Tra propaganda e storytelling addomesticati, tra narrazioni improvvisate e verità negate, nell’ubriacatura di chi scambia nazisti per irredentisti e la resa con l’evacuazione, se c’è una cosa chiara in questa guerra per procura che gli Stati Uniti fanno combattere agli ucraini, è che Kiev è completamente asservita – e non da oggi - agli interessi statunitensi. Sono venuti alla luce le totali influenze di Washinton su Kiev, il cui inizio risale a prima del golpe di Euro Maidan. In principio l’attività USA è stata dedita all’organizzazione del colpo di stato, poi è proseguita con una continua e profonda ingerenza nelle vicende interne del Paese, al punto dall’esibirne l’eterodirezione dello stesso.

Londra e Washington hanno riempito i depositi di armi dell’Ucraina e la quantità del suo esercito (330.000 uomini) come il suo livello di armamento, ad una analisi neutrale risultavano poco compatibili con il bilancio di un Paese coperto dai debiti e con un PIL affatto entusiasmante. Ma non solo: l'addestramento tanto della sua milizia nazista come dell'esercito regolare, la formazione dei suoi servizi segreti, il saccheggio delle sue risorse minerarie e l'uso del suo territorio per creare laboratori di guerra batteriologica - pericolosi da tenere in patria, ma eccellenti se vicino alla Russia, hanno rappresentato l’esatta dimensione della presenza USA in Ucraina.

A giudicare dalla versione dei media ufficiali, il secondo schiaffo incassato nelle elezioni amministrative in appena otto giorni dal Partito Social Democratico tedesco (SPD) al governo a Berlino sarebbe da attribuire quasi esclusivamente all’atteggiamento troppo prudente del cancelliere federale, Olaf Scholz, sulla questione della guerra in Ucraina. Secondo questa logica fantasiosa, la SPD potrebbe quindi arrestare l’emorragia di consensi, pari a 9 punti percentuali nel voto del fine settimana in Renania Settentrionale-Vestfalia, intensificando ancora di più le politiche anti-russe e a sostegno del regime di Kiev, col risultato di un’ulteriore aggravamento della situazione economica in Germania.

La decisione del  battaglione Azov di arrendersi è senza dubbio una buona notizia per vari motivi. Quelli più rilevanti per un osservatore imparziale sono essenzialmente due. Il primo è il risparmio di vite umane che la decisione in questione comporta, mentre parrebbe aprirsi anche la strada dello scambio di prigionieri tra le parti. Il secondo è che la resa di Azov, che segue di poco quello delle unità ucraine ancora presenti a Mariupol segna una tappa rilevante nel perseguimento  di due obiettivi fondamentali della guerra dal punto di vista russo e cioè il controllo del Donbass e la denazificazione.

Nonostante la prevedibile propaganda che sta accompagnando la richiesta di ingresso nella NATO di Finlandia e Svezia, la decisione dei rispettivi governi non è scaturita direttamente dalla crisi ucraina in corso né rappresenta una scelta dettata da esigenze di natura difensiva. In entrambi i paesi della penisola scandinava, le classi dirigenti hanno da tempo come obiettivo l’accesso formale al Patto Atlantico e il conflitto in Ucraina ha dato solo l’occasione per superare le resistenze della maggior parte della popolazione. Riguardo alla sicurezza, invece, come dimostra il caso ucraino, non è esattamente chiaro in che modo un nuovo allargamento verso la Russia dei confini NATO possa contribuire a garantire la stabilità di Helsinki e Stoccolma.

Le autorità politiche e militari dello stato ebraico sono a tal punto abituate ad agire nella completa impunità che, subito dopo l’assassinio di mercoledì in Cisgiordania della giornalista di Al Jazeera Shireen Abu Akleh, avevano emesso un comunicato ufficiale per attribuirne sostanzialmente la responsabilità ai combattenti palestinesi. Solo dopo che la versione israeliana è stata smentita dalle testimonianze di chi si trovava con la reporter palestinese con passaporto americano e dall’analisi dei filmati disponibili in rete, Tel Aviv ha fatto una parziale marcia indietro e ostentato un atteggiamento più cauto. Ciò che seguirà, tuttavia, è tutt’al più un’inutile indagine interna alle forze armate di Israele, le cui conseguenze, si può affermare con certezza fin da ora, saranno le stesse di quelle seguite a decenni di occupazione illegale, violenze e discriminazioni imposte al popolo palestinese.


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