank americano, “mentre la necessità di un voto unanime in sede NATO [per accettare un nuovo membro] rende improbabile l’adesione dell’Ucraina nel prossimo futuro, l’insistenza di Washington su questa possibilità potrebbe rafforzare la determinazione del governo di Kiev” e “spingere la Russia a moltiplicare i propri sforzi per impedire un’evoluzione in questo senso”.

Il disegno americano per l’Ucraina include ovviamente il golpe organizzato a Kiev nel 2014 per rovesciare il governo del presidente eletto Yanukovich con il contributo determinante delle forze ultra-nazionaliste e neo-naziste ucraine. La finta rivoluzione di Maidan era il risultato del finanziamento USA di determinati elementi della “società civile” per invertire di 180 gradi l’orientamento strategico dell’Ucraina, facendo di questo paese un avamposto dell’offensiva NATO contro la Russia.

Ai fatti del 2014 erano seguiti l’assalto e la repressione del nuovo regime di Kiev contro la minoranza russofona delle regioni del Donbass. Nelle province orientali ucraine si è consumata una tragedia fatta di distruzione e massacri di civili non disposti a sottomettersi al regime dominato dagli ambienti neo-nazisti. In otto anni di guerra, passata in gran parte sotto silenzio in Occidente, secondo le stesse stime dell’OSCE sono morti sotto i colpi dell’artiglieria e della repressione ucraina più di diecimila civili.

Soprattutto, nelle settimane precedenti l’inizio delle operazioni russe lo scorso anno il regime di Zelensky aveva intensificato i bombardamenti sugli “oblast” di Donestk e Lugansk, come aveva certificato sempre un rapporto OSCE. Questo fatto e il posizionamento di un numero crescente di uomini, mezzi e armi – forse anche nucleari – ai confini con il Donbass, con l’obiettivo di lanciare un’operazione di terra, avevano alla fine costretto il Cremlino a intervenire in maniera diretta. L’invasione era stata il risultato del tentativo ripetuto di forzare la mano a Mosca da parte della NATO. In caso contrario, è difficile comprendere la ragione per cui Putin avrebbe a lungo respinto l’ipotesi di assorbire le due regioni russofone o di lanciare un’offensiva di terra quando l’Ucraina era in una posizione più debole rispetto al 2022.

La questione della “invasione non provocata” ha assunto una dimensione surreale di recente dopo le dichiarazioni rilasciate alla stampa dall’ex cancelliera tedesca, Angela Merkel, e dall’ex presidente francese, François Hollande. Entrambi hanno ammesso candidamente che gli accordi di Minsk I e Minsk II, sottoscritti per implementare una soluzione diplomatica della crisi ucraina, erano stati usati dall’Occidente come strumento per congelare il conflitto e permettere alla NATO di rifornire il regime di Kiev degli equipaggiamenti necessari a sostenere una guerra con la Russia.

Hollande aveva riconosciuto anche il comportamento più che corretto di Putin, il quale si era impegnato per rispettare “in maniera seria” i protocolli di Minsk. Né i governi occidentali né l’Ucraina avevano quindi la minima intenzione di implementare i termini degli accordi per evitare il precipitare della crisi, ma li avevano deliberatamente boicottati, chiudendo oltretutto gli occhi di fronte al genocidio in atto nelle regioni russofone.

Alla luce di questi eventi, è oggettivamente assurdo parlare di guerra “non provocata”. Il giornalista indipendente Patrick Lawrence ha scritto in un’analisi per la testata on-line ScheerPost che “il tradimento del processo diplomatico da parte di Francia e Germania” è doppiamente grave, non solo perché non ha lasciato scelta alla Russia, ma anche perché ha eroso irreparabilmente “la fiducia nelle relazioni tra stati”, condizione necessaria per la gestione “ordinata” delle crisi internazionali. In altre parole, spiega ancora Lawrence, “le nazioni possono anche non fidarsi le une delle altre”, ma “devono potersi fidare del processo diplomatico”.

Le ricostruzioni – per così dire – della vicenda russo-ucraina di governi e media ufficiali in Occidente tralasciano infine rigorosamente i fatti relativi alle discussioni avvenute nei mesi precedenti l’invasione. Putin aveva proposto una bozza di accordo alla NATO per trattare una nuova architettura della sicurezza europea, in modo da invertire l’avanzata verso i confini russi e da soddisfare le legittime esigenze di Mosca. L’offerta si inseriva in una linea di condotta all’insegna del pragmatismo e della disponibilità al compromesso che il presidente russo ha sempre seguito, al di là della demonizzazione quotidiana di cui è oggetto in Occidente.

Le proposte russe furono invece rispedite al mittente senza nemmeno aprire una discussione su di esse. Evidentemente, a Washington la decisione era già stata presa, a ulteriore conferma che l’amministrazione Biden puntava precisamente a trascinare Mosca in un conflitto armato in Ucraina. L’amara ironia dell’intera situazione consiste nel fatto che le oggettive provocazioni nei confronti di Mosca orchestrate dagli Stati Uniti sono state messe in atto con la zelante partecipazione di quei governi europei che oggi si ritrovano a fare i conti con le conseguenze rovinose della guerra, risultato del sacrificio volontario dei propri interessi fondamentali – legati per molti versi alla Russia – sull’altare di quelli dell’alleato americano.

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