Dopo quasi quattro mesi dall’inizio della “operazione militare speciale” russa in Ucraina, il vento della propaganda in Occidente sembra essere forse sul punto di cambiare. Il disastro militare a cui stanno andando incontro le forze del regime di Kiev, assieme alle conseguenze economiche provocate dalle sanzioni e al crollo dell’interesse dell’opinione pubblica per un conflitto venduto assurdamente come una battaglia per la democrazia, rendono sempre meno sostenibile la situazione attuale. Non è perciò da escludere che a breve ci possano essere cambiamenti nell’atteggiamento di Stati Uniti ed Europa, fino a una possibile cessazione delle ostilità.

Lanciato con roboanti quanto banali slogan, a Los Angeles si è aperto il Vertice delle Americhe. Giù il sipario, a Los Angeles va in onda uno show mal riuscito, una manifestazione retorica e inutile nel più perfetto stile yankee, dove ai palloncini e alle majorettes si sono sommati appelli al continente perché confermi la sua fedeltà a Washington. Lo scenario è imbarazzante: i paesi assenti superano per peso politico i presenti e la feccia golpista raccattata tra Cuba, Nicaragua e Venezuela, fatta di finti presidenti, falsi democratici, autentici assassini e inesistenti partiti, girovaga in una questua poco dignitosa.

La mozione di censura contro l’Iran, approvata mercoledì a larga maggioranza dal Consiglio dei Governatori dell’Agenzia Internazionale per l’Energia Atomica (AIEA) è l’ennesima dimostrazione di come l’atteggiamento degli Stati Uniti e dell’Europa rappresenti l’ostacolo maggiore al ripristino dell’accordo sul nucleare della Repubblica Islamica (JCPOA). Le accuse rivolte a Teheran sono a dir poco discutibili e riflettono in grandissima parte l’agenda israeliana, ma rischiano di diventare un nuovo elemento di scontro in grado di complicare i negoziati in corso da oltre un anno a Vienna.

A dodici mesi dallo storico accordo di governo che aveva estromesso dal potere Benjamin Netanyahu dopo 12 anni, lo stato ebraico si ritrova sull’orlo di una nuova grave crisi politica che potrebbe portare all’ennesima elezione anticipata. L’esilissima maggioranza che sostiene l’esecutivo guidato dal primo ministro Naftali Bennett sta perdendo pezzi ormai da qualche tempo e questa settimana ha incassato una sconfitta umiliante dopo la mancata approvazione in prima lettura di una legge decisiva per la sopravvivenza del sistema di apartheid imposto ai palestinesi in Cisgiordania.

La vittoria risicata del primo ministro britannico, Boris Johnson, nel voto di sfiducia interno al Partito Conservatore nella serata di lunedì potrebbe rappresentare l’inizio della fine di un mandato che aveva conquistato trionfalmente nelle elezioni del dicembre 2019. I problemi politici ed economici con cui il governo deve fare i conti alimenteranno con ogni probabilità i sentimenti di rivolta tra i “Tories”, in attesa di coagularsi attorno a un candidato sufficientemente forte per dare la spallata definitiva all’ex sindaco di Londra.

Nei giorni precedenti la votazione di lunedì erano circolate voci contraddittorie circa l’emergere di una possibile fronda intenzionata a venire allo scoperto attaccando frontalmente Johnson. Quest’ultimo e i suoi sostenitori avevano a loro volta avvertito che una sfida per la leadership del partito avrebbe potuto innescare un’elezione generale anticipata, nella quale i conservatori “ribelli” sarebbero stati esclusi dalle liste da presentare agli elettori.


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