Un gravissimo atto di sabotaggio è avvenuto nei giorni scorsi contro il gasdotto Nord Stream 2 che, prima del boicottaggio orchestrato dagli Stati Uniti, avrebbe dovuto raddoppiare le forniture di gas naturale russo alla Germania. Le autorità svedesi hanno emesso un’allerta nella giornata di martedì in seguito al rilevamento di alcune perdite di gas nelle acque dello stesso paese scandinavo e in quelle della vicina Danimarca. Le cause sono da attribuire appunto a danni molto gravi subiti sia dal Nord Stream 2 sia dal Nord Stream 1, dovuti, secondo lo stesso governo tedesco, a eventi tutt’altro che accidentali.

Il gasdotto Nord Stream 2 è stato dunque oggetto con ogni probabilità di un “attacco mirato” e “senza precedenti”. Nelle ultime settimane, l’infrastruttura che avrebbe potuto garantire l’indipendenza della Germania dai gasdotti che transitano dall’Europa continentale era stata al centro delle richieste sempre più insistenti di imprese e normali cittadini tedeschi, decisi a chiederne l’apertura immediata per dare respiro a un’economia in rapido declino.

Le operazioni di voto nelle quattro regioni ucraine sotto il controllo totale o parziale della Russia stanno giungendo a termine con i risultati parziali che indicano il prevedibile netto successo del ricongiungimento con la Federazione Russa. A differenza di quanto sostiene la propaganda occidentale, la soluzione del referendum è l’esito inevitabile di una gestione della crisi ucraina, da parte di Kiev, Washington e Bruxelles, che va fatta risalire al golpe neonazista del 2014 e che ha avuto come obiettivo non la risoluzione pacifica del conflitto, ma l’accerchiamento della Russia e l’intensificazione delle pressioni sul Cremlino.

La settimana appena iniziata promette cambiamenti dalle implicazioni geo-strategiche eccezionali che costringeranno i governi occidentali e, soprattutto, europei a scelte cruciali per i futuri equilibri transatlantici ed euro-asiatici. I seggi negli “oblast” di Donestk, Lugansk, Kherson e Zaporizhzhia chiuderanno martedì 27 e subito dopo i due rami del parlamento russo ratificheranno la richiesta di annessione alla Federazione. Secondo fonti parlamentari russe, citate dall’agenzia Tass, già nella giornata di venerdì il presidente Putin potrebbe mettere la sua firma su un provvedimento che aggiungerà alla Russia oltre 100 mila chilometri quadrati di territorio e più di cinque milioni di abitanti.

Le televisioni e i giornali americani hanno aperto mercoledì con la notizia di una mega denuncia per frode intentata contro Donald Trump dalla procura generale dello stato di New York. La causa riguarda il cuore stesso del business dell’ex presidente repubblicano, il mercato immobiliare, visto che documenta una rete vastissima di operazioni attuate sistematicamente per truffare il fisco e per ottenere prestiti a condizioni favorevoli. I guai legali per Trump si stanno rapidamente moltiplicando e sono in molti a pensare che, al di là del merito delle accuse, i procedimenti abbiano risvolti politici collegati alle elezioni di “metà mandato” nel mese di novembre e alla possibile ricandidatura dello stesso ex presidente alla Casa Bianca nel 2024.

Il discorso di Putin di mercoledì mattina alla Russia ha segnato molto probabilmente quel punto di svolta nella crisi ucraina che si attendeva dopo il drammatico aumento degli aiuti militari occidentali al regime di Kiev, con conseguente impennata delle vittime civili nel Donbass, e la “controffensiva” delle forze ucraine nella regione di Kharkov. La serie di iniziative annunciate dal Cremlino possono essere lette e spiegate in vari modi, ma prospettano quasi certamente una pericolosa escalation della “guerra per procura” già in atto con i paesi della NATO.

Se tre indizi fanno una prova, il quarto dovrebbe quasi garantire l’esistenza di un determinato evento o intenzione. Così dovrebbe valere anche per il presidente americano Biden, il quale nel fine settimana ha appunto per la quarta volta espresso nel corso del suo mandato l’intenzione esplicita di intervenire militarmente a sostegno di Taiwan se l’isola dovesse essere oggetto di un’aggressione militare cinese. Questa “dottrina” ostentata dall’inquilino della Casa Bianca è altamente controversa, perché non solo smentisce la posizione ufficiale degli Stati Uniti sulla cosiddetta politica di “una sola Cina”, ma così facendo minaccia di mandare in archivio anche quella “ambiguità strategica” che per quattro decenni ha garantito stabilità nello stretto di Taiwan, col rischio di far precipitare lo scontro tra Pechino da una parte e Washington e Taipei dall’altra.


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